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Mercoledì 13 MAGGIO 2015
Tagli alla sanità e aumento delle pensioni. È la strada giusta?

Siamo nei Paesi Ocse tra quelli che spendono meno per la sanità pubblica, il 7% del PIL, ma più di tutti per le pensioni, il 14%. Eppure stiamo tagliando la sanità, i 2,6 miliardi del Def, e aumentando le pensioni, i 19 miliardi della sentenza per la loro reindicizzazione. E tra i risultati c'è che aumenterà la spesa sanitaria privata

Avevo analizzato qui su QS lo scorso 1 maggio la sproporzione nei tagli del Def a scapito di sanità e in particolare di farmaci e dispositivi. Analoga osservazione va fatta guardando alle pensioni. Siamo nei Paesi Ocse tra quelli che spendono meno per la sanità pubblica, il 7% del PIL, ma più di tutti per le pensioni, il 14% (il 15% con le invalidità). La Germania, ad esempio, spende rispettivamente quasi il 9% e il 10%.

Eppure stiamo tagliando la sanità, i 2,6 miliardi del Def, e aumentando le pensioni, i 19 miliardi della sentenza per la loro reindicizzazione (di pensioni già almeno il triplo del minimo e tutte con retributivo ovvero che già ridanno molto più di quanto versato). Quale razionale per questa sproporzione nelle scelte del Governo, anche al netto degli obblighi provenienti dalla decisione della Consulta?

Il malizioso penserà al differente “peso” nel Governo dei rispettivi Ministri, salute e lavoro. Entrambi validi e competenti, ma l'una è volenterosa e brava giovane politica di un esiguo partitino, l'altro un “big” dell’establishment economico e istituzionale con una vita nella più potente capillare realtà economico produttiva del Paese storica espressione del principale partito oggi al governo.

Il nodo cruciale, in termini di causa ed effetto, è di politica macro economica: la scelta di finanziare di più le pensioni a scapito della sanità sposta quelle risorse pubbliche verso consumi privati. Il nonno mantiene i giovani nipoti precari o disoccupati (purtroppo anche i figli ultracinquantenni licenziati per esubero) elargendo loro la paghetta per la benzina e il telefonino, oltre che sostenere la spesa e le bollette per tutta la famiglia. Una sorta di ammortizzatore sociale.

Ma, soprattutto nel rapporto con la sanità, una quota importante della sua pensione gli serve per pagarsi privatamente visite, analisi o interventi erogati male (o peggio) dalla sanità pubblica sotto finanziata a favore proprio della sua pensione. Col risultato che le risorse che in altri Paesi sono destinate dal Governo direttamente alla sanità pubblica, da noi finiscono con l’arrivare in buona misura indirettamente alla sanità, ma privata, attraverso le pensioni, per il nonno costretto a pagarsi direttamente la cataratta o il cardiologo per non aspettare un anno o più le code dell’Asl.

Si realizza un singolare loop riallocativo, ben più a valle della decisione governativa di destinazione delle voci di bilancio ma da essa stessa determinata nel momento in cui delibera la sproporzione tra spesa sanitaria pubblica e spesa pensionistica, ben sapendo che la domanda derivante da bisogni sanitari, data la sua incomprimibilità, se non soddisfatta adeguatamente dal servizio pubblico lo sarà dalla tasca privata.

Finendo così quelle pensioni nel loro complesso sovra finanziate, con l’alimentare buona parte dei circa 30 miliardi di spesa sanitaria privata l’anno, in una sorta di curioso “kreuslaf”, di flusso circolare del reddito, da risorse pubbliche (pensioni) a risorse per consumi privati (sanità).

In tal senso, allora, l’economista accorto si chiede, ma ancora di più dovrebbe farlo il decision maker politico, quale dei due modelli alternativi produca maggiori benefici collettivi, se cioè i moltiplicatori economici con le loro matrici di Leontieff, ovvero gli effetti positivi che s’ingenerano a valle, siano superiori nel finanziare direttamente di più la sanità pubblica, come appunto in Germania, o se, come avviene da noi, sia più produttivo indirizzare parte delle risorse verso le pensioni così che si trasformino in consumi privati, sanitari inclusi.

Prof. Fabrizio Gianfrate
Economia sanitaria 

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