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Giovedì 12 FEBBRAIO 2015
Siamo medici. Appena laureati. Ma l’esame di Stato a cosa serve?



Gentile Direttore,
siamo neolaureati e medici neoabilitati da poco iscritti ai rispettivi Ordini provinciali di appartenenza che la scorsa settimana hanno sostenuto l’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione medica.
Scriviamo questa lettera aperta per portare all’attenzione delle Istituzioni competenti la necessità di un profondo ripensamento delle modalità del suo svolgimento.
 
Secondo il vigente sistema formativo, il percorso di laurea di uno studente in medicina dura 6 anni, durante i quali dovrebbero essere acquisite le competenze teoriche e pratiche per una basilare autonomia professionale.
Ciò viene realizzato mediante la didattica frontale nelle aule universitarie e tramite tirocini formativi all’interno di reparti accreditati.
 
Al termine di tale percorso, lo studente ottiene il diploma di laurea che ne attesta la validità, ma che in termini pratici non ha valore alcuno, in quanto tale certificazione attribuisce unicamente il titolo di dottore in medicina e chirurgia, ma non di medico chirurgo a tutti gli effetti.
 
Per gli studenti che si laureano in corso nelle sessioni estive di luglio e in quelle autunnali di ottobre occorre infatti solitamente aspettare il mese di novembre per iniziare il cosiddetto tirocinio post laurea per l’abilitazione all’esercizio della professione.
 
Si tratta di un periodo trimestrale che si conclude entro gennaio dell’anno seguente durante il quale ogni neolaureato ruota tra un reparto di medicina interna, un reparto di chirurgia e un ambulatorio di medicina generale, affidato a specifici tutor che al termine di ogni mese certificano l’acquisizione di specifiche competenze.
 
Qui si riscontra la prima grande contraddizione di questo percorso di abilitazione. Se si ammette, come lecitamente dovrebbe essere sulla carta, che il tirocinio abbia carattere valutativo, sarebbe necessaria un’attenzione diversa e più approfondita da parte dei medici responsabili di fornire il giudizio sul candidato.
 
Ciò spesso non avviene, e i neolaureati si ritrovano conseguentemente ad effettuare una fotocopia del tirocinio pre laurea, affiancando medici già fortemente impegnati nel loro quotidiano lavoro e che, volenti o nolenti, non hanno per ovvi motivi la possibilità (e purtroppo in alcuni casi peggiori nemmeno la volontà) di seguire debitamente il loro assegnato che rischia di essere addirittura "d'intralcio".
Anche se si tratta di una semplice proposta, si potrebbe in tal senso suggerire una sorta di sospensione o esonero parziale dall’attività lavorativa a tempo pieno per un corretto affiancamento dell’esaminando.
 
Se invece, come spesso accade, si tratta più che altro di un supplementare tirocinio formativo viene spontaneo chiedersi se sia davvero necessario effettuare 3 mesi di formazione post laurea all’interno di reparti che lo studente ha nella maggior parte dei casi già frequentato.
Laddove vi fosse tale esigenza sarebbe decisamente più opportuno incrementare direttamente le ore di tirocinio durante il percorso universitario, ripensandone, dunque, la distribuzione complessiva.
 
Terminato poi il periodo di tirocinio, se superato con valutazione complessivamente sufficiente, il neolaureato accede al test finale per l’abilitazione, che consiste nel rispondere a 180 quesiti a risposta multipla, ripartiti in una sezione pre clinica e una sezione clinica.
 
E qui si riscontra la seconda contraddizione: tutti i quiz del test sono estrapolati da una banca dati di circa 7000 quesiti, predisposti dal MIUR, aggiornati di anno in anno e soprattutto messi a disposizione dei candidati almeno 60 giorni prima (in teoria) dello svolgimento della prova.
 
In questo modo è possibile esercitarsi su di essi tramite simulazioni, arrivando al giorno dell’esame praticamente certi del suo superamento.
Il risultato è una prova che molto spesso è più un esercizio mnemonico e di pazienza, che di conoscenza e competenza.
 
A ciò si deve aggiungere che molti dei quesiti sono incoerenti tra loro, risultano in antitesi con alcune delle più basilari certezze acquisite durante il percorso di studio, sono talmente specifici che è praticamente impossibile rispondere con ragionevole certezza e, addirittura, presentano elementari errori (anche se ci piacerebbe più parlare di orrori) di ortografia.
Abbiamo documentato questa imbarazzante situazione, che chiaramente evidenzia il fatto che la banca dati dei quiz non viene nemmeno revisionata, mediante alcuni screenshot che alleghiamo a questa lettera. Si tratta solo di pochi esempi emblematici, ma gli errori si contano in centinaia di quiz.
 
Il risultato di questa prova di abilitazione è che complessivamente un neolaureato spende dai 7 (se si laurea in luglio) ai 4 mesi ulteriori dopo il percorso di laurea  per essere ufficialmente idoneo all’esercizio della professione e potersi gettare nel mare magnum delle sostituzioni, delle guardie mediche e di tutte le altre attività che permettono una prima e basilare fonte di reddito, in attesa poi dell’ingresso in scuola di specializzazione (altri tasti dolenti che non tratteremo in questa sede).
Senza contare inoltre che coloro che invece si laureano durante la sessione invernale dell’anno seguente (compresa tra febbraio e marzo), pur venendo riconosciuti come “in corso” dall’ateneo di riferimento, rischiano invece di non ottenere l’abilitazione in tempo per l’accesso al concorso di specializzazione.
 
Il tutto per un tirocinio mal collocato e per un test che alla prova dei fatti risulta un’inutile e ininfluente formalità, al costo non inferiore di circa 300 euro, che in caso di mancato superamento metterebbe le università nell’imbarazzante situazione di aver formato e laureato degli studenti non idonei all’esercizio della medicina e che invece allo stato delle cose permette a questi ultimi di abilitarsi “a pieni voti” pur non avendo l’opportuna autonomia per svolgere serenamente la propria professione.
 
Questa lettera non vuole essere una sterile polemica, ma un caldo invito rivolto a ripensare i tempi e le modalità con cui viene a tutti gli effetti riconosciuto il titolo di medico chirurgo.
 
Da alcuni anni diverse associazioni e gruppi studenteschi hanno iniziato a proporre l’idea di una laurea abilitante, che permetta senza troppo dispendio di tempo e risorse l’abilitazione all’esercizio della professione in concomitanza con il termine del percorso universitario senza un ulteriore test di valutazione.
Il tutto, naturalmente, in parallelo ad una seria riforma dei processi di acquisizione delle competenze pratiche durante i percorsi di tirocinio formativo.
 
Le modalità con cui ciò si potrà effettuare potranno essere di concerto definite coinvolgendo i vari attori in campo, studenti, MIUR, FNOMCeO, e Ministero della Salute in primis.
 
Ci auguriamo di aver dato voce a diversi nostri colleghi e coetanei e invitiamo chi di dovere ad attivarsi in merito.
 
Dott. Stefano Guicciardi, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
Dott. Gianfranco Vitiello, Università degli Studi di Firenze
Dott.ssa Eleonora Leopardi, Università degli Studi di Roma “Sapienza”
Dott. Ignazio Palazzi, Università degli Studi di Bologna
Dott. Lorenzo Suardi, Università degli studi di Brescia

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