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Giovedì 17 FEBBRAIO 2011
Il libro. La sanità italiana ce la può fare, ma si deve tornare alla logica del Patto del 2006

E' questa la tesi di base su cui si articola un bel libro curato da tre protagonisti della breve ma intensa stagione dell'ultimo Governo Prodi. Si intitola "La sanità in Italia" ed ha l'ambizione di fare il punto sull'oggi, soprattutto rispetto alla sfida federalista, ma anche di offrire diverse ricette per il domani. A partire dalla sostenibilità che, secondo gli autori, non è affatto a rischio.

Un libro ambizioso, questo “La Sanità in Italia”, edito dal Mulino nell’ambito della collana dei Quaderni di Astrid, la Fondazione presieduta da Franco Bassanini. Ambizioso nel senso buono del termine, ovviamente. Con lo scopo dichiarato di offrire al lettore uno stato dell’arte compiuto dell’attuale situazione della sanità.  Ma soprattutto di fornire anche le ricette giuste per aggredire i nodi più controversi venuti alla luce nelle ultime stagioni.
A partire dalla sfida del federalismo e della sostenibilità del sistema. Due aspetti per forza intrecciati, con i quali gli attori del sistema sembrano però ancora oggi in difficoltà nel trovare approcci nuovi e in grado di rimettere in marcia la macchina della governance sanitaria. A livello nazionale e locale.
“Abbiamo deciso di scrivere questo libro dopo aver riflettuto sul tanto lavoro fatto, in gran parte rimasto sommerso, durante l’esperienza dell’ultimo Governo Prodi, quando ci trovammo tutti e tre insieme a lavorare con il ministro della Salute Livia Turco”. Questa la risposta che i tre curatori ci hanno dato alla fatidica domanda: “Perché questo libro?” che gli abbiamo posto all’inizio di una piacevole conversazione a quattro. Il sottoscritto, Claudio De Vincenti, Renato Finocchi Ghersi e Andrea Tardiola.

Il Patto per la Salute del 2006: il cambio di passo nei rapporto tra Stato e Regioni
 “Tre moschettieri” al servizio dello Stato, che, con questo libro, si sono lanciati nell’impresa di sciogliere la matassa aggrovigliata della sanità italiana, fatta di troppe sfide mancate, di ritardi, di gap strutturali e di qualità inaccettabili tra Nord e Sud (ma non solo). A cui, del resto, si frappongono altrettante esperienze straordinarie di governance efficace e vincente della cosa pubblica, come quelle registrate nella stagione del New Deal sanitario del biennio 2006/2008, che vide i nostri al fianco dell’allora Ministro della Salute Livia Turco.
De Vincenti come consigliere economico, Finocchi Ghersi come capo di Gabinetto e Tardiola come consulente giuridico, seppero concretizzare  da protagonisti  quella stagione, basata su una concertazione di alto livello tra Governo e Regioni.
Il Patto per la Salute nato in quel periodo ha infatti rappresentato un’autentica e riconosciuta novità, facendo sperare in un cambio di passo nei rapporti tra centro e periferia, capace di accompagnare il processo federalista senza quegli scossoni e quelle paure di definitiva divaricazione del Paese che oggi sembrano riemergere.
E non è un caso che, sottolineano i curatori, “ noi avevamo posto, come requisito fondamentale per la gestione del Patto, che vi fosse l’accordo su una programmazione almeno triennale delle risorse cui doveva far riscontro la triennalità dei criteri per la definizione del riparto del fondo sanitario”. “Due tasselli - aggiungono - che hanno consentito di dare quella certezza di risorse che è necessaria affinché Stato e Regioni  possano dedicarsi ai molteplici aspetti di valenza strategica per il miglioramento della qualità delle cure. Due tasselli che il decreto sul federalismo fiscale in discussione annulla tornando a una programmazione annuale del fabbisogno e del riparto”.

I Piani di rientro non devono occuparsi solo del deficit
A scanso di equivoci è bene chiarire che i tre sono convinti federalisti. Ma con lo sguardo disincantato del tecnico che riesce a vedere oltre al fumus ideologico che adombra i contenuti reali del progetto.
“Guarda - mi dicono all’unisono - la sanità offre addirittura spunti di riferimento anche per altri settori regolamentati dal federalismo”. “L’esperienza ormai acquisita, dalle Regioni da un lato e dal Governo dall’altro - sottolineano - di affrontare in via negoziale le tante questioni sul tappeto per una gestione il più possibile condivisa della sanità è chiaramente ispiratrice di molteplici commi attuazione della legge sul federalismo fiscale”.
La negoziazione per l’appunto. Una prassi rischiosa soprattutto per il quadro estremamente differenziato dei diversi partecipanti al negoziato. Una diversità di interessi e sensibilità che potrebbe portare a conclusioni o troppo generiche per non scontentare nessuno o eccessivamente di parte, con la conseguenza di lasciare sul tappeto troppi “vinti” e quindi scontenti. “Il rischio c’è – ammettono – ma quella del negoziato continuo, costante, paziente resta l’unica via concreta per continuare a gestire la sanità in una logica di comunità nazionale”. Ma attenzione “guai se il negoziato assume caratteristiche esclusivamente politiche. Una china pericolosa e improduttiva. La via giusta è quella di un lavoro attento e minuzioso sugli indicatori di qualità, di gestione e organizzazione e di performance”.
“Il sistema sanitario deve capire che solo dal confronto serrato sulle esperienze reali e sui risultati, o non risultati, ottenuti possono venire quelle indicazioni utili per addrizzare la rotta e contestualmente tracciare gli obiettivi che di volta in volta si vogliono indicare come traguardo o come riferimento generale”.
“Per questo servono modelli chiari nella governance complessiva del sistema. Con un Ministero della Salute realmente garante di una direzione nazionale degli obiettivi e delle strategie comuni e le Regioni come titolari a pieno titolo dell’attuazione di quegli stessi obiettivi, precedentemente concordati e frutto di un costruttivo benchmarking nazionale”.
“Una metodologia di lavoro – aggiungono – che ben si adatta alle situazioni di crisi del sistema. A partire dalla gestione dei Piani di rientro dal deficit sanitario per i quali l’impegno comune deve essere però quello di non perdere mai di vista l’aspetto di riqualificazione insito nella logica stessa dei Piani, non quindi la sola gestione del deficit”.

Il Ssn resta un sistema con un buon rapporto costo/beneficio
E poi c’è la grande questione della sostenibilità, che si intreccia a filo doppio con queste problematiche, assumendo anzi sempre più spesso il ruolo di vero e proprio king maker decisionale. Su questo terreno il libro compie una scelta, anche in questo caso basata sul confronto e sul dialogo, offrendo un’ampia panoramica delle analisi più stringenti in tema di progressione della spesa sanitaria. Dagli scenari più allarmistici del Cerm a quelli più prudenti e ottimistici del Ceis Tor Vergata. “Abbiamo voluto offrire ai lettori un quadro il più possibile esaustivo del dibattito in corso tra gli economisti sul dove andrà la spesa sanitaria. Da parte nostra ci siamo trovati più vicini alle tesi prudenziali del Ceis, anche perché, è ormai acclarato, essi vanno fatti discendere nel contesto del nostro Ssn. Un contesto dove la gestione della spesa e l’erogazione delle prestazioni terapeutiche e assistenziali hanno mostrato, in particolare dopo il Patto per la salute del 2006, una maggiore capacità di controllo. In altre parole il nostro Ssn mostra di avere un buon rapporto costo-beneficio distinguendosi nel panorama internazionale per una spesa sostanzialmente più bassa di quella dei nostri più diretti competitor e una qualità delle risposte assistenziali certamente tra le migliori”. “Non discutiamo quindi la validità scientifica di questa o quella simulazione nella progressione futura della spesa sanitaria. Pensiamo piuttosto che esse vadano calate nel contesto in cui opereranno. Ciò vuol dire che a parità di sviluppo demografico ed epidemiologico la variante della spesa non è indipendente dal tipo di sistema sanitario cui ci si riferisce. E il sistema italiano, come tutti quelli ereditati dal modello Beveridge, pur con gli ovvi assestamenti dettati dal tempo, resta quelli più convenienti, sia in termini di costo che di soddisfazione per il cittadino”.

I Fondi integrativo: né demonio né Cavallo di Troia
Nessuna esplosione incontrollata della spesa, quindi, ma certamente la necessità di rispondere per  tempo alla crescita ma anche alla differenziazione della domanda di salute. Da qui l’ampio capitolo dedicato ai fondi integrativi che, nell’intento degli autori, e in particolare di Tardiola che, proprio nel dicastero Turco, curò insieme a Grazia Labate (anche lei tra gli autori del volume), la stesura del decreto di attuazione dei fondi integrativi previsti dalla riforma Bindi.
“I fondi integrativi non sono il demonio, come purtroppo sembra pensare parte della sinistra. Ma non sono neanche quel Cavallo di Troia che si vorrebbe introdurre per minare le basi dell’universalità sanitaria, come si evince chiaramente dal Libro Bianco del ministro Sacconi”. E allora cosa sono? “Sono una chance per portare più qualità, equità e mutualità nella spesa sanitaria privata che già oggi è fortissima ma per lo più autogestita dai cittadini, con oneri che potrebbero essere fortemente ridotti in presenza di un’alternativa organizzata cui far concorrere le categorie professionali e le imprese ma anche delle Regioni e il  complesso delle istituzioni del Terzo settore”.
Gli spunti del libro sono ovviamente molto di più di questi raccolti nella nostra conversazione. Ma è praticamente impossibile segnalarli tutti. Basti pensare che nell’opera di oltre 500 pagine (vedi indice) sono stati coinvolti, oltre ai tre curatori (autori anch’essi di specifici contributi), trenta esperti di diverse discipline dando vita a un indice complesso ma senz’altro affascinante. Tutto da leggere, con in mano un lapis e un blocco per gli appunti.
 
Cesare Fassari
 
 
"La sanità in Italia"
Organizzazione, governo, regolazione, mercato
A cura di Claudio De Viincenti, Renato Finocchi Ghersi e Andrea Tardiola
Quaderni di Astrid, Editrice il Mulino
Pagine 527 - € 28,00

 

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