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Lunedì 05 OTTOBRE 2015
Lo spunto per un nuovo progetto infermieristico dalle parole di Antonio Caprarica

Il noto giornalista, per anni corrispondente Rai da Londra, evidenzia diverse particolarità della nostra professione. Dalla nostra specificità rispetto al medico alle modalità con le quali acquisiamo le nostre competenze. Concetti "laici", provenienti da un "esterno" alle dinamiche professionali che mi hanno convinto ulteriormente della necessità di un nuovo balzo in avanti per gli infermieri

In un recente colloquio con una testata infermieristica on lineAntonio Caprarica, il noto volto Rai da Londra per moltissimi anni, nonché scrittore e saggista di fama, ha avuto modo di “raccontare” che “gli Infermieri italiani sono tra i più preparati d’Europa”. È vero, lo dicono i fatti (i tanti infermieri che emigrano, richiestissimi) e lo confermano i Paesi che li richiedono (Inghilterra, Germania, etc.). Forse vale la pena approfondire la questione e capire con quali altri Paesi avviene la comparazione. Non certamente con Inghilterra, Germania, Francia, etc., che li formano e se li tengono.
Noi li formiamo (ci dicono ad un buon livello, …. ma abbiamo certezza che i margini di miglioramento sono comunque molto alti) ma non li assumiamo e li esportiamo.
 
I successivi 3 passaggi di Antonio Caprarica sono di stimolo per altre riflessioni.
 
1) “Io devo dire la verità su ciò che penso: un infermiere tecnicamente competente è un bene, ma non sono sicuro che la prova di quella competenza debba essere la laurea. Avendo avuto come tanti di noi bisogno di un infermiere, per tante ragioni (la mia vita è già abbastanza lunga, visto che sono arrivato a 65 anni), ho notato che ce n’erano alcuni certamente non laureati ma molto competenti e preparati, pieni di una umanità e comprensione che li hanno resi, per me come per tanti malati, indimenticabili”.
 
È vero. Non è un “pezzo di carta” che determina una competenza. Vale per gli Infermieri, per i Medici, per gli Avvocati, …. per tutti i professionisti. Il dibattito sulle competenze è ancora aperto e molto vivace. C'è chi “spinge” (gli infermieri) e c'è chi “frena” (i medici – chissà per quali paure).
 
Le “paure” sono indubbiamente fuori luogo e senza alcuna motivazione logica. Parallelamente le “spinte”, se non supportate da solidi valori disciplinari e da precisi riconoscimenti di status e ruolo, corrono il rischio di generare frustrazioni e demotivazioni in tutta la famiglia professionale. La riproposizione di un modello già in essere all'inizio degli anni '70 (allora supportato anche contrattualmente), in parte mutuato dalle specializzazioni mediche (oggi pesantemente in discussione) sembra non essere la soluzione ai problemi veri degli infermieri.
 
Comunque è un qualcosa che va dalla parte opposta ai nuovi modelli di ospedale che privilegiano la distribuzione per “intensità di cure/ complessità assistenziale” rispetto alla tradizionale distribuzione per “reparti” (termine militare …. così come tanti altri che caratterizzano un sistema che fa difficoltà a cambiare, stante le profonde radici).
 
Pensare a delle specializzazioni, non seguite dalla pratica clinica e assistenziale, specifiche di un dato contesto (e non di altri), probabilmente non genera valore aggiunto. Inoltre, ammesso e non concesso che quello ipotizzato sia il percorso migliore per lo sviluppo degli Infermieri e dell'Infermieristica, potrebbe risultare interessante approfondire altri aspetti quali la “durata” della specializzazione, l'eventuale coinvolgimento economico del sistema e delle Aziende Sanitarie per lo sviluppo del nuovo sistema, i “ritorni” contrattuali per gli infermieri specialisti, etc. etc..
 
Parallelamente, pensando all'applicazione del Decreto Ministeriale 70/2015 sugli standard ospedalieri da parte delle Regioni, e alla definizione delle reti cliniche, quale sarà il valore della specializzazione negli infermieri che operano in aree tra loro collegate ed integrate, ma con una tipologia di interventi completamente diversi? Quanto inciderà la variabile “contesto”? Non è forse il caso di ripensare all'intero percorso formativo (di I e II livello, con “allargamento” anche alla clinica del percorso formativo di II livello, oltre ad un ripensamento anche dei master), con lo spostamento in alto dell'assicella dell'operatività degli infermieri, unitamente ad un ripensamento dei percorsi formativi degli operatori di supporto e al loro utilizzo nell'ambito delle strutture del Sistema Sanitario?
 
2) Nel secondo periodo Antonio Caprarica afferma che “…l’atteggiamento del medico e quello dell’infermiere sono diversi, paragonando quest’ultimo al sangue che scorre nelle vene perchè è sempre a contatto con la vita dei malati e quella in corsia, ed è certamente la prima sentinella sul fronte della malattia; riguardo poi gli incarichi di entrambi i professionisti, certamente la diagnosi di un male spetta sempre al medico, così come il compito di assegnare la terapia, ma è fondamentale l’occhio clinico di un infermiere, perchè è in grado di conoscere i sintomi del malanno di un paziente anche prima che questo si manifesti”.
 
Nelle attività professionali il medico ha bisogno dell'infermiere e l'infermiere ha bisogno del medico. Il cittadino ha bisogno di entrambi (ovviamente con tutto il rispetto per tutte le altre professioni). Tutte le filosofia sulle specificità dell'atto medico (spesso autoreferenziali e/o “indotte”) probabilmente sono destinate “a morire”. Credo che gli unici “atti medici puri” siano il consenso informato e la SDO. Tutti gli altri sono “atti sanitari” che richiedono, per lo svolgimento degli stessi, professionisti diversi, con formazioni, caratterizzazioni e specificità professionali uniche e non mutuabili.
 
Le competenze dei singoli sono date dai curricola formativi. Le relative abilitazioni professionali, e le specificità dei saperi, consentono di ricoprire un ruolo, di operare in un dato contesto e di appartenere ad un preciso status giuridico. Tali caratterizzazioni obbligano alla massima integrazione (professionale e multi-professionale), con chiara definizione dei ruoli e delle responsabilità, ma non consentono la mutuabilità, né in un senso, né nell'altro.
 
La fotografia dell'esistente evidenzia una forte evoluzione scientifica e uno sviluppo continuo delle tecnologie, delle attrezzature e delle metodologie diagnostiche e terapeutiche, con la conseguente assoluta necessità di rivedere i modelli organizzativi e di ripensare i sistemi di cura e assistenza, tenuto conto sia dei cambiamenti di cui sopra, sia della nuova formazione degli infermieri.
 
Non penso servano nuove norme; forse necessita una migliore definizione dei livelli di collaborazione, dei sistemi di relazione e interazione, dei ruoli e delle responsabilità, tenuto conto delle normative esistenti (spesso con contenuti sovrapponibili tra figure professionali afferenti a famiglie professionali diverse, sui paralleli livelli delle articolazioni organizzative, es. dirigente medico / infermiere, direttore / coordinatore, etc.) e dei contesti operativi.
 
Fino ad oggi i cambiamenti e gli interventi degli operatori si sono realizzati più a seguito della buona volontà e alla “illuminazione” dei professionisti, più che a seguito di indirizzi normativi (ed è bene ricordare che le leggi di riferimento ci sono, peraltro molto chiare, spesso inapplicate …. qualche volta forse anche per colpa degli infermieri … e altre volte forse anche per timori e preoccupazioni di altri, di perdere qualcosa che non può essere né perso, né posto in discussione, stante la specificità e la inequivocabilità dei curricola formativi dei singoli professionisti).

3) Nel successivo terzo “pensiero” Antonio Caprarica sostiene che “Lo sblocco del turnover deve essere attuato – continua Caprarica – e la spending review è una necessità che non deve incidere sui servizi essenziali per i cittadini, altrimenti abbiamo la grave situazione che si è creata in un paese come l’Inghilterra, dove si sono trovati a corto di infermieri e sono stati costretti a reclutarli da ogni dove: moltissimi infermieri vengono soprattutto dall’Italia, e sono molto più preparati rispetto ad altri provenienti dall’estremo oriente che hanno provocato in più di un caso qualche problema. Concludendo, agli infermieri italiani lancio un saluto, per il bene che hanno fatto a me e per quello che fanno a milioni di malati italiani ogni giorno”.
 
Probabilmente non è tanto un problema di “sblocco del turnover” o di una “spending review che non deve incidere nei servizi essenziali”, quanto una necessità (urgente) di ripensare l'intero Sistema Sanitario, per una risposta sostenibile e più adeguata ai nuovi bisogni di salute della gente.
 
Le riflessioni che scaturiscono sono diverse:
1.
anche l'Italia, in un particolare momento, a fronte di particolari situazioni, si è trovata a corto di Infermieri. Ha fatto ricorso, come fa oggi l'Inghilterra, la Germania, ed altri, ad infermieri provenienti da altri Paesi (con un parallelo sviluppo di un business molto meno nobile di quanto dichiarato), con risultati sicuramente discutibili.
2. Il percorso della “spending review” si è caratterizzato esclusivamente con “tagli lineari” finalizzati al raggiungimento dell'equilibrio economico-finanziario, con interventi riorganizzativi minimali (a fronte delle regole basilari del management moderno che privilegia la riorganizzazione alla razionalizzazione, peraltro spesso necessitante di investimenti iniziali). Inoltre nessuno è andato ad analizzare i costi aggiuntivi di domani, conseguenza diretta dei servizi “tagliati” oggi.
 
Per quanto concerne il punto 1, è auspicabile non ripetere l'esperienza già vissuta, non particolarmente esaltante.
Per quanto concerne il punto 2, è necessario approfondire seriamente la questione.

I dati di seguito riportati (ISTAT 2014 – Paese Italia) evidenziano una “spending review” sviluppata unicamente sui tagli lineari, riguardante prevalentemente gli infemieri e gli operatori di supporto; nel quinquennio 2009-2013, relativamente alle risorse assistenziali (contratti a tempo determinato e a tempo indeterminato), si è riscontrato quanto segue:
Medici - 4.268
Infermieri - 8.670
OSS + 4.424 (dati relativi agli operatori con contratto a tempo indeterminato)
OTA e Aus. - 5.399 (dati relativi agli operatori con contratto a tempo indeterminato)
 
Salta all'occhio l'implementazione della figura dell'OSS …. ma è facile intuire che si tratta di una compensazione (peraltro parziale) delle uscite di OTA e Ausiliari Specializzati).
 
Colpiscono maggiormente le diminuzioni degli infermieri (- 8.670 a fronte dell'evidenza di una carenza di 1,5 infermieri ogni 1.000 abitanti – dati OCSE) e del numero dei medici (- 4.268 a fronte dell'evidenza di un esubero di 1 medico ogni 1.000 abitanti – dati OCSE) .
 
Con la pubblicazione del Decreto 70/2015 il Ministro Lorenzin ha definito, con una declinazione in valori minimi e massimi, la necessità di discipline per milione di abitanti (standard), con responsabilità dei Governi Regionali nella distribuzione territoriale e nella costruzione delle “reti cliniche”, con un intento certamente più programmatorio che “economico-finanziario”.
 
Certamente avrà tenuto conto delle situazioni demografiche (aumento dell'età media), dei cambiamenti epidemiologici (aumento delle patologie cronico-degenerative), delle condizioni socio economiche della popolazione (aumento delle situazioni di povertà, aumento delle persone sole, etc.).
Probabilmente (anche se non dichiarato) la pubblicazione del Decreto 70 è stata necessaria per superare le non applicazioni (o applicazioni solo parziali) della L. 133/2008 (Brunetta) e della 135/2012 (Monti).
 
Parallelamente alla rete ospedaliera è necessario pensare ad un nuovo progetto di cure primarie, nel rispetto dei principi fissati dal DL 158/2012 (Balduzzi), per una diversa “presa in carico” delle persone con problemi di salute e per una forte integrazione stra strutture ospedaliere e strutture residenziali, territoriali e servizi domiciliari.

L'analisi dei dati statistici (annuario ISTAT 2014) evidenzia in particolare:
• una popolazione pari a 60.782.668, di cui 3.266.751 persone nella fascia di età 65-74 aa, 4.516.256 persone nella fascia di età 75-84 aa, 1.789.482 persone nella fascia di età > 85 aa. (per le problematiche legate alle patologie cronico-degenerative e alle conseguenti necessità assistenziali);
• 24.611.766 famiglie (di cui il 31,2% composte da una sola persona – con le conseguenti necessità socio-assistenziali);
• 175.996 decessi per tumore (dati ISTAT 2014 – rif. Anno 2011 – per le ripercussioni assistenziali palliative e le cure di fine vita (rif. Normative cure palliative e di fine vita – indirizzi Conferenza Stato / Regioni);
• 65.777 medici (MMG / PLS / Medici Guardia Medica – dati annuario ISTAT 2014) per i coinvolgimenti diretti nella presa in carico dei pazienti).
 
Stante la nuova strutturazione, di cui al DL 158/2012 (Balduzzi), che prevede l'istituzione delle UCCP (Unità Complesse Cure Primarie) e delle AFT (Aggregazioni Funzionali Territoriali), è ragionevole e logico superare i modelli del passato e “pensare” a nuove organizzazioni, multi-professionali e multi-disciplinari, con un gruppo di medici “associati”, in grado di assicurare la continuità del servizio e una maggiore presenza a livello ambulatoriale, preferibilmente con una trasversalità di saperi specialistici, per una migliore risposta ai bisogni di salute delle persone, e una forte presenza infermieristica sul territorio e a domicilio per una reale presa in carico delle persone.
 
Il nuovo modello obbliga una ri-organizzazione del sistema (tenuto conto che la condizione economica del Paese non consente certamente il mantenimento dell'esistente e l'implementazione del nuovo), attraverso una nuova strutturazione del sistema delle cure infermieristiche territoriali e domiciliari, in linea con i dettati del Decreto di cui sopra e con i principi fissati dall'OMS e dal PSN.
 
Relativamente all'istituzione dei servizi infermieristici territoriali, gli approfondimenti tratti dalla letteratura più recente, nonché dagli studi di specifici gruppi di lavoro ministeriali, evidenziano le seguenti necessità:
• criterio 1 - 12.157 infermieri per l'organizzazione dei servizi territoriali/domiciliari (rif. Rapporto 1 infermiere / 5.000 abitanti);
• criterio 2 - 9.851 infermieri per l'organizzazione dei servizi territoriali/domiciliari (rif. Documento Scaccabarozzi – commissione nazionale LEA – 2006) che prevede una necessità di interventi assistenziali per il 3,7% della popolazione ricompresa tra i 65 e i 74 aa. (121.000 persone – dati ISTAT 2014) e per il 7% della popolazione con una età maggiore di 75 aa (125.263 persone – dati ISTAT 2014), con esclusione degli interventi di palliazione.
• Criterio 3 – 4.888 infermieri per la garanzia degli interventi di palliazione (rif. Normative specifiche “di settore”) - tenuto conto della possibile presa in carico di n. 3 pazienti da parte di ogni infermiere, su un totale di 14.666 casi/mese (simulazione rapportata al totale dei decessi per tumore – anno 2011).
 
La comparazione dei valori risultanti dalla sommatoria tra i criteri 2 e 3 e i valori del criterio 1 consente di evidenziare una differenza non particolarmente significativa (14.739 e 12.157 infermieri).  Il costo complessivo per l'attivazione del nuovo servizio è stimato in circa 589.560.000 € / anno. Un naturale ripensamento dei dettati contrattuali di MMG/PLS (tenuto conto del nuovo modello), unitamente alla riorganizzazione del servizio dei Medici di Guardia Medica”, potrebbe consentire l'implementazione del sistema delle cure primarie ad iso-risorse.
 
Certamente servono scelte coraggiose da parte della politica e, parallelamente, una diversa consapevolezza del cambiamento dei tempi in tanti (troppi!!!!) nostalgici del passato.
 
Per garantire quel “bene che gli Infermieri fanno a milioni di malati italiani ogni giorno” (Caprarica) sono necessari alcuni importanti interventi che competono sia alla politica professionale, sia alla politica del Paese, in particolare:
• una nuova definizione dei livelli assistenziali da assicurare alla popolazione, per un nuovo progetto di risposta ai bisogni di salute delle persone, con riferimento al “Patto per la Salute 2014-2016, tenuto conto dei cambiamenti demografici, epidemiologici e socio-economici che riguardano il Paese e le persone;
• una diversa considerazione degli infermieri e dell'infermieristica, per la valorizzazione disciplinare e professionale;
• un coinvolgimento proattivo delle componenti professionali (ordinistiche e associative) nella definizione delle politiche professionali, anche con coinvolgimenti stabili a livello del Ministero della Salute e di AGENAS;
• un nuovo progetto di cure primarie, nel rispetto dei principi fissati dal DL 158/2012 (Balduzzi) e per una diversa “presa in carico” delle persone con problemi di salute, con una forte integrazione tra strutture ospedaliere e strutture residenziali, territoriali e servizi domiciliari;
• la giusta valorizzazione del corpo docente disciplinare (+ 2.279 Professori nel periodo 1997 – 2008 per far fronte all'aumentata necessità didattica, di cui solo 36 afferenti alle aree disciplinari professionali. Di contro, oltre 2.240 professori afferenti a discipline mediche, per garantire il 22% del totale dei CFU caratterizzanti il percorso formativo di I livello - dati ufficio statistico MIUR);
• la definizione di nuovi standard di riferimento per la determinazione delle dotazioni organiche assistenziali, tenuto conto sia dei nuovi bisogni delle persone e delle priorità per il funzionamento del sistema, sia delle evoluzioni scientifiche e tecnologiche, sia delle necessità di compensazione delle lunghe assenze del personale di assistenza (es. gravidanze, lunghe malattie, benefici l. 104/92, etc.), nonché delle criticità legate alle nuove regole del sistema pensionistico, con l'assoluta necessità di pensare a qualcosa di strutturato e di diverso per consentire ai professionisti infermieri con problemi di salute (le regole di oggi - lavorare oltre 43 anni, è un qualcosa di molto diverso rispetto ai 19 anni, 6 mesi ed 1 giorno definiti dalle regole di “ieri”) l'adeguatezza della collocazione operativa, nel rispetto delle condizioni fisiche degli stessi, il mantenimento dell'esercizio professionale e il rispetto della dignità (personale e professionale;
• una maggiore tutela professionale e una funzione di garanzia nei confronti degli infermieri in tutte le occasioni in cui altre famiglie professionali, troppo spesso per fini meno nobili di quelli dichiarati, intervengono a salvaguardia in modelli e sistemi (poteri) superati;
• un diverso posizionamento in occasione dei pesantissimi “tagli” che hanno interessato gli infermieri e gli operatori di supporto, generando anche inoccupazione e disoccupazione, non certamente per un miglioramento delle condizioni di salute o per una minore necessità da parte della popolazione;
• il necessario supporto ai tanti neo-laureati che, pur di lavorare, in troppi casi accettano proposte indecenti da parte di fantomatiche cooperative che propongono tariffe inferiori ai “pulitori di scale” (con tutto il rispetto per chi esercita quel tipo di attività);
• un indirizzo uniforme sull'intero territorio nazionale, attraverso accordi a livello di Conferenza Stato / Regioni, per la determinazione delle azioni da porre in essere, a livello di ogni singola regione, per il giusto riconoscimento di status e ruolo, per la valorizzazione e il riconoscimento professionale e per il corretto utilizzo delle diverse professionalità, ad ogni livello delle articolazioni organizzative delle filiere professionali, tenuto conto della specificità e delle caratterizzazioni professionali, comparate con le situazioni clinico assistenziali dei pazienti;
• per un riconoscimento contrattuale adeguato al ruolo ricoperto e alle relative responsabilità;
• per una maggiore sensibilizzazione e motivazione professionale ;
• per un domani diverso, per tutti coloro che sceglieranno questa strada.
 
Tante argomentazioni e tante necessità di confronto e di sviluppo, con l'assoluta necessità di coinvolgimento di tutti gli stake-holder interessati e un progetto comune, evitando personalismi e interessi individuali. É necessario il risveglio della professione, a tutti i livelli, in particolare nel livello ordinistico territoriale, e un diverso impegno politico, vicino agli infermieri che soffrono quotidianamente in prima linea, troppo spesso senza riconoscimenti né di status, nè di ruolo.
 
È necessario che la politica del Paese consideri diversamente gli infermieri, per il loro impegno quotidiano, con grandi sacrifici, per garantire l'adeguatezza della risposta ai bisogni di salute della gente. É necessario che gli Infermieri impegnati in politica contribuiscano diversamente (e possibilmente a tempo pieno), nelle sedi politiche istituzionali, allo sviluppo della Disciplina, alla crescita dei professionisti infermieri e al funzionamento dell'intero sistema.
 
È necessario che il board della professione voli alto, senza vincoli e “ingombri”, per una guida della professione e dei professionisti verso gli sviluppi da tempo riconosciuti e previsti dall'assetto normativo, e per i relativi riconoscimenti di status e ruolo.
 
Chissà se l'intelligenza riuscirà a prevalere sull'ignoranza (a volte inconsapevole), e chissà se si riuscirà a rigenerare gli entusiasmi, le immaginazione, le emozioni ed i sogni dell'inizio degli anni '90? È il momento di una nuova alba per la Disciplina e par la Professione, nell'interesse delle persone e degli stessi Infermieri.

Marcello Bozzi
Infermiere – AUSL Pescara  

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