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Lunedì 11 GENNAIO 2016
Percorso nascita. In Toscana mamma e neonato a casa 6 ore dopo il parto

La sperimentazione è partita a ottobre all’ospedale San Giovanni di Dio di Firenze. E’ rivolta alle donne che abbiano già avuto almeno un figlio con parto naturale e che nei 9 mesi di gravidanza non abbiano riscontrato problemi. Previsti stringenti controlli anche dopo il parto e la visita di una ostetrica a domicilio il giorno dopo. “L’obiettivo è umanizzare le cure, non liberare i posti letto”, ci tiene a chiarire l’Azienda.

Partorire in ospedale e dopo 6 ore starsene di nuovo a casa, con il proprio bebè tra le braccia. A fare da apripista a questa possibilità è l’ospedale San Giovanni di Dio di Firenze, che lo scorso ottobre ha dato il via a un progetto sperimentale che permette alle mamme e ai loro bebè di tornare a casa poche ore dopo il parto invece di rimanere ricoverati in ospedale per 48 ore, come previsto dalle linee guida per l'assistenza al parto fisiologico. Un progetto che mira ad “umanizzare le cure e riunire al più presto il nucleo familiare, non certo a liberare posti letto”, ci tiene a chiarire Marco Pezzati, direttore del Dipartimento materno infantile dell’Azienda sanitaria di Firenze, che sottolinea come il percorso avvenga in totale sicurezza. Anzitutto, il parto avviene in una struttura di specializzata e con una media di 2.000 parti all’anno, in grado di rispondere a qualsiasi emergenza in caso di complicanze. La dimissione precoce, inoltre, avviene solo se la mamma se la sente di tornare a casa e solo se la mamma e il bebè superano stringenti controlli che ne attestino lo stato di salute.

Anche una volta dimessi mamma e bebè non sono lasciati a loro stessi, “ma continuano ad essere seguiti con tutte le dovute attenzioni”, evidenzia Pezzati. Gli appuntamenti per le visite di controllo vengono programmate prima delle dimissioni e il giorno dopo il parto una ostetrica si reca in visita domiciliare dalla mamma e dal bebè per assicurarsi che stiano bene. Nei giorni successivi sono invece mamma e bebè a tornare in ospedale per sottoporsi rispettivamente al controllo ostetrico e neonatologico ed eseguire i primi screening obbligatori. “Ginecologi, pediatri e ostetriche aziendali restano, inoltre, sempre contattabili in caso di bisogno, di notte e di giorno. E se a casa dovessero emergere condizioni che rendano necessarie le riammissioni in ospedale, la macchina organizzativa è sempre pronta a muoversi”.

Ma quali sono gli ulteriori standard di sicurezza previsti dall’Azienda sanitaria di Firenze (Asf) per le dimissioni precoci rispetto a quelli utilizzati per la classica assistenza al parto fisiologico? La proposta, spiega Pezzati, è rivolta per il momento solo a donne che abbiano già avuto almeno un parto fisiologico con esito positivo e che abbiano in corso una gravidanza giunta al termine e che non abbia presentato problemi nel corso dei mesi di gestazione. Per essere dimessi precocemente anche travaglio, parto e immediato post-partum devono essersi svolti in modo fisiologico. Il personale medico deve quindi escludere la presenza di problematiche cliniche o problemi per l’alimentazione del neonato.

La sperimentazione durerà 6 mesi e se darà risultati soddisfacenti “estenderemo il progetto ad altri punti nascita”, annuncia Pezzati spiegando che in questi primi tre mesi di attività non sono emersi particolari problemi. “Ci sembra un progetto ben costruito e in grado di rispondere alle aspettative”. E chissà che non venga esportato anche in altre Regioni. Anche se il rischio è che resti una perla per rare realtà. Per funzionare, infatti, necessità non solo di un punto nascita sicuro ed efficiente. “Per creare un percorso di questo genere c’è bisogno di una rete territoriale molto forte e di una sinergia ospedale-territorio davvero efficiente. Solo così è possibile garantire la sicurezza della mamma e del bebè anche a domicilio”, spiega Pezzati. “Per fortuna nella nostra Azienda sanitaria lavoriamo da anni secondo questo modello, che ci permette di migliorare l’umanizzazione delle cure”. E se nel farlo si riduce la durata dei ricoveri, si liberano dei posti letto e si ottiene qualche risparmio, ben venga. “Ma questa – ribadisce il direttore del Dipartimento materno infantile dell’Asf - è una conseguenza del progetto, non l’obiettivo per cui è nato. Il nostro obiettivo resta sempre il bene dei pazienti”.

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