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Venerdì 30 GENNAIO 2015
Reflusso gastroesofageo. Un test mini-invasivo per capire se il paziente necessita di endoscopia

Un nuovo dispositivo mini-invasivo, della dimensione di una pillola, potrebbe identificare quali pazienti con reflusso gastroesofageo abbiano sintomi che giustifichino un’endoscopia per la diagnosi di esofago di Barrett: questa condizione rappresenta il principale fattore di rischio per l’adenocarcinoma esofageo. Ad oggi, il dispositivo è stato testato su più di 1000 persone. Lo studio su PLOS Medicine

Un nuovo test mini-invasivo, costituito da una capsula delle dimensioni di una pillola, potrebbe essere utilizzato per identificare quali pazienti con reflusso gastroesofageo presentino sintomi tali da giustificare un’endoscopia per la diagnosi dell’esofago di Barrett. Ad affermarlo, oggi, è il gruppo di ricerca della MRC Cancer Unit UK dell’Università di Cambridge. Lo studio, condotto da Rebecca Fitzgerald insieme ai colleghi, è stato pubblicato su PLOS Medicine.
L’esofago di Barrett è una condizione in cui le cellule che costituiscono le pareti dell’esofago vengono ‘sostituite’ e cambiano aspetto, somigliando a quelle dell’intestino: tale condizione rappresenta il principale fattore di rischio per l’adenocarcinoma esofageo.

In generale, “anche se lo screening endoscopico di tutti i pazienti con sintomi di reflusso per la diagnosi di esofago di Barrett potrebbe ridurre i decessi per cancro esofageo, questo screening non può essere sostenuto dalla maggioranza dei sistemi sanitari”, si legge nello studio. L’obiettivo dei ricercatori è dunque quello di studiare se il dispositivo da loro sviluppato sia in grado di selezionare quei pazienti che hanno necessità dell'endoscopia per la diagnosi di esofago di Barrett.
“Il test Cytosponge-TFF3 può diagnosticare [l’esofago di Barrett] in una maniera che sia accettabile per i pazienti e logisticamente realizzabile da diversi centri", illustrano gli autori. "Questo test potrebbe abbassare sensibilmente la soglia dell'indagine clinica sui pazienti con reflusso, rientrando in una strategia volta a ridurre la mortalità della popolazione per adenocarcinoma esofageo".
Il test, chiamato Cytosponge-TFF3, è costituito da un dispositivo di campionamento cellulare (Cytosponge) combinato con la stima dell’espressione del Trefoil Factor 3 (TFF3), biomarcatore dell'esofago di Barrett. Il Cytosponge è composto da una piccola spugna inserita in una capsula ed attaccata ad una stringa - si tratta di un filo molto sottile esterno alla capsula. La capsula inghiottita si dissolve rapidamente nello stomaco e la spugna raccoglie cellule esofagee per la colorazione TFF3 quando viene recuperata mediante la stringa.

Per effettuare lo studio, i ricercatori hanno preso in considerazione 1110 individui, con sintomi di dispepsia e reflusso gastroesofageo, che stavano per effettuare un’endoscopia presso 11 ospedali del Regno Unito.
Dei 647 partecipanti allo studio con esofago di Barrett, il test Cytosponge-TFF3 è stato in grado di identificarne il 79,9%, mentre dei 463 individui che non mostravano questa condizione ne ha individuati il 92,4%. La sensibilità del test arriva all’87,2% nel caso di pazienti con segmenti di Barrett con una circonferenza maggiore ai 3 centimetri. Inoltre, circa il 94% dei partecipanti ha inghiottito il dispositivo con successo, non ci sono stati effetti avversi attribuibili ad esso e i partecipanti al test che hanno inghiottito il dispositivo si sono riferiti a questa esperienza come “accettabile”.
 
I risultati sono promettenti: in base alle conclusioni dello studio il test risulta “sicuro, accettabile e con una precisione paragonabile ad altri test di screening”, riferendo che i dati sull’accettabilità sono “molto incoraggianti”. Per ulteriori dettagli si rimanda allo studio. Gli autori sottolineano però che sono necessari trial controllati randomizzati per valutare l’idoneità del test per l’implementazione clinica.
Inoltre, spiegano i ricercatori, dato che la maggior parte delle persone con esofago di Barrett non sviluppa il tumore esofageo, devono essere aggiunti biomarcatori supplementari per poter individuare le persone che presentano un rischio maggiore, evitando il sovra-trattamento per questa patologia.
 
Viola Rita

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