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Sabato 18 LUGLIO 2015
La Mobile-health e la tutela dei dati

Il trattamento di questi dati deve perentoriamente essere soggetto a sistemi di sicurezza molto più rafforzati e soprattutto innovativi, ben al di là delle semplici raccomandazioni elaborate e fornite dal Comitato Nazionale per la Bioetica. Serve perciò una rigida tutela di queste informazioni mediche non solo nella fase iniziale, ma anche e soprattutto in quella del mantenimento e della gestione.

Secondo la definizione del Comitato Nazionale della Bioetica, con l’espressione “mobile-health” o “m-health‟ si intende generalmente “l’insieme di tecnologie mobili - ossia l’uso di comunicazione wireless come cellulari e smartphone, tablet, dispositivi digitali, con o senza sensori indossabili - applicate in ambito medico-sanitario o in ambiti correlati alla salute”.
 
La mobile health o mHealth è perciò un nuovo modello di assistenza socio-sanitaria che si attua attraverso l’utilizzo di dispositivi mobili come i fit trackers, gli smartphone e gli smartwatch. Attraverso tali strumenti e le loro App di traduzione, si misurano parametri vitali come la pressione del sangue, si indica la giusta dose di insulina che un paziente diabetico deve assumere, si ricorda ai pazienti quando e come assumere un farmaco e ancora, ad esempio consigli dietetici per restare in forma, mantenere il peso equilibrato tra massa muscolare, acqua e massa grassa oltre che stimolando e suggerendo l’attività fisica per il mantenimento delle condizioni di buona salute. Mobile-Health si prefigge, quindi, di implementare l’'assistenza sanitaria centrata sul paziente e la relativa autogestione dell’eventuale patologia determinando una riduzione del numero di posti letto negli ospedali con un monitoraggio remoto e diagnostica intelligente.
 
Secondo la Commissione Europea, entro l’anno 2017 vi saranno ben 3,4 miliardi di persone in possesso di uno smartphone e la metà di loro utilizzerà applicazioni di mHealth, dal Continente Americano e dall’Europa passando per i Paesi Arabi e l’Estremo Oriente, sino a giungere all’Australia. Forniti di questi strumenti come il braccialetto che monitora la nostra attività fisica e come dormiamo, passando ai sensori sui vestiti e alle lenti a contatto intelligenti, tutti saremo controllati e iper-monitorati. Se fino ad oggi “consentivamo” la trasmissione di immagini, pensieri, video e preferenze, da domani “regaleremo’” il nostro numero di battiti cardiaci, quanta attività fisica facciamo, la nostra storia medica e, pure, quando e quanto dormiamo.
 
Quando indossiamo un fit tracker o uno smartwatch accettiamo i termini di utilizzo e l’informativa legata alla privacy solo una volta; i nostri dati personali invece continuano ad essere inviati e condivisi ogni volta che utilizziamo quei dispositivi che, essendo always on, trasmettono informazioni sullo stato di salute ogni minuto senza domandare nulla e senza farci venire il dubbio concreto - in quel preciso momento - a chi si stia inviando il proprio numero dei battiti cardiaci e chi li stia verificando e/o immagazzinando.
 
Se è indubbio che, come affermò a suo tempo la commissaria olandese all’Agenda Digitale della Commissione Barroso la sig.ra Neelie Kroes: “la sanità mobile permetterà di ridurre il numero di accessi e di visite in ospedale ed i suoi costi, coinvolgendo i cittadini nella gestione della propria salute e del proprio benessere e promuovendo nello stesso tempo la prevenzione. Da segnalare poi, la grande opportunità fornita per il fiorente comparto economico delle App e per gli imprenditori in questo campo”.

Siamo sicuramente concordi, con tale prospettiva politica e di crescita economica, ma allo stesso tempo non si deve neanche sottovalutare “come” debbano essere gestite i miliardi e miliardi di informazioni sensibili provenienti da questi strumenti che i gestori sono poi in grado di raccogliere e catalogare. E allora c’è da chiedersi con attenzione:
1. A chi stiamo inviando queste informazioni?
2. Chi certifica l’appropriatezza del dato misurato?
3. Coloro che ricevono i dati, cosa possono fare di tali informazioni?
4. Per quanto tempo è consentita la conservazione e l’archiviazione di tali dati?
5. Sono obbligati a cancellarle, trascorso un certo periodo? Oppure no?
6. Ne sono gli unici proprietari? Per quanto tempo?
7. Esiste una prescrizione alla proprietà e alla conservazione dei dati?
8. Quali misure di protezione attuano queste società per garantire la sicurezza dei nostri dati?
9. Risulta possibile uno scambio di tali dati tra diversi gestori?
10. Oppure un loro uso per scopi privati degli stessi gestori o addirittura il trasferimento a terzi?
11. Le leggi vigenti sono attualmente in grado di tutelarci ? Intendendo sia medici che pazienti?
 
Con l’mHealth si modifica universalmente il concetto di raccolta, consenso e condivisione dei dati personali. Crediamo opportuno sottolineare di prestare la giusta attenzione perché, oltre alla mera ‘trasmissione’ dei nostri dati medici all’azienda di turno, le informazioni sulla nostra salute possono influenzare le cure sanitarie future, con il rischio che - informazioni inesatte, persino incomplete o addirittura manipolate circa la nostra salute - possano indurre i medici a curarci in maniera errata. Si pensi infine alle possibili conseguenze secondarie sulla salute pubblica e sulle scelte politiche che potrebbero essere prese sulla base di tali dati medici frutto di errore o manipolazione. Nel 2014 già vi è stata una grossa violazione nel sistema di sicurezza della Community Health System che ha prodotto un furto pari a 4,5 milioni di cartelle cliniche e l’FBI si attende e crede che vi possa essere un notevole incremento di questo tipo di furti per l’anno in corso e per i prossimi venturi.
 
Il trattamento di questi dati deve - quindi - perentoriamente essere soggetto a sistemi di sicurezza molto più rafforzati e soprattutto innovativi, ben al di là delle semplici raccomandazioni elaborate e fornite dal Comitato Nazionale per la Bioetica del 28 maggio 2015. Serve perciò una rigida tutela di queste informazioni mediche non solo nella fase iniziale, ma anche e soprattutto in quella del mantenimento e della gestione, creando e investendo certamente in una cultura digitale, ma soprattutto ben comprendendo che la salvaguardia del settore legale di chi opera in questo campo risulta parimenti prioritario, quanto se non di più, di quello del semplice progresso tecnologico ad esso legato.

Dott. Domenico Crea
Dott.ssa Maria Ludovica Genna

Osservatorio Sanitario di Napoli 

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