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Lunedì 25 MAGGIO 2015
“Il Riformatore e l'infermiere”. Un libro da leggere e da “attuare”



Gentile Direttore,
a 20 anni dall'abolizione del mansionario, il panorama dell'infermieristica italiana è assolutamente identico se non addirittura peggiorato. E' successo per gli infermieri quello che è successo alla nazione con l'euro. Cambiata la norma, si è pensato che la direzione da prendere fosse chiara, definita, ed invece la totale mancanza di governo e rappresentanza autorevoli ha prodotto uno scollamento totale dalla realtà, per l'euro come per gli infermieri; questi ultimi lasciati soli a decidere come muoversi, si sono presto accorti che quella indicata non era una strada ma un vasto labirinto dove sapersi orientare, un'abilità lasciata all'intraprendenza del singolo, giammai di un gruppo, figuriamoci della categoria intera. Così l'euro ha prodotto i suoi effetti mentre tutti gli italiani stavano a guardare, così l'abolizione del mansionario ha posto gli infermieri italiani di fronte ad un bel libro delle favole, letto come si fa con i bambini piccoli, più per farli addormentare che per suscitare in loro la consapevolezza di dover essere attori e artefici del cambiamento e del proprio destino.
 
Come si poteva pensare che una categoria di lavoratori da sempre abituata a prendere ordini da qualcuno, qualcuno che non apparteneva nemmeno allo stesso gruppo professionale, da un momento all'altro fosse capace di autodeterminarsi e costruire quel percorso professionale che partendo dai bisogni del malato, rifondasse il concetto stesso di assistenza e dunque di governo clinico, imponendo un cambiamento radicale nelle corsie, nelle università, negli uffici infermieristici e nei palazzi della politica? Lo si poteva solo sperare ed infatti, nulla di tutto questo è avvenuto se non la creazione di una falsa carriera che vede i più, sgomitare per arrivare al massimo a occupare un posto da coordinatore, da posizione organizzativa e in qualche caso, da dirigente delle professioni, per non parlare della totale assenza di prospettiva di carriera universitaria fatta di ricerca e cattedre di infermieristica.

Non si è preparato il processo, non lo si è governato ed oggi vediamo il totale fallimento di una ambizione che in linea di principio era giusta e oggi, ancora più drammaticamente attuale, a causa degli effetti collaterali che nel tempo si sono generati. E' grazie alle intuizione di una straordinaria collega Chiara D'Angelo, profondamente impegnata nella causa infermieristica, se oggi possiamo provare a ripartire da una analisi che ci consenta di concentrarci sull'accaduto. Possiamo farlo grazie all'opera che ha scritto con la collaborazione del Professor Ivan Cavicchi: “Il Riformatore e l'Infermiere – il dovere del dissenso”. Il lettore capirà che tentare di creare un punto di non ritorno, attraverso una analisi organica e sequenziale dei fatti, è opera meritoria nel momento in cui si diventa consapevoli del fallimento cui accennavo e anziché celebrare il processo ai colpevoli, tristemente noti tra l'altro e dalla sentenza più che scontata, si decide di provare a ridare indicazioni chiare per la ripartenza del processo di evoluzione di fatto mai iniziato.

Paradossalmente infatti, questo libro fa oggi quello che altri attori avrebbero dovuto fare 20 anni or sono. Creare un dialogo interlocutorio all'alba della nuova era infermieristica così da coltivare il senso di consapevolezza e giusta ambizione che avrebbero consentito fin da allora, di trasformare il labirinto in un bel cammino dritto, magari ostacolato da qualche collina, da qualche necessaria curva ma condiviso e percorso dall'intera categoria, come unica vera strada per la realizzazione di quanto oggi, più di qualsiasi altra cosa, vorremmo veder riconosciuto: il prestigio e l'autorevolezza del ruolo derivante dal riconoscimento sociale, maturato sul campo del rapporto cittadino infermiere, sul nostro campo quindi, quello dove il patto tra noi e il malato trova il consolidamento dell'alleanza necessaria perché il processo di guarigione sia condiviso e partecipato. Prestigio che non può prescindere da una stretta collaborazione e riconoscimento del ruolo di tutti gli attori del panorama sanitario, posto che la comunione di intenti ha come solo ed unico fine, quello di dare le risposte più adeguate alla domanda di salute che con il passare degli anni, è sempre più cresciuta diventando sempre più costosa.

Questa esplosione della domanda ha colto tutti impreparati perché pochi o nessuno ha saputo sfruttare gli strumenti che le norme mettevano a disposizione, così che si è affrontato il problema proponendo sempre e solo per la stessa identica soluzione. Non si è investito sul personale, non si è attivata l'intelligenza che avrebbe potuto consentire di delocalizzare sul territorio la gran parte delle risposte possibili, continuando invece a centralizzarle verso l'ospedale e la figura del medico quindi, perdendo 20 anni di esperienza nel potenziamento dell'assistenza e della prevenzione.
Personalmente riconosco nel dovere del dissenso, così come proposto dagli autori, motivo di orgoglio e guida nella mia vita professionale; dissenso che già nel 2003 vedeva me ed alcuni miei amici, consegnare ai rappresentanti della federazione il “pappagallo d'oro”, simbolo del fallimento dalla riforma certificato allegoricamente già all'epoca, dopo 9 anni.
Non posso quindi che concordare con la tesi che il dissenso sia un valore ed un dovere e che non è più possibile tacere. Però a ben guardare o meglio a ben sentire, in tutte le occasioni e le circostanze in cui gli infermieri si ritrovano, dagli importanti convegni alle pause caffè nelle cucinette di reparto, è raro trovare un infermiere che non abbia contezza dello stato di fatto in cui si trova la categoria ed esprima dissenso di fronte alla necessità di imboccare finalmente la strada giusta, pur allargando le braccia nel più classico gesto di impotenza e sconforto, di fronte a qualcosa percepito sempre come impossibile da realizzare.
 
E' questa triste rassegnazione qualcosa di più generale e caratterizzante il popolo italiano no?
 
Però la storia anche quella recentissima, ci ha insegnato e più volte confermato che gli italiani sono un popolo di gente che non sa più unirsi attorno ad un'idea ma piuttosto attorno ad un leader. E' triste dirlo ma questa lugubre verità può e deve essere allora sfruttata per il fine alto che ci siamo posti. Dobbiamo ragionare ed agire da leader, lavorare perché qualcuno dei nostri rappresentanti sia da tutti riconosciuto come tale. Può farlo solo qualcuno che non abbia ancora svenduto la propria credibilità, qualcuno quindi che si sia distinto per integrità morale e rettitudine nell'opera di dissenso appunto. Abbiamo le idee per fortuna e se non cominciamo a veicolarle attraverso una campagna informativa forte, capillare attuata da leader appunto, anche il tentativo di questa nuova partenza fallirà miseramente e nelle cucinette di reparto continueremo ad assistere alle solite e stantie discussioni che si concludono sempre con il più classico degli: “è vero ma purtroppo è così e cosa ci possiamo fare?”.

Pensare che il libro abbia l'effetto di far nascere autonomamente in ogni infermiere la consapevolezza auspicata non sarà sufficiente se questa campagna non sarà accostata ad un volto che incarni e veicoli questo pensiero con tutti i mezzi mediatici a disposizione. L'onere e il coraggio di intraprendere questa strada spetta al NurSind, perché solo NurSind ha avuto il coraggio di porre la questione e solo un volto NurSind può portare avanti questo obbiettivo avendo ognuno dei suoi rappresentanti la credibilità che deriva dal non essere mai scesi a compromessi al ribasso avendo sempre come faro guida, il sogno di veder compiuta la riforma tanto agognata e un'area contrattuale autonoma.

Non si tratta di filosofia ma di provare a concentrare le forze sulle proposte di cui l'opera è ricca. Perché un altro merito, è proprio quello di arrivare alla proposta, pertinente con l'analisi e quindi con la realtà che si delinea. Si apprezzeranno le idee riguardo la riorganizzazione del lavoro dando priorità alla definizione all'oggetto da riformare e solo in seguito al metodo pensando le professioni inserite in un reticolo e che attribuisca operatività e dignità contrattuale e retributiva ad ogni figura.

E' per me difficile cosa del libro mi sia piaciuto di più e di meno, perché già il coraggio di averlo pensato e scritto limita fortemente la possibilità di ricorrere all'autonomia del giudizio essendo la lettura dello stesso il primo onesto passo verso l'autocritica prima e la consapevolezza poi.

Un libro, molte idee e un leader che le veicoli. Tutto quello che non si è fatto all'epoca, possiamo cominciare a farlo oggi.
Ai colleghi infermieri ne raccomando la lettura, con l'augurio che il ritratto dell'infermieristica che ne esce ed in cui ogni infermiere potrà riconoscersi, non sia più dipinto su una tela logora e sbiadita come sono ormai le nostre divise ma sulla tela sempre nuova dell'assistenza perché come dice il nostro collega Emiliano Boi, “l'assistenza che ogni giorno garantisci ad un malato è importante quanto il dovere del dissenso per il mancato riconoscimento della tua professione”.
 
Dott. Andrea Tirotto
Infermiere Sassari

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