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Lunedì 21 FEBBRAIO 2011
Editoriale. La leggenda dei costi standard

Anche due bravissimi e attenti giornalisti, come Rizzo e Sensini del Corriere della Sera, sembrano caduti nella fascinazione della "leggenda" dei costi standard. Secondo la quale essi non sarebbero altro che una semplice comparazione tra prezzi e costi di farmaci, siringhe, garze e cerotti. Peccato che le cose non stiano affatto così.

In un lungo articolo sul Corriere della Sera di domenica 20 febbraio, Sergio Rizzo e Mario Sensini hanno proposto una loro interpretazione dei nuovi costi standard sanitari contemplati nel decreto in discussione in Parlamento: “Se il prezzo di una siringa è, poniamo, di 5 centesimi, lo Stato rimborserà solo quella cifra. Chi vuole spendere di più, si arrangi”. Semplice, chiaro, di una efficacia spietata. Peccato che non sia così.
E sì perché nel decreto sul federalismo fiscale regionale e i costi standard sanitari non c’è scritto niente di tutto questo.
La vera novità dei costi standard, infatti, sta nell’individuazione, oggi assente, di Regioni modello o benchmark, la cui spesa faccia da riferimento per stabilire, non il costo standard ottimale per singola prestazione o singolo dispositivo medico, quanto “la spesa standard ottimale per grandi funzioni di spesa” alla quale dovranno adeguarsi tutte le Regioni.

Eppure attorno al modello di costo standard evocato da Rizzo e Sensini si sta costruendo una leggenda politica che vuole finalmente vincente i buoni, cioè chi spende meno e meglio, contro i cattivi, quelli che spendono male e tanto per la stessa cosa. Una siringa, per l’appunto.
Una visione assolutamente lontana dalla realtà. Non solo perché la legge in discussione non parla di questo. E anche se lo facesse, almeno per il momento, non sarebbe applicabile, vista l’assenza di dati confrontabili per singola prestazione o per singolo costo di una tecnologia o presidio medico, con l’eccezione dei farmaci per i quali da sempre c’è un prezzo di rimborso uguale per tutti. Quanto per il fatto che la grossa parte della spesa sanitaria non è fatta di acquisti di beni e servizi (fermo restando che è ovvio come si debba in ogni caso arrivare ad avere prezzi e costi di riferimento confrontabili per tutti i beni e i servizi sanitari) ma dal complesso delle spese per tutti i servizi sanitari e assistenziali erogati che, al netto di farmaci e beni e servizi, assorbono più o meno il 60% della spesa del Ssn.
Non è quindi un assurdo il fatto di aver previsto di ottimizzare il criterio attuale di riparto cercando di non limitarsi al riparto pro capite, seppur corretto dall’età, ma provando ad offrire un riferimento complessivo di standard ottimali di spesa per grandi aree sanitarie (prevenzione, assistenza territoriale e ospedaliera), piuttosto che incastrarsi nella apparentemente semplice quanto solo parzialmente risolutiva soluzione della “siringa al miglior prezzo”.
 
Nello stesso articolo del Corriere, Rizzo e Sensini intervengo anche sulla disputa in corso tra le Regioni sulla scelta di assumere o meno alcuni indicatori socio-economici, i cosiddetti indici di deprivazione, per stabilire come ripartirsi le risorse sanitarie. Scrivono i due giornalisti: ma che c’entrano “il titolo di studio, il numero di stanze per abitante, la disponibilità del lavoro” con la salute? C’entrano eccome e chi mastica qualcosa di epidemiologia sanitaria sa quanto quelle ed altre componenti sociali ed economiche incidano sullo stato di salute delle popolazioni.
Ma i due autori, come del resto quasi tutti i commentatori di queste vicende, non parlano di un altro aspetto. Alla base della logica dei costi standard c’è indubbiamente l’obiettivo di una competizione virtuosa sull’efficienza e i risultati. In questo caso la posta in gioco è il servizio sanitario migliore al miglior prezzo. Bene.  Alla luce del divario palese nella qualità, nella dotazione strutturale e nell’efficienza dei nostri servizi regionali, testimoniata recentissimamente anche da uno studio della Banca d’Italia sulla qualità dei servizi pubblici in Italia, come si può pensare che si possa avviare una competizione ad armi pari? Limitarsi a una suddivisione delle quote regionali pensando che basti dare somme uguali per tutti per far sì che i concorrenti siano messi in grado di competere alla pari, sarebbe come far correre insieme una Panda e una Ferrari partendo dall’assunto che tutte e due hanno un motore, un telaio e quattro ruote.
 
Cesare Fassari

 

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