quotidianosanità.it

stampa | chiudi


01 FEBBRAIO 2015
Consiglio di Stato. Niente test di ammissione a medicina per chi è già iscritto in facoltà europee. Ma Atenei devono vigilare contro i “furbetti”

I giudici hanno dato ragione a due studenti già iscritti in Romania ai quali l’Università di Messina voleva precludere il trasferimento a meno di non effettuare il test per l’ammissione al primo anno. Tale limite va contro le normative europee sulla libertà di circolazione. Ma gli Atenei, per evitare abusi, dovranno comunque controllare il percorso formativo dello studente prima di ammetterlo. LA SENTENZA.

Vuoi evitare il test a medicina? Una via potrebbe esserci. E legale. Prima ti iscrivi a una facoltà europea dove magari l'accesso è "più facile" e poi al secondo anni chiedi il trasferimento in una facoltà italiana. Si può fare e niente test di ammissione. Secondo una recentissima sentenza del Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria, infatti, se uno studente di medicina iscritto in un’università della UE decide di venire in Italia per proseguire gli studi non ha alcun obbligo di sottoporsi al test di ammissione previsto per iscriversi al primo anno.
 
Tale limite, infatti, contrasterebbe con la normativa europea sulla libertà di circolazione in quanto il test italiano è previsto per chi deve accedere al primo anno di studi e quindi senza alcuna precedente immatricolazione nella stessa disciplina e pertanto non può diventare un ostacolo alla scelta autonoma degli studenti di trasferirsi da una università all’altra. Anche se in stati diversi da quello dove si è fatta la prima iscrizione.
 
Ma attenzione a non entusiasmarsi troppo. Il test non è obbligatorio ma gli Atenei sono comunque tenuti a controllare il curriculum degli studi e il livello formativo dei "trasferendi" e in ogni caso resta il limite del numero chiuso e quindi dei posti limitati che fa dire ai giudici che un'ipotetica "migrazione di massa" di studenti, prima in uscita (verso l'estero) e poi in entrata (di ritorno in Italia), è da escludersi.
 
Ma andiamo con ordine. Il fatto riguarda in particolare due studenti italiani iscritti al primo anno dell’Università di medicina di Timisoara in Romania che si erano visti sbattere davanti l’obbligo del test di ammissione al primo anno nel momento in cui avevano deciso di proseguire gli studi in Italia presso l’Università di Messina chiedendo l'iscrizione al II anno. L’ateneo siciliano aveva infatti ritenuto le due domande di trasferimento non valutabili, con la motivazione che gli studenti, “provenendo da Università straniere, non hanno superato in Italia l’esame di ammissione al corso di laurea in Medicina e Chirurgia, requisito essenziale previsto dal Manifesto degli studi”.
 
I due hanno fatto ricorso al Tar che gli ha dato ragione. Sentenza contro la quale l’Università messinese ha ricorso in appello presso la Corte di giustizia amministrativa siciliana che a sua volta ha rimandato la questione al Consiglio di Stato.
 
E i giudici in Adunanza Plenaria alla fine hanno dato ragione ai due studenti. “Ferma la non equipollenza delle competenze e degli standards formativi richiesti per l’accesso all’istruzione universitaria nazionale – si legge nella sentenza che chiude la vicenda -(sì che non sarebbe predicabile l’equivalenza del superamento della prova di ammissione ad un’università straniera con quella prevista dall’ordinamento nazionale), una limitazione, da parte degli Stati membri, all’accesso degli studenti provenienti da università straniere per gli anni di corso successivi al primo della Facoltà di medicina e chirurgia (qual è indubbiamente la necessità del superamento, ai fini dell’accesso stesso, di una prova selettiva nazionale predisposta, come s’è visto, ai soli fini della iscrizione al primo anno, in quanto volta ad accertare la “predisposizione” ad un corso di studi in realtà già in parte compiuto da chi intenda iscriversi ad uno degli anni successivi), si pone in contrasto con il predetto principio di libertà di circolazione”.
 
Ma gli Atenei possono e devono vigilare contro tentativi di elusione.Tuttavia i giudici non nascondono che dietro questa libertà di circolazione si possa celare anche il tentativo di “eludere” lo scoglio del test di ammissione italiano. Ma per evitarlo non si possono creare “percorsi ad ostacoli” occorre invece, dicono i giudici, che siano gli Atenei stessi ad attuare “un rigido e serio controllo sul percorso formativo compiuto dallo studente che chiede il trasferimento”.
 
Scrivono infatti i giudici del Consiglio di Stato: “Il problema “elusione”, e quello connesso “intransigenza/lassismo”, si risolvono invero non con la creazione di percorsi ad ostacoli volti ad inibire la regolare fruizione di diritti riconosciuti dall’ordinamento, ma predisponendo ed attuando un rigido e serio controllo, affidato alla preventiva regolamentazione degli Atenei, sul percorso formativo compiuto dallo studente che chieda il trasferimento provenendo da altro Ateneo; controllo che abbia riguardo, con specifico riferimento alle peculiarità del corso di laurea di cui di volta in volta si tratta, agli esami sostenuti, agli studi teorici compiuti, alle esperienze pratiche acquisite (ad es., per quanto riguarda il corso di laurea in medicina, attraverso attività cliniche), all’idoneità delle strutture e delle strumentazioni necessarie utilizzate dallo studente durante quel percorso, in confronto agli standards dell’università di nuova accoglienza”.
 
E non basta. Deve esserci anche “posto”. Peraltro – scrivono infatti ancora i giudici nella loro sentenza - una generalizzata prassi migratoria (prima in uscita da parte degli studenti che non abbiano inteso sottoporsi o che non abbiano superato la prova nazionale di ammissione e poi in ingresso da parte degli stessi studenti che abbiano compiuto uno o più anni di studi all’estero) in qualche modo elusiva nel senso di cui sopra è da escludersi sulla base dell’indefettibile limite dei posti disponibili per il trasferimento, da stabilirsi in via preventiva per ogni accademico e per ciascun anno di corso dalle singole Università sulla base del dato concernente la concreta potenzialità formativa di ciascuna, alla stregua del numero di posti rimasti per ciascun anno di corso scoperti rispetto al numero massimo di studenti immatricolabili (non superiore alla offerta potenziale ch’esse possono sostenere) per ciascuno di quegli anni ad esse assegnato”.

© RIPRODUZIONE RISERVATA