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Giovedì 19 MARZO 2015
Infermieri. Ben vengano gli Stati Generali proposti da Cavicchi



Gentile Direttore,
dopo aver letto l’articolo del Prof. Cavicchi del 10 marzo, riguardante il 17° Congresso Ipasvi tenutosi a Roma, e l’articolo di commento del presidente Massai del collegio di Firenze, sempre sul suo giornale dell’11 marzo, ho la necessità di far sentire anche la mia voce. Il presidente Massai a dir il vero mi pare giustifichi una opposizione che non si è vista o quanto meno non si è vista come tale, descrivendo quel congresso come un convegno inutile, rituale e senza contenuti e per giunta ad uso e consumo di quella che lui stesso definisce una “dittatura dolce”.

Mi sono ritrovata appieno nelle parole del prof Cavicchi e mi sconvolge pensare che siano state scritte da una persona “estranea” alla professione, e non da coloro che avrebbero dovuto rappresentarmi al principale congresso infermieristico. Mi sconvolge ancora di più essermi resa conto che gli infermieri siano dominati da una dittatura che, per quanto dolce, resta una dittatura. Avrei avuto piacere che i miei rappresentanti si fossero adoperati a portare in discussione al congresso la nostra situazione lavorativa, che, le assicuro signor direttore, appartiene a centinaia di migliaia diinfermieri fino a connotare, quasi a marchiare, una intera categoria.

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un cambiamento del tipo di “utenti”, sempre più anziani e con patologie croniche e disabilitanti a cui avrebbe dovuto far fronte una strategia diversa dal punto di vista assistenziale per evitare ricoveri lunghi, inappropriati e soprattutto che vanno a ridurre la già precaria autonomia dei pazienti. Le Regioni stanno varando leggi di riordino per stare nei costi che colpiscono soprattutto gli ospedali (cioè il numero di posti letto) ma sono molto lontane dal concepire la necessità di una riorganizzazione del lavoro e delle risorse professionali per garantire un’assistenza di qualità, e ridurre quindi i costi riducendo le complicanze.

Noi infermieri gran parte dell’orario di lavoro lo passiamo a svolgere attività di tipo igienico-alberghiero che esulano dalle competenze descritte nel nostro profilo professionale. Sia le norme nazionali, che quelle regionali prevedono la presenza di tutte le figure necessarie all’assistenza ed al soddisfacimento dei bisogni primari del malato in maniera idonea e costante nell’arco delle 24 ore, ma di fatto in reparto ci siamo solo noi, e così non potendo sopperire a tutto lasciamo spesso da parte il nostro lavoro per svolgere quello degli altri, abbassando la guardia ed erogando un’assistenza pessima che ricade sul paziente. Non lavoriamo con degli oggetti, bensì con persone, che hanno il diritto di essere assistite in modo consono, non possiamo arrecargli ulteriori danni o disabilità, non giova a loro, a noi e neanche all’Azienda che deve sopperire ad ulteriori costi. In 7 ore di lavoro riusciamo ad essere: ausiliari, OTA, OSS, psicologi, fisioterapisti, piantoni, tecnici di elettromedicali, camerieri e colf, esiste qualche altra professione così versatile?

Come dettato dal Codice Deontologico, che non citerò nel dettaglio, negli ultimi mesi abbiamo inviato, insieme ai miei colleghi di reparto, diverse segnalazioni scritte dei nostri disagi al Direttore Infermieristico, senza aver ottenuto assolutamente niente, non ci è stata concessa neanche una possibilità d’incontro per discutere insieme, perché questo direttore che è pagato per occuparsi dei nostri problemi organizzativi e funzionali in seno all’ospedale, a tutt’oggi non si è mai presentato in reparto, ritenendo, non si sa su quali basi, che i problemi che noi denunciamo in realtà non sussistano. Cioè che le cose sono esattamente come devono essere. Comprenderà signor direttore come le parole del prof Cavicchi mi abbiano particolarmente colpita specialmente quando riporta quelle situazioni nelle quali gli infermieri, solo perché si oppongono al demansionamento, subiscono ritorsioni di ogni tipo o sono puniti con i trasferimenti, finendo per essere bollati come dei soggetti “sovversivi”.

In genere, mi creda direttore, le parlo per esperienza, funziona che coloro che più degli altri si espongono denunciando come è loro diritto le criticità, vengono direttamente o indirettamente minacciati, e spesso si fa paventare un imminente trasferimento in altra unità operativa dove in genere peggiorano le condizioni di lavoro, così da creare un clima di “terrore” tra i colleghi per scoraggiare dissensi, insofferenze, critiche e lamentele. La maggior parte dei miei colleghi di lavoro sono demotivati, fiaccati nell’orgoglio, intimoriti dalle possibili conseguenze della loro protesta e alla fine chinano la testa invocando il buon senso della prudenza. Io sono stanca di vedere tanta mortificazione in persone che, sottopagate, danno il meglio di loro stessi per i loro ammalti. Per questo oggi mi rivolgo a lei, al suo giornale, allo spirito democratico che lo anima, per far sentire la mia voce e lo voglio fare anche per chi non lo può fare. Sono stanca che non venga dato il giusto riconoscimento alla nostra professione, perché è una professione che ho scelto, che mi ha trasformata, che mi ha dato e mi da tanto, che amo profondamente e che nonostante tutte le difficoltà sceglierei ancora.

Perciò mi sento in dovere di “combattere” affinché persone come questi “capetti” (come li definisce l’autore dell’articolo a cui faccio riferimento), che io non ritengo assolutamente degni della qualifica di Infermiere, non osino più minacciare noi lavoratori immiserendo ulteriormente la nostra professione anziché farla progredire come avviene nel resto dei Paesi. Noi non ci divertiamo a segnalare a chi di dovere le cose che non vanno. Sele cose non vanno a rimetterci sono i pazienti prima ancora dei nostri profili professionali. Se noi dobbiamo “custodire l’onore dei malati” come ci ha invitato a fare Papa Francesco, noi abbiamo il dovere di pretendere come vuole la deontologia di essere messi nella condizione di svolgere i nostri doveri....almeno fino a quando i doveri delle professioni sono visti come le prime garanzie per i diritti degli ammalati.

Detto ciò, è vero, lo confermo: “Il primo problema dell’infermiere è l’infermiere”. Siamo tanti e diversi ed è difficile coalizzare tutti, perché come ci dimostrano i nostri dirigenti, molti guardano solo al proprio orto. Eppure, non possiamo rinunciare a unirci nonostante all’interno della nostra rappresentanza vi siano coloro che usano le nostre divisioni interne per indebolirci nella nostra azione quotidiana e nelle nostre legittime aspirazioni. Non possiamo sottrarci al dovere di unirci come professione nella professione per pretendere che si affermi ciò che sia meglio non per noi ma prima di tutto per chi soffre e sta male.

Ben vengano gli stati generali proposti nella mozione di minoranza proposta dal prof Cavicchi, proposta che se non ricordo male, è da tempo che egli tenta senza risultato di porre alla nostra attenzione. Ormai nelle condizioni in cui siamo non sono più rinviabili. Dobbiamo dire basta a tutti quelli che fingono di rappresentarci e che ci prendono in giro (perché di questo si tratta) e il cui unico scopo è star seduti in poltrona, avere un briciolo di potere per soddisfare le proprie miserabili vanità, cercando escamotage per raggirare i problemi, evitando così di adempiere ai propri doveri e impendo a noi di fare il nostro. Se penso al congresso Ipasvi mi vergogno di essere così mal rappresentata e mi rammarico del fatto che i suoi dirigenti siano potuti arrivare a ricoprire tali cariche per così tanti anni.

Giunti ormai ad una così bassa considerazione sociale della professione (addirittura il Presidente Rossi, che personalmente ho sempre stimato, propone non di affiancare, bensì di sostituire l’infermiere con l’oss!!) è diventato davvero un dovere disobbedire per non essere corresponsabile di ciò che non può in nessun modo essere più tollerato. Se noi, che siamo la principale “forza lavoro” del SSN, ci organizziamo con una proposta di qualità della professione, combattendo prima di ogni altra cosa il demansionamento cronico della professione potremo sperare di cambiare e migliorare un sistema che allo stato dei fatti è ormai sempre più esausto, auspicando che quel famigerato lavoro di equipe prevalga sugli egoismi personali di ciascuno di noi per erogare veramente un servizio di qualità ed eccellenza.
 
Francesca Bufalini
Infermiera 

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