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Sabato 26 SETTEMBRE 2015
Decreto appropriatezza. Come uscire dall’impasse

Avere il coraggio di azzerare tutto e riprendere le fila di un percorso di ottimizzazione dei protocolli diagnostici e terapeutici nella medicina specialistica con la partecipazione attiva delle Società scientifiche e delle associazioni mediche delle varie discipline, in costante rapporto con il Consiglio superiore di sanità, per mettere a disposizione dei medici nuove linee guida prescrittive. Ma linee guida, appunto, non diktat

Ieri il presidente del Consiglio, con l’usuale ottimismo che lo contraddistingue, ha detto che con i medici si troverà “agevolmente un punto di intesa”. Ma, al di là dell’auspicabile accordo per evitare uno sciopero - che, è bene ricordarlo, è stato minacciato anche su altre questioni ancora più complesse come quella della responsabilità professionale, del precariato e del rinnovo di contratto e convenzioni - cos’è che non ha funzionato nel decreto appropriatezza?
 
Bisogna intanto partire da alcuni dati di fatto. Che in Italia si facciano troppi esami sono i medici i primi a dirlo. Ma è altrettanto vero che nessun medico vorrebbe prescrivere e nessun paziente vorrebbe fare un “esame inutile”. Ma il vero problema è che questo decreto nasce da una manovra economica per fare cassa e non per finalità scientifiche. Ed è qui che il “Re diventa nudo”.
 
Prima di tutto lo strumento. Pochi sembrano ricordare infatti che il decreto non nasce da un’improvvisa mission impossible “anti inappropriatezza” comandata da chissà chi. Ma dalla necessità di “giustificare” con alcune misure di risparmio il taglio di 2,352 miliardi al fondo sanitario 2015 e 2016, frutto a sua volta dell’accordo scellerato Stato Regioni in cui le Regioni hanno preferito tagliare la sanità anziché i “loro” bilanci e il Governo ha preferito far finta di nulla quando aveva tutti gli strumenti per obbligare le Regioni ad altre scelte.
 
Da qui la rincorsa a far quadrare i conti, ma più sulla carta che per davvero. Anche perché i tagli dell'accordo/decreto erano già operativi a prescindere, essendo tagli lineari alla dotazione del fondo sanitario nazionale. Tant’è che i tecnici estensori delle misure di risparmio sanno benissimo che le economie ipotizzate nell’accordo e ratificate nel decreto Enti Locali sono fittizie, certamente per quest’anno, come ha detto a chiare lettere anche il Servizio Bilancio del Senato relazionando sul provvedimento.
 
Questo vale per i risparmi sui contratti di acquisto di beni e servizi, per i dispositivi medici, per i primariati da tagliare e anche per le ormai famose misure “anti inappropriatezza”. Per queste ultime l’obiettivo è di risparmiare 106 milioni l’anno sulla specialistica e altri 89 sulla riabilitazione (di queste ultime misure non parla però nessuno…).
 
I 106 milioni sulla specialistica sono calcolati su base annua, quindi anche ammesso che siano effettivamente conseguibili in 12 mesi di applicazione, sarebbe matematicamente impossibile farlo da adesso alla fine dell’anno, senza contare che il decreto non è ancora operativo e che alla sua emanazione, ad essere ottimisti, ci vorrà ancora qualche settimana.
 
Quindi questo decreto, fatto di corsa, senza un esame attento, appesantito da sanzioni ai medici che appaiono ridicole se non altro perché praticamente impossibili da verificare a meno di beccare qualche reo confesso affetto da iper prescrizione, non adempierà al suo scopo primario che, piaccia o non piaccia, è quello di far risparmiare, già dal 2015, 106 milioni di euro. Il resto sono chiacchiere.
 
Se così stanno le cose, perché allora non affrontare per bene la questione appropriatezza che resta anche uno degli asset dell’ormai fantomatico Patto per la Salute, ma con tutti i crismi della scienza e in un clima di collaborazione reale con la classe medica?
 
Scrive oggi sul nostro giornale il vice segretario della Fimmg Bartoletti: “Non c’è da stupirsi se di fronte ad un provvedimento che fa apparire i medici come i responsabili del problema, la categoria si irriti. Se si dicesse semplicemente che il sistema sanitario pubblico garantisce tutto il necessario per curarsi, anche qualcosa di più, ma il superfluo non lo rimborsa e chi decide è il medico, supportato nelle decisioni e non certo multato, nessuno griderebbe allo scandalo”.
 
Come dargli torto? E allora, che fare? Avere il coraggio di azzerare tutto e riprendere le fila di un percorso di ottimizzazione dei protocolli diagnostici e terapeutici nella medicina specialistica con la partecipazione attiva delle Società scientifiche e delle associazioni mediche delle varie discipline, in costante rapporto con il Consiglio superiore di sanità, quale luogo di garanzia pubblica di un lavoro serio e trasparente, per mettere a disposizione dei medici nuove linee guida prescrittive. Ma linee guida, appunto, non diktat.
 
E le sanzioni lasciamole perdere. Sono qualcosa da maneggiare con cautela, perché agganciare una scelta medica al rischio di essere sanzionati è molto pericoloso dal punto di vista etico e anche per le ricadute che potrebbe avere sul paziente, che magari si vedrebbe negato qualcosa non perché non ne avesse bisogno ma perché il medico teme la multa.
 
Cesare Fassari

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