quotidianosanità.it

stampa | chiudi


26 APRILE 2015
Congresso di epatologia/2. Dalle mutazioni del DNA, la ‘ricetta’ per trattare su misura il tumore del fegato

Uno studio francese basato sulla tecnica del sequenziamento dell’esoma, ha consentito di individuare nuove alterazioni del DNA, correlate a vari stadi della ‘vita’ del tumore e all’esposizione a fattori di rischio quali fumo, alcol, aflatossine. Rappresentano una possibile guida per la scelta di terapie personalizzate per il singolo paziente.

L’impiego di analisi genomiche  potrebbe aiutare a individuare modalità e tempi di comparsa delle mutazioni cancerogene, nei pazienti con carcinoma epatocellulare, consentendo così di disegnare un preciso profilo molecolare del tumore. La speranza è che questo permetta di individuare i pazienti che possono trattare benefici da specifici trattamenti anti-tumorali a target.
 
Il carcinoma epatocellulare è una malattia molto eterogenea che in genere si sviluppa a partire da una patologia cronica del fegato, determinata da vari agenti eziologici. Le analisi genomiche potrebbero autare a dipanare i processi mutageni alla base della trasformazione delle lesioni precancerose in tumore del fegato.
 
Uno studio francese presentato al congresso dell’EASL ha utilizzato una tecnica particolare,  detta di sequenziamento dell’esoma (un procedimento che consente di sequenziare tutti i geni codificanti proteine presenti nel genoma). Questo ha permesso di individuare le relazioni tra esposizioni ambientali (ad esempio fumo di tabacco e alcol) e i pattern mutazionali nel carcinoma epatocellulare (HCC). Sono stati inoltre individuati i geni ‘driver’ e le vie alterate nei vari stadi clinici di malattia.
 
“Le firme mutazionali  - spiega la professoressa Jessica Zucman-Rossi, direttore del laboratorio Functional Genomics of Solid Tumors dell’ INSERM/Università di Parigi Descartes – ci consentono di ricostruire la storia biologica di un tumore e permettono di distinguere tra i processi mutazionali in corso e quelli ‘storici’. Tutto ciò è di aiuto nell’individuare potenziali nuovi target per le terapie oncologiche”.
 
In tutto sono state individuate 8 mutazioni, 6 delle quali già in precedenza validate nell’ambito di un’analisi pan-tumorale (‘firme’ 1A, 1B, 4, 5, 6 e 16), mentre altre due (‘firme’ 23 e 24) sono del tutto nuove. Il clustering gerarchico, basato sulle firme mutazionali ha evidenziato la presenza di 6 gruppi (MSig 1-6) e 4 singoli casi risultati significativamente associati con specifici fattori di rischio (in particolare esposizione al fumo e all’alcol, oltre che all’aflatossina B1). Sono stati inoltre individuati 161 geni ‘driver’ putativi associati a 11 pathway. L’associazione delle mutazioni ha consentito di definire 3 gruppi di geni incentrati su CTNNB1 (alcol), TP53 (HBV) e AXIN1.
 
Le analisi relative alla progressione dei stadi del tumore hanno evidenziato che la mutazione promoter TERT rappresenta un evento precoce, mentre l’amplificazione FGF/CCND1 e le alterazioni TP53 e CDKN2A compaiono negli stadi più avanzati dei tumori aggressivi.
 
La maggior parte dei pazienti è risultato portatore di almeno un danno mutazionale potenzialmente trattabile con un farmaco già approvato dall’FDA (28% dei pazienti) o con una molecola in fase di studio (86% dei pazienti), all’interno di trial di fase I-III.
 
“L’epatocancerogenesi – commenta il Professor Markus Peck, Segretario Generale dell’European Association for the Study of the Liver - è un processo che procede per tappe, nel quale le lesioni pre-cancerose possono alla fine diventare tumorali. Questo tipo di analisi ci consente di comprendere meglio le mutazioni coinvolte nello sviluppo dei tumori e questo può aprire la strada a trattamenti personalizzati”.
 
 
Maria Rita Montebelli

© RIPRODUZIONE RISERVATA