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Lunedì 16 NOVEMBRE 2015
Aziende ospedaliero-universitarie e piani di rientro. Novelli (Tor Vergata): “Tre anni sono pochi. Si rischia di non farcela e di non trovare manager disponibili”

In tre anni sarà difficile superare le situazioni di deficit più gravose, se non con grave sacrificio dell’appropriatezza delle cure. Inoltre, con la decadenza automatica del direttore generale, diviene assai concreto il rischio che non si riescano a reperire professionalità manageriali adeguate proprio per risolvere le situazioni di maggiore criticità. La programmazione regionale tenga conto delle peculiarità universitarie

Il pregevole e intenso contributo recentemente comparso su queste pagine sul tema dei “piani di rientro” degli enti operanti nella sanità offre e sollecita importanti spunti di riflessione, sia per il carattere inedito ed altrettanto penetrante dell’intervento legislativo commentato, che per il contesto e le condizioni di fondo dai quali proprio quest’ultimo scaturisce.
 
E’ noto che il nuovo disegno di legge di stabilità 2016 prevede l’introduzione di un’importante norma (art. 30 del ddl, nel testo attualmente disponibile) che, incidendo sul tradizionale assetto di legge in materia di gestione finanziaria degli enti del settore della sanità, intende mettere a fuoco le diffuse problematiche di bilancio del sistema sanitario, imponendo che le aziende e le entità sanitarie meno virtuose in termini di equilibrio economico-finanziario debbano provvedere alla redazione di un “piano di rientro” rispetto al deficit maturato, nella prospettiva di ridurlo in breve termine (non più di tre anni) entro parametri accettabili.
 
L’individuazione degli enti da sottoporsi a tale piano è (sarà) effettuata secondo prestabiliti indici di adeguatezza - o inadeguatezza che dir si voglia - gestionale, attraverso la constatazione di elementi semplicemente numerici (scostamento del 10% tra costi e ricavi, secondo le specifiche che saranno fornite con un D.M. attuativo) o propriamente prestazionali, in quest’ultimo caso in termini di «mancato rispetto dei parametri relativi a volumi, qualità ed esiti delle cure» stabiliti sempre dal D.M. di cui sopra.
 
Gli enti da sottoporsi a verifica saranno individuati dalle Regioni nelle immediatezze del nuovo anno 2016, per essere onerati della produzione ed attuazione di un piano di rientro approvato dalle Regioni stesse e poi monitorato trimestralmente ed annualmente, sino al raggiungimento dei risultati finali attesi e condivisi.
 
Nella consapevolezza che gli obblighi costituiscono solo un punto di partenza se non risultano accompagnati da una puntuale sanzione, l’articolato legislativo prevede inoltre la decadenza automatica dei direttori generali degli enti in caso di mancata approvazione del piano ad opera degli enti di governo o di esito negativo delle verifiche annuali, e rinvigorisce i principi di trasparenza in tema di pubblicazione di bilanci, e di formazione e pubblicazione dei sistemi di monitoraggio delle prestazioni.
 
L’intervento legislativo risponde a innegabili esigenze di contenimento dei costi che il sistema sanitario “Italia” deve affrontare una volta per tutte sia per i volumi di incidenza della sanità nella spesa pubblica, che nell’ottica di rendere prestazioni assistenziali adeguate all’individuo secondo dettato costituzionale.
 
Trattasi dunque di principi dovuti e benvenuti, che come tali dobbiamo accogliere sia nella nostra veste di cittadini appartenenti ad una comunità nazionale che solo recentemente sembra pian piano riprendersi dalle turbolenze economiche degli ultimi anni, che in qualità di amministratori direttamente interessati e responsabilizzati per le innumerevoli scelte di attuazione che vengono svolte nel comparto pubblico, a costituirne la trama più fitta e complessa.
 
Senza scendere in dettagli tecnici che ben meglio di noi gli autorevoli contributori di questa rivista possono illustrare, ci siano consentite delle annotazioni a margine del sistema che si va formando, certamente già dibattute nelle sedi istituzionali, e purtuttavia meritevoli di ulteriore riproposizione sotto gli schemi di una comune riflessione su temi così importanti.
 
In primo luogo, osservando realisticamente il fenomeno, non può omettersi che il termine di durata massima del piano di rientro, attualmente fissato in tre anni, potrebbe rilevarsi non immediatamente adeguato per superare le situazioni di deficit più gravose, se non con grave sacrificio dell’appropriatezza delle cure che pure la norma intende tutelare. Sommando tale dato con la decadenza automatica del direttore generale di cui si è riferito poco sopra, diviene assai concreto il rischio che non si riescano a reperire professionalità manageriali adeguate proprio per risolvere le situazioni di maggiore criticità.
 
In questo senso l’auspicio è che, sia nella sede legislativa che in quella attuativa della decretazione ministeriale, siano introdotti dei correttivi che consentano di articolare la durata del piano oltre il triennio, ma comunque entro un termine massimo adeguato (ad esempio cinque anni), per consentire che gli enti che versano nelle maggiori difficoltà di equilibrio possano risollevare i dati di bilancio senza incidere in maniera repentina sulla qualità delle cure, o con politiche di taglio di bilancio lineare in sé sempre scarsamente efficaci; soprattutto nell’ambito di sistemi così complessi come quello della sanità pubblica, dove la tutela dell’individuo costituisce un valore primario che deve riflettersi negli strumenti amministrativi di attuazione.
 
Il nostro ruolo di amministratore anche nel ramo dei rapporti tra servizio sanitario e sistema universitario ci induce ad un’ulteriore riflessione, non meno importante di quella già rappresentata. Il ddl opera un riferimento agli strumenti di partenariato pubblico tra Regione ed Università solo in relazione alla possibilità di istituire, nelle Regioni non sottoposte a piani di rientro, nuove “aziende sanitarie uniche” risultanti dall’incorporazione di aziende ospedaliere universitarie con le aziende sanitarie locali (ultimi due commi dell’art. 30), ma non affronta a regime il tema del contributo delle Università nella formazione dei piani di rientro nell’ambito degli enti della sanità nei quali le medesime già operano istituzionalmente con la Regione.
 
Nella stagione odierna, fortemente caratterizzata dalla formalizzazione dei protocolli di intesa tra Regione e Università secondo le previsioni del D.Lgs. 517/1999, e dal riconoscimento dei complessi equilibri che si determinano e vanno osservati laddove le attività assistenziali siano inscindibilmente connesse con quelle di formazione, didattica e ricerca, ci sembra quantomeno doveroso che le rivelanti previsioni programmatorie in corso di introduzione tengano in adeguata considerazione anche la prospettiva del mondo universitario, con le migliori formule che rimettiamo alla sensibilità del Legislatore.
 
Le quali, in ultima analisi, riconoscerebbero al comparto universitario un ruolo speculare a quello che già legislativamente detiene nella formazione e nell’orientamento dei relativi fabbisogni interni della singola azienda, nella quale compartecipa con la Regione alla produzione dei migliori servizi per la collettività.
 
Giuseppe Novelli
Rettore dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata e Presidente della Fondazione Policlinico Tor Vergata

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