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Venerdì 15 MAGGIO 2015
Se anche il PD torna a parlare di “universalismo selettivo”

Vi ha fatto riferimento recentemente la senatrice Emilia De Biasi, presidente della Commissione Igiene e Sanità. Un segnale pericoloso di possibili scenari di controriforma che tentano di imporre di fatto il male minore, lo svantaggio più piccolo. Supponendo che non esista una terza possibilità. Che invece esiste e si chiama riforma

Tutti noi sappiamo cosa sia un sintomo “patognomonico” cioè un sintomo che consente di riconoscere una certa malattia, perché associato univocamente ad essa e non ad altre. La malattia in questione è la controriforma nella sua forma più conclamata di privatizzazione della sanità, una brutta malattia degenerativa che causa la morte dell’art. 32 attaccando e neutralizzando le sue difese universalistiche e solidaristiche. Il sintomo patognomonico che la preannuncia è considerare l’universalismo selettivo come la soluzione per antonomasia. Vecchio cavallo di battaglia di Sacconi prima e della ministra Lorenzin dopo, degli economisti neoliberali, della Fimmg, e degli speculatori finanziari e di molti esponenti autorevoli del Pd.

In una dichiarazione recente la senatrice De Biasi (QS 7 maggio 2015), chiude la sua ricognizione sui problemi della sanità ponendo la questione “dell’universalismo selettivo” quale possibilità. La cosa che colpisce del suo discorso, è quella che in logica si chiamerebbe una “fallacia deduttiva”, cioè quando date certe premesse si hanno delle conclusioni strampalate...del tipo “ho le scarpe strette...e mi fanno male i piedi...quindi mi taglio i piedi anziché cambiare le scarpe”.

De Biasi nel suo intervento, giustifica il taglio da 4 mld chiesto alle Regioni con la spending review, giustifica le quantità dei tagli ponendo la questione del “dove” si andrà a tagliare, parla dell’appropriatezza, si lamenta che in Italia esistono 21 sistemi sanitari diversi, dice che serve un maggiore collaborazione tra Regioni e Stato, aggiunge che i tagli sugli ospedali debbono essere compensati con il territorio, quindi parla di nuovi Lea, del nomenclatore tariffario per protesi e ausili, di farmaci innovativi, di patto per la salute e di tante altre cose. Poi, alla fine, conclude dicendo: “E' necessario porci, più in generale, un problema di tenuta del sistema. In chiave di sostenibilità del Ssn dovremmo iniziare a parlare della possibilità di un universalismo selettivo".

E che c’entra l’universalismo selettivo? E proprio ora che la commissione presieduta dalla senatrice De Biasi con in testa la senatrice Dirindin ci ha appena detto che la sostenibilità non va intesa come scusa per smantellare il sistema e che il problema oggi non è la sostenibilità economica ma quella politica e culturale (QS 25 febbario 2015)? In realtà quella che pare una fallacia deduttiva di De Biasi non lo è se si conoscono le premesse reali non manifeste dalla quali parte la senatrice. Non va dimenticato che De Biasi resta una parlamentare del Pd che parla male dei tagli, del def, delle misure del suo governo, ma poi vota tutto quello che va votato. Per cui le premesse reali dalle quali parte sono quelle del governo. Ma De Biasi è anche colei, che come molti suoi colleghi di partito, è una fatalista, una specie di teorica dell’ineluttabile. Il suo linguaggio pubblico cede spesso il fianco ai più comuni luoghi comuni che girano da anni in sanità ("la coperta ormai è troppo stretta", "ormai ci troviamo di fronte ad un bivio” QS 17 aprile 2015) nei quali l’avverbio "ormai" è usato per esprimere fatalità e rassegnazione, e giustificare una qualche scelta obbligatoria.

Il “bivio” è la metafora preferita di De Biasi che a ben pensarci altro non è se non un escamotage che usa la dicotomia per dividere la sanità in due svantaggi, uno più piccolo e uno più grande, ma solo per farti scegliere comunque uno svantaggio. L’universalismo selettivo per De Biasi, alias Pd, è il male minore, lo svantaggio più piccolo, e che suppone che non esista una terza possibilità (tertium non datur). A De Biasi, al Pd, non viene in mente che sia possibile che il bivio sia un trivio o un quadrivio e quindi di allargare la coperta, cioè di risolvere lo stesso problema in un altro modo e con vantaggi per tutti. Ma perché non le viene in mente? Perché sembra “ignorare” l’esistenza di altre soluzioni cioè non ha un pensiero riformatore in grado di immaginare una terza possibilità. Ritorniamo al vecchio problema del “riformista che non c’è”. Il vero nemico della sanità pubblica.
Quando il “riformista che non c’è”, come nel caso della nostra senatrice, comincia a parlare di “universalismo selettivo” si ha inequivocabilmente un sintomo patognomonico che ci preannuncia, esattamente come un tuono, che da qualche parte vi è un temporale in arrivo e che quindi è possibile che piova.

Probabilmente questo temporale arriverà dopo le elezioni regionali e per risolvere quelle questioni che Gianfrate ha chiamato elegantemente “un singolare loop riallocativo” tra spesa sanitaria pubblica e spesa pensionistica" (Qs 13 maggio 2015). Ragionando sui dati ha ragione Gianfrate a temere una involuzione privatistica del sistema sanitario: spendiamo in pensioni il doppio di quello che spendiamo in sanità (14% contro 7%) e nonostante questo dato tagliamo in modo lineare la spesa sanitaria di 2.6 mld e, grazie alla sentenza sulla reindicizzazione delle pensioni, aumentiamo la spesa pensionistica di 19 mld. E’ evidente che porre artatamente in conflitto di compatibilità sanità e previdenza non porta a niente di buono. In questo quadro non mi meraviglia che ritorni tanto la questione della sostenibilità che il tormentone dell’universalismo selettivo. Il “riformista che non c’è”, ha in testa di abbassare ancora di più l’incidenza della spesa sanitaria in rapporto al pil. In sostanza è plausibile che, date le circostanze, con l’universalismo selettivo il governo proverà a recuperare un po’ di risorse per mettere la pezza alle pensioni, per affrontare il problema dell’edilizia scolastica, per dare un contentino a questo o a quello.

L’universalismo selettivo, in questo quadro, si pone molto semplicemente come una forma più radicale di taglio lineare che questa volta andrà oltre la quantificazione del Fsn per colpire universalismo e solidarietà, cioè la natura pubblica della nostra sanità. E la sanità che dice? Cosa risponde? Cosa spettiamo a scendere i piazza? Non bastano i sintomi patognomonici che abbiamo sotto il naso?

Ivan Cavicchi  

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