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Martedì 10 NOVEMBRE 2015
Cavicchi, la “questione medica” e Giulio Cesare

C'è una questione medica "funzionale", una questione medica "politica" e una terza che definirei "psicologico-identitaria". Giulio Cesare unificò la Gallia, la portò a Roma e gettò le basi per la "pax romana" di Augusto. Ma alla guerra bisogna andarci armati. E armarsi, per noi medici, oggi vuol dire avere idee, capacità progettuale, consapevolezza delle sfide della modernità, una “piattaforma” come dice giustamente Cavicchi

Quando ha ragione, Ivan Cavicchi sa essere crudele, a volte anche ingiusto. In prima fila, alla manifestazione degli “Stati Generali della Salute”, ha ascoltato tutti, non è intervenuto, e gli deve essere costata molta fatica, se n’è andato scuro in volto, palesemente deluso. Mi aspettavo quindi gli articoli pubblicati in questi giorni da Quotidiano Sanità, una vera e propria tetralogia sulla "questione medica". La tesi di Cavicchi è in sostanza sintetizzabile in un concetto: i Medici non hanno capito un tubo. Per questo gli do ragione. Ma forse Ivan ci sopravvaluta.
 
La "questione medica" è, come direbbe il vecchio Giulio (Cesare, non Andreotti), "est omnis divisa in partes tres". C'è una questione medica “funzionale”, una questione medica “politica” e una terza che definirei “psicologico-identitaria”.
 
La prima, che chiamo “funzionale”, è forse la più sentita dai medici, perlomeno dalla maggioranza di loro. In sintesi è: fateci fare il nostro mestiere, permetteteci di svolgere la nostra attività professionale in maniera serena, senza complicazioni burocratiche, consentiteci di svolgere il ruolo per cui abbiamo studiato tanto. Stabiliamo noi le nostre regole, scriviamo le nostre linee guida, ci organizziamo il lavoro, scegliamo i dispositivi medici più idonei, prescriviamo farmaci secondo scienza e coscienza, facciamo insomma i medici. È evidente che questo è anche il ruolo richiesto dai cittadini, che vogliono un medico "adeguato", preparato, disponibile, sorridente. Questo è ciò che richiede al medico la collettività, una professionalità a tutto tondo, che sappia gestire le nuove istanze di salute. Il cittadino è "esigente" (termine cavicchiano), perché in sostanza è "committente", è titolare del servizio sanitario. E lo paga con le sue tasse. In questo mondo perfetto il medico fa il medico e il paziente fa il paziente. Il medico richiede al sistema sostanzialmente solo la copertura assicurativa della responsabilità, offre in cambio appropriatezza, entro certi limiti, riduzione della medicina difensiva, limitazione delle rivendicazioni salariali.
 
C'è poi la questione “politica”. Cavicchi parla di "guerra" e non è lontano dal vero. Parlerei anzi di "guerra civile", perché combattuta tra organi dello stesso sistema pubblico, stato contro regioni, regioni in lotta tra loro, conflitti all'interno nelle regioni, anche tra esponenti delle varie maggioranze, regioni contro asl, contro sindaci e territori, campanilismi sfrenati. E come si mettono i medici in questa guerra? Con quali armi? I medici sono una categoria, quindi, restando nella metafora, un esercito? Ho molti dubbi. La dimensione "politica" dei medici è tutta da inventare, una vera aggregazione è tutta da costruire in un mondo in cui continua a prevalere l'individualismo ed una forte competizione interna, palese o strisciante. Le nostre posizioni politiche sono spesso confuse ed approssimative, si interviene su aspetti singoli, il decreto appropriatezza, le norme sull'orario di lavoro, la legge sulla responsabilità professionale. Manca una visione complessiva, una strategia di ampia prospettiva. Forse è troppo pretendere. Il tentativo fatto da Fnomceo con gli "Stati generali" è lodevole e, caro Ivan, non può essere liquidato come un aborto, ma nutrito e fatto crescere come un neonato che deve apprendere a muoversi ed a parlare.
 
La terza questione la definisco “psicologico-identitaria”, ed è quella che sta forse sopra, sotto ed intorno alle altre. Quale è il "ruolo" del medico nella società odierna? Quale è la sua funzione sociale? Di quale prestigio gode la sua figura? Sono interrogativi che forse non si pongono mai esplicitamente, ma che sottendono tutta la questione medica. Il conflitto tra la professione liberale, che è nella natura del medico, e il forte condizionamento dello stato di dipendenza, è un problema irrisolto. La trasformazione del medico in “non-medico” è un'altra delle geniali intuizioni di Cavicchi, ma è una prospettiva da incubo, soprattutto per le nuove generazioni, afflitte da deprofessionalizzazione, formazione universitaria insufficiente, precariato, instabilità. La crescita culturale e professionale delle altre figure del sistema è vissuta con disagio, se non con terrore. Ma tirar su barricate ideologiche non pagherà.
 
Giulio Cesare unificò la Gallia, la portò a Roma e gettò le basi per la "pax romana" di Augusto. Georges Clemenceau diceva che fare la pace è molto più difficile che fare la guerra. I medici scendono in campo per fare la guerra (sciopero del 16 dicembre), quindi apparentemente scelgono la via più facile. Ma alla guerra, specie quando l’identificazione del nemico non è facile, bisogna andarci armati, come ci insegna il vecchio Giulio. E armarsi oggi vuol dire avere idee, capacità progettuale, consapevolezza delle sfide della modernità, una “piattaforma”, insomma, come dice Cavicchi. E’ un gran lavoro, ma ne vale la pena.
 
Luigi Presenti
Presidente Collegio Italiano dei Chirurghi

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