quotidianosanità.it

stampa | chiudi


Venerdì 15 GENNAIO 2016
Infermieri. Cercasi disperatamente un pensiero riformatore



Gentile direttore,
ho letto con molto interesse le riflessioni appassionate di Marcella Gostinelli, recentemente pubblicate su QS. Nel metabolizzare i contenuti espressi dalla collega, ho la netta sensazione che siamo all’interno di un corto circuito culturale senza precedenti. Sono particolarmente allarmato nel leggere continuamente da parte di molti osservatori delle professioni medico-sanitarie la conclusione per cui esistiamo perché esiste la norma. L’annoso problema del comma 566 è piuttosto eclatante. Se c’è una cosa che la scienza ha in dono da sempre è il dubbio, cosa che la “norma” per suo costume non può e non deve avere. Sono dunque sorpreso che molti di coloro che sostengono di aver concluso un ciclo di studi apparentemente scientifici pongano sulle “norma” la loro esistenza.
 
Mi permetto di fare osservare, opinione del tutto personale dunque non dimostrabile come la scienza vorrebbe, che probabilmente abbiamo perso l’unica ragione per cui era meritevole avvicinarsi a studi scientifici: ho sempre visto nella scienza la nobiltà d’azione dell’arte. Forse non è un caso che Florence Nightingale definì la “nostra” scienza “una delle belle arti, anzi la più bella delle arti belle” Questo è un punto dirimente per comprendere l’altro pensiero che ho apprezzato in queste settimane, ovvero il pensiero riformatore di Ivan Cavicchi.
 
Ha ragione: non siamo in grado di sviluppare un pensiero riformatore perché siamo impegnati a sviluppare solo un pensiero normativo che può essere solo il passo successivo mai antecedente ovvero come trasformare l’idea in azione.
 
Non è tutto, ha ragione di nuovo Ivan Cavicchi quando sostiene che non è possibile riformare se non partiamo dagli errori storici, mi permetto di aggiungere che non è possibile avere un pensiero riformatore se non ripartiamo dalla Storia. Appare del tutto evidente che stiamo attraversando un periodo storico recessivo culturalmente, le vittorie sociali ottenute nel dopoguerra che volevano essere la dimostrazione di un percorso di crescita, sono state non solo messe in discussione ma hanno subito un attacco feroce da quelle forze, come le chiama Cavicchi, contro-riformatrici tale da azzerare tutto un percorso culturale.
 
E’ evidente che di fronte all’azzeramento della cultura, alla supremazia della norma sulla scienza, non possiamo che “riformare” ovvero “formare di nuovo”, tornare indietro per andare avanti. Paradossale ma necessario. Mi verrebbe da scrivere che è necessario un nuovo “rinascimento” ovvero una nuova supremazia delle scienze e delle arti sulle norme.
 
Cambiare il paradigma con cui si affronta oggi la crisi delle professioni sanitarie è quanto mai obbligatorio se non vogliamo continuare nella discesa agli inferi che ci costerà cara al termine della corsa. Se esiste la crisi significa che le politiche contro-riformatrici hanno ottenuto il loro scopo, ovvero mettere in discussione le professioni medico-sanitarie. Se da un lato la professione medica è rimasta ancorata a sistemi desueti di esercizio professionale, dall’altra le professioni sanitarie hanno offerto il fianco perché si facesse di loro l’arma per il ribasso del valore “lavoro” e del “capitale umano”.
 
Il Sistema Sanitario Nazionale per come lo avremmo voluto nel rispetto dell’art 32 della Costituzione è stato smembrato alla luce di una congiuntura di interessi, una congiuntura del tutto estranea alle professioni. Da vecchio comunista, lo dico per l’affetto che ho per i miei anni di gioventù, non posso non citare Pietro Ingrao che nell’indicarci la luna altro non avrebbe fatto che chiederci di pensare all’impossibile. Davvero dobbiamo continuare a credere alla “favola“ dell’insostenibilità del Sistema? Non siamo un po’ troppo grandi per credere alla favole?
 
Se Cavicchi non mette in dubbio che esiste una pessima gestione delle risorse, io mi spingo oltre e dico che la pessima gestione delle risorse altro non è che propedeutica per alimentare nel cittadino la convinzione che il sistema non è sostenibile. In un mondo che si muove globalizzando, di conseguenza abbassando le tutele, un Servizio Sanitario gratuito per tutti non è accettabile, perché la salute del cittadino (oltre ad essere un business) è la cartina di tornasole della capacità dello stesso nel difendere i propri diritti. In questo senso le professioni, ma mi verrebbe da dire i lavoratori per rimanere nel solco marxista, hanno una sola cosa da fare: impedire la minaccia.
 
Le professioni hanno il dovere di provarci, hanno il dovere di fare massa critica ed in maniera composita rilanciare una proposta di riforma del sistema: riformare ha dei costi, il principale costo è uscire dalla rigidità mentale che siamo indispensabili. Ci stanno dimostrando che possono interscambiarci, con invitanti e solleticanti promesse di avanzamento di competenze, togliendoci quello spazio vitale proprio che ogni professione sanitaria vorrebbe avere: cioè evolvere se stessa nel suo campo di applicazione. Ci hanno reso miopi in cambio di un piatto di lenticchie.
 
Il mio accorato appello va ai 400mila infermieri che oggi sono alla ricerca della loro terra promessa: la terra promessa non esiste in quanto tale se continueremo a cercarla fuori da noi stessi. Possiamo riformarci proprio se sapremo rivedere il nostro cammino e porre fine ad un serie di coazione a ripetere che oggi è il centro della nostra crisi. Sviluppare l’Infermieristica come Scienza significa riappropriarci dei nostri valori fondanti, non possiamo pensare di evolvere solo perché a dircelo sono gli schemi economici che vogliono personale a basso costo e possibilmente silente.
 
Nessuno mette in dubbio che può esistere un percorso di crescita che proponga l’acquisizione di nuove tecniche ma non posso immaginare che il percorso evolutivo sia nella capacità di maneggiare un ago da sutura piuttosto che un ecografo. La capacità dei pollici opponibili ha dimostrato che anche le scimmie imparano a maneggiare strumentazioni complesse ma non fa di loro una possibile forza lavoro (e per le scimmie spero non accada mai). Dunque l’evoluzione che auspico è un pensiero riformatore, che porti al centro la cultura infermieristica come uno dei pilastri su cui ricostruire il Sistema, non come l’unico pilastro o peggio ancora come un pilastro d’argilla, decorativo ma non funzionale. Ovviamente ci vuole coraggio, soprattutto da chi oggi si assume la responsabilità di guidare la professione: evolvere per la società e non per il potere, esattamente quel valore di altruismo e generosità che fa parte del nostro bagaglio storico.
 
Sono altresì convinto che solo riformando noi stessi sapremo dare una chiave di lettura nuova all’evoluzione del lavoro di equipe, dove ci stiamo scannando per la leadership, anche qui confondendo l’autorevolezza della scienza con l’autoritarismo della norma. Potrei continuare, mettendo in guardia il mio mondo professionale ed invitandolo a cambiare gli occhiali con cui osserva il mondo: non possiamo più far finta che il nostro “muoversi” verso il futuro corrisponda al movimento sociale che sta avvenendo. Oggi più che mai abbiamo bisogno della Storia perché le battaglie che ci attendono sono già state fatte e vinte ma stavolta occorre scrivere meglio.
 
Se essere Infermiere ha un valore sociale, il mio essere Infermiere ha questo valore sociale.
 
Piero Caramello
Infermiere

© RIPRODUZIONE RISERVATA