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Martedì 30 GIUGNO 2015
Integrazione sociosanitaria. Quale futuro per gli operatori?

Il Dlgs 229 del 1999 prevedeva con chiarezza l’istituzione di un’area sociosanitaria a elevata integrazione sanitaria con specifiche norme riguardanti il personale che vi doveva operare. Ma quella previsione non è stata ancora attuata. Ora il nuovo Patto dedica un articolo al tema dell’integrazione e qualcosa si sta muovendo. Ma si può fare di più

Come è noto la salute è  definita dalla Organizzazione Mondiale della Sanità come "stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia": è quindi un diritto inalienabile di ogni individuo per soddisfarlo lo Stato e le Regioni  non debbono solo gestire i un sistema sanitario, bensì dar corso ad un’articolata e complessa attività in più settori di intervento per  individuare e conseguentemente  modificare quei fattori che influiscono negativamente sulla salute individuale e collettiva promuovendo al contempo quelli favorevoli.
 
Per questo la salute è  più un mezzo che un fine divenendo la  risorsa di vita  che consente alle persone di condurre una esistenza a livello individuale, sociale ed economico.
 
Nella strategia per la promozione della salute per tutti il  Patto per la Salute 2014/2016 costituisce, allo stato attuale, il momento più alto con il quale il Governo Nazionale ed i Governi Regionali sono impegnati alla sua attuazione; in questa articolata e complessa iniziativa l’integrazione sociosanitaria costituisce uno degli assi portanti ed infatti, all’articolo 6 del Patto è stata riaffermata con forte convinzione la scelta strategica dell’integrazione sociosanitaria indispensabile per costruire un vero sistema avanzato di tutela della salute: per questo è stato avviato un tavolo con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali per la sua piena attuazione e alcune Regioni stanno già unificando e concentrando in un unico Assessore le deleghe per la sanità ed i servizi sociali.
 
Ricordo che con le integrazioni previste dall’art.3 del d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229, il d.lgs. 502/92 all’art. 3-septies abbia legiferato sull’Integrazione sociosanitaria definendo prestazioni sociosanitarie tutte le attività atte a soddisfare, mediante percorsi assistenziali integrati, bisogni di salute della persona che richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuità tra le azioni di cura e quelle di riabilitazione, nonché all’art. 3 octies è prevista l’Area  delle professioni sociosanitarie;  detto articolo prevede inoltre che:
 
1: Con decreto del Ministro della sanità, di concerto con il Ministro per la Solidarietà sociale e con il Ministro del Tesoro, del bilancio e della programmazione economica, sentito il Consiglio superiore di Sanità e la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le provincie autonome di Trento e di Bolzano, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, è disciplinata l'istituzione all'interno del Servizio sanitario nazionale, dell'area sociosanitaria a elevata integrazione sanitaria e sono individuate le relative discipline della dirigenza sanitaria.
 
2. Con decreto del Ministro della sanità, di concerto con il Ministro per la Solidarietà sociale, sentito il Ministro per l'Università e la ricerca scientifica e tecnologica e acquisito il parere del Consiglio superiore di Sanità, sono integrate le tabelle dei servizi e delle specializzazioni equipollenti previste per l'accesso alla dirigenza sanitaria del Servizio sanitario nazionale, in relazione all'istituzione dell'area sociosanitaria a elevata integrazione sanitaria.
 
3. Con decreto del Ministro della sanità, di concerto con il Ministro per la Solidarietà sociale, sono individuati, sulla base di parametri e criteri generali definiti dalla Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, i profili professionali dell'area sociosanitaria a elevata integrazione sanitaria.
 
4. Le figure professionali di livello non dirigenziale operanti nell’area sociosanitaria a elevata integrazione sanitaria, da formare con corsi di diploma universitario, sono individuate con regolamento del Ministro della sanità, di concerto con i Ministri dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica e per la Solidarietà sociale, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400; i relativi ordinamenti didattici sono definiti dagli atenei, ai sensi dell’articolo 17, comma 95, della legge 15 maggio 1997, n. 127 sulla base di criteri generali determinati con decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, emanato di concerto con gli altri Ministri interessati, tenendo conto dell’esigenza di una formazione interdisciplinare, adeguata alle competenze delineate nei profili professionali e attuata con la collaborazione di più facoltà universitarie.
 
5. Le figure professionali operanti nell'area sociosanitaria a elevata integrazione sanitaria, da formare in corsi a cura delle regioni, sono individuate con regolamento del Ministro della sanità di concerto con il Ministro per la Solidarietà sociale, sentita la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le provincie autonome di Trento e Bolzano, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400; con lo stesso decreto sono definiti i relativi ordinamenti didattici.
 
 
Purtroppo questa area non è stata ancora  istituita; ma la giusta intuizione del legislatore in un settore, quale quello sociosanitario, ad elevata espansione per l’attuale quadro demografico e quello epidemiologico e l’evoluzione del Ministero da “della Sanità” a “della Salute” che ne ha implementato l’ambito di intervento oltre il canonico ambito sanitario in senso stretto verso il concetto di salute, proprio dell’OMS, possono costituire la premessa e la ragione perché questa delega possa essere esercitata, mai dire mai….
 
 
L’area delle professioni sociosanitarie è un nuovo continente professionale tutto da scoprire e da rendere abitabile: a tutt’oggi l’unica popolazione che l’abita è costituita dagli operatori sociosanitari che costituisce sinora l’unico profilo professionale istituito con una metodologia propria di quest’area.
 
 
Mentre la costituzione reale di quest’area delle professioni sociosanitarie potrebbe aprire nuove legittimità ed operatività professionali in un ambito di intervento tutto da scoprire e dinamico. Affrontando tante criticità attuali di alcuni profili, quali il doppio canale formativo universitario dell’educatore professionale in sanità formato nelle Facoltà di Medicina e di quello nel sociale e nel terzo settore formato nelle Facoltà di Scienze dell’Educazione. O l’incongruo inquadramento nel ruolo tecnico di alcuni profili, ad iniziare dall’operatore sociosanitario, sino alla  stessa professione di assistente sociale  ma anche al profilo di sociologo, esaltandone, di conseguenza,  le potenzialità operative e riconoscendone la giusta e corretta collocazione.
 
 
Ma soprattutto questa area se fosse attivata darebbe uno sbocco più consono ed adeguato a tutti quei profili professionali che non possono essere riconosciuti all’interno dell’attuale  sistema professionale sanitario ma che nella riconosciuta visione nuova  di tutela della salute, possono essere ritenuti utili ed efficaci per il piano terapeutico, tant’è che sono presenti già   in presidi sociosanitari pubblici e privati, profili che in mancanza di questa alternativa stanno chiedendo il riconoscimento con le procedure previste dalla legge 4/2013.
 
 
Si tratta di procedure che per la natura stessa della legge per le professioni non regolamentate sono affidate ad  una metodologia di riconoscimento della professione autoreferenziale ed autogestita antitetica rispetto a quella utilizzata per le professioni sanitarie che prevede, invece,  norme di riconoscimento e di accreditamento di tipo pubblicistico nella forma e nella sostanza a tutela dei cittadini, modalità che appunto il legislatore ha previsto nel summenzionato art. 3 octies del d.lgs. 502/92.
 
 
E’, quindi, quanto mai augurabile che Governo, in particolare il Ministero della Salute e quello del Lavoro e delle Politiche Sociali, insieme con le Regioni possano dar corso a quanto con avvedutezza il legislatore ha previsto con l’articolo 3 octies del d.lgs. 502/92 per aprire un nuovo e discontinuo scenario di diverso pluralismo  professionale  che sia corrispondente ed adeguato non solo ad interpretare ma anche a soddisfare i bisogni di salute rispondendo positivamente  all’evoluzione della  organizzazione del lavoro nella prevista integrazione sociosanitaria.
 
 
Si potrebbe, pertanto, dar corso a nuove e più aderenti risposte formative ed occupazionali alle nuove generazioni e collocare diversamente in forme più adeguate anche il personale già occupato appartenente a quei profili professionali che potrebbe trovare, finalmente, la giusta collocazione  nell’Area dell’integrazione sociosanitaria.
 
 
Saverio  Proia

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