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Martedì 05 GENNAIO 2016
La storia di Luana sia di monito



Gentile direttore,
sono rimasto molto colpito nel leggere su Quotidiano Sanità la triste vicenda della dottoressa suicidatasi in questi giorni. Sono diversi gli spunti di riflessione che emergono da quanto raccontato dai suoi due colleghi Maria Ludovica Genna e Domenico Crea.

Sarebbe opportuno innanzitutto indagare sulle cause legate al mancato assegnamento di un incarico andato poi ad un suo collega che, da come raccontato, era posizionato in graduatoria alle sue spalle. L’annoso tema della meritocrazia in questo Paese continua ad assumere i connotati di una vera emergenza sociale. E lo è ancor di più quanto si parla di donne. Nel Servizio sanitario nazionale, il genere femminile rappresenta la maggioranza solo in termini di lavoratrici precarie e nel part-time. Quando, però, si parla di carriera e di occupazione di ruoli apicali ecco che i dati si sovvertono. Una differenza che ha i suoi riflessi anche a livello retributivo visto che, a parità di ruolo, come riportato dai dati Enpam del 2010, si arrivano a registrare differenze anche del 30% in termini di guadagno tra un uomo ed una donna medico.

Le professioniste nella classe di età 60-69 anni presentano in media circa 40 mila euro rispetto ai 57 mila notificati dai loro colleghi dell’altro sesso. Anche dati relativi alle classi di età più giovani tendono a confermare questa disparità retributiva: nella fascia d’età 20-29 anni i medici uomini che svolgono libera professione denunciano circa 18 mila euro l’anno contro i 14 delle donne, mentre tra 30-39 anni i maschi guadagnano 36 mila euro contro i 28 delle femmine. Rilevante, poi, la differenza che emerge analizzando le rendite dei medici dai 40 ai 49 anni. Mentre gli uomini dichiarano redditi per circa 55 mila euro, le donne non superano i 40 mila l’anno.

Le donne, nel loro quotidiano, devono fare i conti con un’organizzazione del lavoro spesso ancora troppo poco attenta alle loro esigenze. Si registrano, quindi, ridotte possibilità di bilanciare il lavoro e le responsabilità familiari.

Il tragico suicidio di Luana non può che spostare violentemente la nostra attenzione su queste problematiche ancora troppo lontane dal trovare una giusta soluzione. C’è ancora tanto da fare. Occorre adottare modelli organizzativi che rispettino e valorizzino le donne e gli uomini anche andando oltre gli stereotipi di una neutralità di genere che non sempre è sinonimo di equità di trattamenti. Lo dobbiamo a tutte quelle migliaia di lavoratrici che ogni giorno, con il loro impegno e nonostante le tante difficoltà, grazie alla loro passione contribuiscono a mantenere in piedi uno dei Servizi sanitari migliori al mondo.
 
On. Federico Gelli
Responsabile Sanità PD
Commissione Affari Sociali

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