quotidianosanità.it

stampa | chiudi


Giovedì 12 FEBBRAIO 2015
Statine e prevenzione rischio cardiovascolare. Già oggi le usano 4 mln di italiani. Ma ne avrebbero bisogno altri 5 milioni di pazienti

Sarebbero infatti circa 9 milioni gli italiani tra i 40 e i 79 anni ad alto rischio cardiovascolare e per i quali sarebbe indicata la terapia con statine. La spesa farmaceutica crescerebbe ma sarebbe ampiamente compensata dai risparmi sui trattamenti sanitari e sociali connessi alla gestione di queste malattie. Il tutto rispettando i limiti prescrittivi della nota 13 dell’Aifa. Uno studio dell'Università di Milano e della Simg

In Italia circa 9 milioni di persone tra i 40 e i 79 anni sono ad alto rischio cardiovascolare e potrebbero necessitare di un trattamento con le statine. Ad oggi sono invece circa 4,1 milioni gli italiani che ne fanno uso abitualmente (ndr. Il dato è ricavato sulla base del consumo delle statine nella popolazione italiana calcolato in dose definita giornaliera - DDDx1000 ab., pari attualmente a 69,4 per mille ab.).
 
È il dato forse più “forte” che emerge dall’analisi dello studio epidemiologico CHECK, effettuata da Andrea Poli e dai colleghi del Servizio di Epidemiologia e Farmacologia Preventiva dell’università di Milano e dalla Società Italiana di Medicina Generale (SIMG). Utilizzando il campione di popolazione di questo studio, rappresentativo della popolazione italiana adulta di età 40-79 anni, gli autori della ricerca hanno calcolato il livello di rischio cardiovascolare, la distanza dal target per la colesterolemia LDL e il diritto alla rimborsabilità dei farmaci ipocolesterolemizzanti secondo l’ultima versione della nota 13 che risale a luglio 2014.

La Nota 13. Rappresenta il documento ufficiale che regola la rimborsabilità dei farmaci ipolipidemizzanti in Italia. Periodicamente aggiornata sulla base delle nuove ricerche scientifiche, la nota 13 vincola da alcuni anni la rimborsabilità di questi farmaci al riscontro di elevati livelli di rischio cardiovascolare globale. Questo rischio va stimato ricercando condizioni di dislipidemia su base genetica, o la presenza in anamnesi di pregressi eventi cardiovascolari o di condizioni considerate “equivalenti” in termini di rischio associato, o ancora mediante l’uso di specifici algoritmi (attualmente la nota prevede l’uso dell’algoritmo “SCORE”). La nota definisce anche i target terapeutici ai quali va portato, mediante l’intervento terapeutico, il livello della colesterolemia LDL del paziente. La conoscenza del numero di pazienti che presentano le caratteristiche cliniche definite nelle varie “celle” della nota, e delle rispettive distanze dal target, può permettere di stimare in modo preciso la necessità teorica d’impiego dei farmaci ipocolesterolemizzanti in Italia, consentendo un’accurata pianificazione delle risorse economiche necessarie. I ricercatori hanno utilizzato i dati dello studio Cholesterol: Education Control and Knowledge (CHECK) per ottenere proprio queste informazioni.

I livelli di colesterolo. Dallo studio CHECK, condotto su circa 5.600 soggetti di età compresa tra i 40 ed i 79, è emerso come i soggetti ad alto e altissimo rischio cardiovascolare siano un terzo del campione (35%). Di questi soggetti, solo una quota molto piccola è “a target” per il livello del colesterolo LDL. In particolare, nei soggetti a rischio molto alto, il raggiungimento del target (LDL <70 mg/dL) solo il 2,6% dei soggetti è spontaneamente “a target”, rispetto al 97,4% che, invece, non raggiunge il target stesso. Allo stesso modo, nei soggetti a rischio alto, è spontaneamente a target solo il 17,6% dei soggetti (rispetto al 82,4% che non lo raggiunge).

La popolazione a rischio. Il 19,9% dei soggetti del campione è risultato a rischio cardiovascolare “molto alto”, e il 15,1% a rischio “alto”. La rappresentatività del campione CHECK rispetto alla popolazione italiana consente di concludere che, ragionevolmente, le stesse percentuali riguardano la popolazione italiana di pari età (circa 31 milioni di soggetti nel 2014). Si può quindi calcolare che 6,17 milioni e 4,68 milioni di soggetti in quell’intervallo di età abbiano nel nostro Paese un rischio cardiovascolare “molto alto” o “alto” secondo i criteri della nota 13.

Le terapie. Ai soggetti a rischio “molto alto” la nota attribuisce un target terapeutico pari a ≥70 mg/dL per la colesterolemia LDL; la quasi totalità di questi soggetti, come si ricordava (>97%), ha valori della colesterolemia LDL più elevati di questo valore target ed ha bisogno perciò di un trattamento farmacologico. Per i soggetti a rischio “alto”, cui la nota attribuisce un target terapeutico per la colesterolemia LDL ≤100 mg/dL, la percentuale dei soggetti non a target scende all’82,4%. Il 30% circa dei soggetti non a target dista meno del 20% dal proprio target: in questi soggetti la riduzione necessaria della colesterolemia LDL può essere ottenuta mediante la correzione dietetica eventualmente integrata dall’uso di nutraceutici (fitosteroli, beta-glucano, proteine di soia ecc.) senza ricorrere ad un trattamento farmacologico ipocolesterolemizzante specifico. Il rimanente 70% dei soggetti non a target (che dista dal proprio target >20%) necessita invece, con ogni probabilità, di un trattamento farmacologico mirato. Nella stima desumibile dai dati CHECK, si tratta del 29% circa della popolazione italiana adulta 40-79 anni e poiché i soggetti in questa fascia di età in Italia sono circa 31 milioni, emerge una teorica candidabilità al trattamento con statine per 9 milioni di persone.

Gli effetti sulle prescrizioni. Secondo i ricercatori, queste stime possono essere di grande utilità per una razionale pianificazione dell’allocazione delle risorse alla farmacoterapia delle ipercolesterolemie. Un sistematico impiego delle statine e dei farmaci ipocolesterolemizzanti, secondo i criteri fissati dalla vigente nota 13, comporterebbe, secondo i dati raccolti, un sensibile aumento della prescrizione, in regime di rimborso, sia delle statine generiche, sia delle statine a maggiore efficacia, e sia ancora della combinazione a dosaggio fisso simvastatina-ezetimibe. Un simile scenario indurrebbe da un lato un aumento dei costi, per il SSN, ma anche una riduzione degli eventi coronarici e cardiovascolari osservati nella popolazione, e dei rilevanti costi sanitari e sociali connessi alla gestione di tali patologie.

Emanuela Vinci 

© RIPRODUZIONE RISERVATA