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Venerdì 11 DICEMBRE 2015
Vogliamo parlare di utero in affitto o del fatto che al Sud sei donne su dieci partoriscono con il cesareo?



Gentile Direttore,
In giorni vicini al Natale, in cui la  buona novella che si attende è che ci si dovrebbe decidere a spendere di più nei negozi per far contenti  i mercati e il premier, viene da  riflettere su a tutto ciò che è importante veramente per la vita, anche se non fa notizia. Non fa notizia chi  rende possibile  “la vita sul pianeta terra” (Adrienne Rich), a meno che non si tratti di PMA , e, di questi tempi, di madri surrogate: contratti liberi, utero in affitto, e così via.
 
Le nuove frontiere della tecnobiologia e  le vecchie ragioni dei media e del mercato si rincorrono sulle grandi testate: ancora brioches a chi guarda da fuori la vetrina del panettiere. Ma  qualcuno si è mai chiesto come è possibile avvicinare  quell’esercito di  donne che a Napoli, in Campania, e più in generale nel Meridione d’Italia assicurano ogni anno il nostro primato assoluto  del 60% dei Tagli Cesarei in Italia, in Europa, nel mondo? I nostri pensatori e dispensatori di libertà a piene mani hanno mai provato a parlare con loro? 
 
Nella maggior parte dei casi non è possibile neanche avvicinarle, perché queste pazienti sono proprietà privata dei curanti, missing rispetto ad un SSN che non conoscono.  Perché tutto, dal test di gravidanza al parto, è compreso in un unico “pacchetto”, che  spesso prevede addirittura l’accensione di un mutuo per un TC assicurato, in cambio di una grottesca “continuità delle cure” in una qualunque “clinica privata convenzionata”!
 
A fare notizia, invece, ancora campagne libertarie e liberiste contro tutti i proto femminismi o clericalismi, offerte senza appropriatezza e lontane da chi vive e si cura della Maternità senza aggettivi.  Un fenomeno che compete al corpo femminile, per questo fonte di invidia, come afferma anche la filosofa Luisa Muraro: si tenta da troppo tempo di indebolire nelle donne la vocazione alla riproduzione, sostenendo l’attuale cultura del parto circondato dalla paura, dal rischio, e quindi dominato dalla "sicurezza" della tecnochirurgia. 
 
Certo, è più facile (e costa meno), al posto di promuovere programmi formativi, agitare nell’opinione pubblica lo spettro della perdita della libertà, per un piccolo numero di donne, di “mettere a disposizione” l’utero, gratuitamente o su ordinazione.  Paginoni sui quotidiani più importanti, cosacchi alle porte, e poi nulla.  Affascinata dal “nuovo che avanza”, la maggior parte dei giornalisti non intercetta quanto è in atto nel paese per diminuire i TC, per esempio aumentando il numero di parti vaginali dopo cesareo (vedi lo studio europeo www.optibirth.eu), quanto è faticosa la solitudine di curanti e curate impegnate  in battaglie contro il mainstream,  condotte perlopiù senza supporti istituzionali. Incredibilmente assenti, mute o peggio scettiche, le Istituzioni preposte alla formazione, le Società scientifiche, i Ministeri.  
 
Caro Direttore, avere uno sguardo lungo su che cosa servirebbe a promuovere la normalità della nascita nel nostro paese  presuppone visions politiche e conoscenza dei fatti, come da tempo lei sta facendo sul suo giornale, e ribadito moderando il Convegno “Maternità Mortalità Normalità”  svoltosi a Genova  recentemente. Presuppone anche sensibilità per quello che è successo in questi ultimi anni, non solo in Parlamento,  ma anche  fuori da quelle aule o lontano da quelle scrivanie da cui si ha la presunzione di guidare il Paese, il Ministero, l’Azienda, e così via. 
 
Come più volte abbiamo scritto su questa testata, non è di campagne ideologiche o di  annunci spot che abbiamo bisogno, ma di rifondare  i principi della cura, e, nello specifico, ritornare ad essere responsabili in prima persona  di obblighi  essenziali: governando,  insegnando, assistendo e  mettendo al mondo.
 
Lo ha espresso nello stesso convegno ancora una volta la filosofa Anna Rosa Buttarelli, che da tempo lavora radicalmente intorno alla necessità di elaborare nuovi processi formativi, in cui possano rientrare, a pieno titolo, competenze umanistiche e indipendenza di pensiero per chi opera nell'ambito delle cure sanitarie. Risoluzioni  tanto  più necessarie  di fronte ai problemi più emergenti oggi in sanità nel Paese (il più alto tasso di TC, uno dei più bassi indici di fertilità coniugato a bassi  tassi di occupazione femminile, la più alta età materna al primo figlio, il maggior numero di sinistri  arrivati in dibattimento giudiziario) quanto più sottovalutate  e lontane da chi aspira a dominare sistemi complessi in cui viviamo.
 
Forse, cominciando dall’ultimo problema emergente, avremo finalmente una legge sulla responsabilità professionale, e forse i medici saranno meno spaventati, prescriveranno meno esami e faranno meno cesarei. Forse i ginecologi ritorneranno a studiare la fisiologia  prima di fare pratica con il Taglio Cesareo, ricordando  che  i meccanismi  utili alla relazione, il parto, l’allattamento, e la fiducia, la calma, sono regolati dall’ossitocina endogena, come ha spiegato la fisiologa svedese Kirsten Uvnas Moberg.   
 
I giovani specializzandi, le ostetriche, ma anche le donne in gravidanza e  le loro famiglie hanno bisogno di sapere le cifre, i reali rischi di mortalità materna in  Italia e nei  paesi avanzati, come ha riferito Serena Donati, epidemiologa dell’ISS, in un tempo  in cui tutti i media parlano solo di pericolo, e mai di bellezza nel fenomeno nascita.
 
E tutti, infine, potrebbero imparare da chi non ha mai considerato superate le competenze procreative. Solo così negli ospedali e nelle università svedesi, ha relazionato il professor Lars Larford di Gotheborg, il tasso di TC può continuare immutato dall’11 al 17% : come era in Italia solo trenta anni fa, del resto.   
 
Alla fine, la non notizia è la necessità di eventi come questo,  in cui i dati, e chi li dà,  siano il più possibile vicini alla vita reale, outcome verificabili di politiche possibili e riproducibili.  Fuori dagli spot, dagli annunci, dal (ricordo del) femminismo che ricompare a corrente alternata, esistono persone impegnate in professioni di cura e trasformazione,  che hanno capito da tempo che il primo obiettivo per cui lavorare con mente di donna era battersi contro lo scippo della competenza procreativa. 
 
Hanno coniugato l’antico “impegno politico” con la promozione della normalità delle cure alla nascita, e  per questo non hanno bisogno di rispolverare i passaggi storici che le hanno portate lì, tutti i giorni  di fronte a  proprie simili  in carne ed ossa a reciprocamente stimolare e guadagnare  autorevolezza, negli ambulatori come  in sala parto, in ambito formativo come in pronto soccorso.
 
A loro tocca quotidianamente la pazienza,  la tenacia  di spiegare, supportare, ma anche la bellezza, di esserci. Con la consapevolezza, nonostante tutto, di aver contribuito a cambiare molto dei  luoghi e delle  procedure dell’odierna rappresentazione della nascita. E,  anche grazie ad altre professioni, di aver coltivato con fatica e successo contesti in cui riemerge la efficacia delle relazioni e la saggezza dell'esperienza femminile.
 
Sandra Morano
Università degli Studi di Genova
 

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