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10 GENNAIO 2016
Medici e professioni sanitarie. Non parliamo di supremazia di ruoli, ma di supremazia della salute e della gestione clinica dell’ammalato

E non è più rinviabile un progetto formativo governativo che ponga fine al crescendo di aspettative e consenta una definizione delle reali pertinenze degli operatori. Così da renderle omogenee su tutto il territorio nazionale, attraverso la revisione degli studi universitari con un core curriculum unico

Non è sciocco dire che la sanità, e non solo la sanità, versi in momenti delicati. Questi lo sono davvero, presi da più parti come categoria medica e in buona compagnia con le professioni sanitarie di cui troppo facilmente, e senza alcun accertamento, si parla di errore medico e di mala sanità. Quando invece occorrerebbe dare il giusto valore alla considerazione della persona ammalata, a colui che cura e a chi con lui collabori a garantire la salute. In questo senso non può non lasciare perplessi il rinfocolare di polemiche rivendicative in seno al mondo sanitario.
 
Davvero infelice la recente uscita, della Senatrice ex presidente Ipasvi Annalisa Silvestro, sui medici ormai decaduti nella loro veste di guida culturale. Fonte di perplessità sono anche le posizioni dialettiche che ancora una volta Saverio Proia sottopone, reiterando le sue note proposte sulle competenze avanzate, settoriali e non di sistema, ancora una volta slegate da un non più rinviabile progetto di riorganizzazione globale della sanità.
 
Proposte che  alla fine vengono dalle Regioni, in questo avvallate da certa parte politica nazionale per logiche comprensibili, che hanno il torto d’essere al di fuori di una necessaria programmazione sanitaria e di non essere supportate da un’analisi delle reali necessità. Vanno cioè a sovvertire l’ordine delle cose in ambito professionale e, soprattutto, non considerano la necessaria specificità della formazione e dei percorsi di perfezionamento del medico e delle professioni sanitarie, in questo favoriti dalle disomogenee linee d’azione di alcune Regioni e degli accordi con le università riguardo i piani formativi, che così risultano diversi e diversificati per ogni singola professione. In questo con l’assenza-silenzio proprio dell’Accademia che, non più tale, diventa Università per, e con, la formazione in un sistema di nuove relazioni in seno al SSN.
 
E l’errore sta anche nel giustificativo delle stesse proposte, che volutamente dimenticano il problema dei posti di medici vacanti, perché non ricoperti, che aggrava i problemi di gestione degli organici, sia ospedalieri sia territoriali e nel settore dell’emergenza urgenza, laddove si sostituiscono medici con personale non medico, con la scusa proprio della mancanza di camici bianchi.
 
Un sistema voluto da un certo regionalismo spinto. Un regionalismo legislativo-gestionale che sperimenta in sanità, facendo del provvisorio il definitivo, con l’uso estensivo di protocolli sperimentali atti ad assegnare competenze e autonomie in ottica non tanto di funzionalità di sistema quanto di risparmio. In modo del tutto indipendente, invece, dal sistema di garanzia di qualità dell’assistenza e in nome di quella pluralità, che tende piuttosto a confondere i limiti delle funzioni del medico e delle stesse professioni sanitarie  - che sono professioni alte  -  e che va a modificare i rapporti fra le diverse figure, che si troveranno ad agire in modo non certo “organizzato, coordinato e complementare”, come invece dovrebbe essere.
 
Quest’impostazione dell’amico Proia  non incentiva una partecipazione articolata delle varie professionalità, che devono agire sì in autonomia, ossia per proprie competenze, ma di scala o in sub-autonomia. Il che delinea un modo di lavorare insieme nel rispetto delle rispettive peculiarità, in modo non solo coordinato bensì armonico.
 
Una declinazione più coerente del concetto di autonomia, che non può essere sinonimo d’indipendenza, andrebbe a correggere l’equivoco che si ritrova anche nelle ultime leggi - dalla 566 alla proposta sulla responsabilità, un tempo medica e oggi ibrida e generica degli esercenti le professioni sanitarie - o nella proposta Stato Regioni, sebbene in quest’ultima si riconosca la funzione medica, diversificata dalle altre professioni.
 
Altro motivo di perplessità - sempre a proposito di competenze in linea con il sistema sanitario orizzontale, estensivamente interpretato da certe Regioni - è stato l’uso indiscriminato del termine leadership, scippato all’ambito politico culturale o all’impresa e troppo frettolosamente adattato al sistema sanitario.
 
Un leader è scelto per peculiari attitudini d’organizzazione e di gestione di un gruppo di pari, che ha medesime aspettative, ma mal s’attaglia in sanità, nel cui sistema, fino a prova contraria, ruoli e funzioni sono chiari e inequivocabili e, soprattutto, rispondono a requisiti formativi derivanti da studi specifici e da competenze acquisite sul campo.
 
In conclusione:
- Non vi è una supremazia di ruoli, ma piuttosto dev’esserci una supremazia della salute e del sistema di gestione clinica dell’ammalato, in cui i compiti sono naturalmente definiti e dove l’esercizio professionale non può eticamente essere considerato una preda.
 
- La medicina fin troppo parlata - dalla politica ai media  e anche all’interno delle stesse professioni - e quella vissuta sono spesso antitetiche, perché non supportate da una visione concreta e finalistica della salute, nel cui sistema si sente la mancanza di una programmazione sanitaria centrale e uniformata sul territorio nazionale.
 
- I sistemi della salute ed economico devono coesistere in equilibrio: lo shifting in ambito assistenziale pur di risparmiare (a garanzia della minor cura piuttosto della non cura, che è lo spauracchio agitato da certa parte politica) equivale a non garantire efficaci livelli di salute alla collettività, la quale rimane più a lungo improduttiva.
 
- Un sistema che non previlegi studio e formazione, che non uniformi le fonti di per sé disomogenee, o neghi l’evoluzione della medicina, non riconoscendo le implicite differenze, non è un sistema culturalmente avanzato. Una conferma viene dalla necessità  oggi di un progetto formativo governativo, che ponga fine ad un crescendo di aspettative e consenta una definizione delle reali pertinenze degli operatori così da renderle omogenee su tutto il territorio nazionale, attraverso la revisione degli studi universitari con un core curriculum unico.
 
- In una sanità che prevede oggi ben 21 sub-sistemi regionali assolutamente autonomi è difficile pensare che le singole Regioni siano titolate a dare autonome competenze avanzate, peraltro giustificandole con il risparmio e sovvertendo l’ordine delle professioni.
 
Non si tratta, dunque, semplicemente di una questione di risorse, ma di una politica per la salute con criteri di programmazione e d’organizzazione, omogenei a livello nazionale, che non possono prescindere da una corretta gestione delle risorse.
 
Punti che occorre tenere in considerazione se si vuole difendere il sistema ancora efficace e garantire all’opinione pubblica la persistenza di un’assistenza di qualità. Operare per un suo sviluppo significa attivare rapporti interprofessionali, in cui però non deve assolutamente essere messo in discussione il ruolo medico perché equivarrebbe a far cadere il sistema, come un castello di carte.
 
E non è certo un problema di supremazia di ruoli ma di giusto valore della persona ammalata nel sistema di cura e dell’altrettanto giusta considerazione da dare a chi ne abbia cura.Sempre dando a Cesare quel ch’è di Cesare.
 
Pierantonio Muzzetto
Consigliere nazionale Fnomceo

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