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Lunedì 02 MARZO 2015
Finalmente il Senato ha svelato il “bluff” della sostenibilità

Le prime conclusioni dell’indagine della Commissione Igiene e Sanità smontano il postulato assoluto impostoci negli ultimi tempi. E cade così la pretesa  che fino ad ora ha giustificato  e continua a giustificare  i tagli lineari del governo

Se “rilevante” significa  qualcosa di  grande significato per il contesto sanitario  in cui ricorre, allora devo confessare la mia difficoltà crescente  a far fronte alle tante  “rilevanze”  che ormai si impongono quotidianamente  alla nostra discussione. Le rilevanze sono tante per cui si è sempre nell’imbarazzo di scegliere rilevanze tra rilevanze.
 
La prima  è il draft  che sintetizza “l’indagine sostenibilità” del Senato (QS 25 febbraio) con il quale (finalmente) mi sento in sintonia almeno   nelle sue linee essenziali e che  per molti versi ritengo diverso dall’indagine analoga   della Camera (Qs 17 luglio 2014) .
 
Le diversità sono tante, ma la più importante è  considerare, come  ho sostenuto  in questi anni  fino a spolmonarmi, la sostenibilità  non è un postulato assoluto e imperativo ma  semplicemente una  categoria di pensiero“relativa  al sistema che si ha cioè se non vi fosse la corruzione, la disorganizzazione,  le diseconomie,  la sanità sarebbe a parità di risorse super sostenibile”. (QS 24 luglio 2014).
 
La ridefinizione del concetto di sostenibilità  del Senato  ha molte conseguenze importanti:
· cade la pretesa  che fino ad ora ha giustificato  e continua a giustificare  i tagli lineari   del governo;
· si afferma l’idea  che la sostenibilità, (che se presa alla lettera come ho detto tante volte  vuol dire altro tipo di sviluppo sanitario), è una funzione  che varia in relazione ai suoi argomenti  f (x...);
· finalmente si mettono  al centro delle politiche  i legami che esistono tra la sostenibilità  e tutte le tante variabili  costitutive ed interdipendenti del sistema sanitario (governabilità, organizzazione dei servizi ,allocazione delle risorse, politiche del  lavoro, ecc.) .
 
Ma se questa è  l’idea corretta di sostenibilità  cambia, anche , il ruolo e la responsabilità di chi governa  le sue variabili, cioè dei veri determinanti  di sostenibilità,  e che in ragione di ciò possono decidere che un sistema sanitario sia  relativamente sostenibile o relativamente insostenibile. Cioè   cambia il ruolo delle  Regioni  e delle aziende. Se la sostenibilità è  un prius assoluto Regioni e aziende sono le vittime dei tagli lineari  ma se la sostenibilità è  una qualità relativa che coemerge da come si governa un sistema, in questo caso i limiti delle  Regioni e delle  aziende  diventano la causa implicita dei tagli lineari (si veda il dossier Agenas sulla spesa sanitaria regionale, QS 1 marzo 2014). 
 
Il governo  Renzi  come il governo Monti considera ancora oggi  la sanità insostenibile soprattutto perché  non si fida  delle  Regioni. Questo rende ancor più grottesca e ridicola  l’intesa che le Regioni hanno sottoscritto  con il governo sulla riduzione del FSN perché è come se  avessero controfirmato una accusa di incapacità politica accettando il taglio al fsn  come una giusta   punizione.
 
La seconda cosa rilevante riguarda  la questione delle liberalizzazionie questo strabordante e impressionante  senso comune  (al quale si è felicemente sottratta  Sel e Scelta civica...complimenti ) tutti uniti a dire, che i farmaci di fascia C debbano restare in farmacia  e che  le “catene”  snaturerebbero la natura di servizio della farmacia. Per favore...a tutto c’è un limite...ma di cosa stiamo parlando? Il farmaco di fascia C  è sotto la potestà scientifica di una prescrizione medica e di una distribuzione la cui qualità è garantita dal farmacista sia che avvenga  in una farmacia, in una parafarmacia o come in Usa in un supermercato. L’unico danno che i farmaci di fascia C provocherebbero  se uscissero dalla farmacia è al bilancio dei loro titolari che guadagnerebbero di meno...svantaggio compensato ampiamente dai vantaggi  occupazionali che si avrebbero  perché molti farmacisti disoccupati  potrebbero lavorare.
 
Quanto alla natura della farmacia....mi chiedo  in cosa consiste questa natura... quello che vedo è una tendenza smodata della farmacia ad allargare il concetto di farmaco....a qualsiasi cosa abbia un prezzo ...e un plus valore...per guadagnarci  sopra fino a configurare spesso  la farmacia non un servizio  ma  uno “spaccio”  ...o se  preferite uno “store” in cui si vende praticamente di tutto. Trovo discutibile che tutta la sanità si muova nella logica interconnessionale  delle “catene” per risparmiare e funzionare meglio (area vasta per gli acquisti, reti di servizi, integrazione tra ospedale e territorio, hub spoke  ecc) e la stessa logica non si possa applicare alle farmacie.
 
Per favore... è come se dicessi che mettere gli ospedali in rete snaturerebbe  l’ospedale! Credo invece che  i criteri di economia di scala che sono insiti al discorso delle catene possano dare dei vantaggi  soprattutto sul piano dei prezzi, dei costi distributivi e ancora  sul piano occupazionale. Chi ci rimette è chi non vuole competere perché  dovrebbe rinunciare al protezionismo  dello Stato che sino ad ora gli ha garantito dei bei  fatturati  a rischio zero.
 
La terza cosa rilevante è al limite della barzelletta  e riguarda le  giuste reazioni   degli infermieri e delle loro rappresentanze  alle intenzioni di Rossi  il presidente della Toscana, di sostituire gli infermieri con gli Oss. Anch’io  e l’ho scritto (QS 25 febbraio 2015) sono contro l’uso dissennato della vicarianza  professionale  per sfruttare il lavoro più conveniente,  ma sono contro la vicarianza dissennata e lo sfruttamento  in quanto tale. Ecco perché il costo zero alla base del comma 566 non riesco proprio a digerirlo. Cioè per  me non esistono figli e figliastri. Tutte le professioni sono valori da preservare e da sviluppare in un progetto coevolutivo.  
 
Per   l’Ipasvi  invece che  non  ha progetto e non sa dove mettere le mani per  applicare integralmente una legge di 16 anni fa  (L.42) e un’altra di 9 anni fa (L.43)  è giusto “rubare” ad altre professioni delle competenze ma  nello stesso tempo  non è giusto che le proprie competenze siano a loro volta  “rubate” da professioni più convenienti. Possibile mai che non si capisca che il comma 566 fortemente voluto dall’Ipasvi  espone tutte le professioni  a delle manipolazioni  perché  apre  la strada ad un metodo che  scomponendo  le professioni in mansioni  le alloca  con maggiore flessibilità nelle operazioni  di riduzione, di accorpamento e di accentramento  dei servizi?
 
Possibile mai che la senatrice Silvestro, che mi si dice, sia   pronta a ricandidarsi  alla presidenza Ipasvi  per l’ennesima volta, non riesca a collegare a tutela della sua professione, riordino, demansionamento e 566 e decapitalizzazione del lavoro? Ma davvero lei pensa che le  Regioni vogliono riconoscere agli infermieri  delle competenze avanzate togliendole ai medici, in funzione, come dice lei, dell’upgrading? Possibile mai  che la presidente Ipasvi   non  intraveda il rischio  che si sta correndo di spingere con il suo consenso sconsiderato  solo una parte della categoria  infermieristica verso la specialistica  lasciando il resto, cioè la parte più cospicua , in balia del mercato boario  del demansionamento ? Presidente... con tutto il rispetto ma  delle due ...l’una  ...o ci fa o ci è.
 
Ivan Cavicchi

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