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Martedì 26 GENNAIO 2016
Sul contratto è bene non farsi troppe illusioni



Gentile direttore,
non facciamoci facili illusioni. Ho letto buoni propositi su una riapertura “imminente” (2016) dei tavoli contrattuali. Già si discute, giustamente, di ciò che si potrebbe scrivere nel nuovo contratto ma penso che l’impostazione di tale dibattito stia creando troppe aspettative su chi è più estraneo alle dinamiche sindacali. Già una certezza granitica era stata annunciata a gennaio dello scorso anno: “il 2015 è l’anno dell’infermiere specialista” e quest’anno si parte con “rinnovo contratti e convenzioni”.
 
Nulla di male discutere sull’impianto contrattuale e su suoi possibili contenuti per valorizzare le professioni - ed è questo il merito delle proposte del dott. Proia che hanno visto diverse repliche – ma non creiamo speranze vane su un rinnovo entro l’anno dei contratti del pubblico impiego.
 
Non ritengo tale mia posizione un atto di pessimismo bensì l’esito di alcune considerazioni che vorrei condividere.
 
Il rinnovo dei contratti può avvenire solo a seguito della riduzione dei comparti. Gli incontri che nel 2015 si sono tenuti all’Aran facevano ben sperare che per gennaio di quest’anno l’operazione si potesse portare a temine. Finite le feste ci si doveva incontrare per arrivare al dunque dopo anni di discussione. Sembrava ormai definito che i comparti sarebbero stati 4 (scuola, sanità, poteri locali e poteri centrali) ma a ora non c’è nessun progresso nella trattativa, anzi. All’Aran manca ancora una direttiva da questo governo sui nuovi comparti (la direttiva su cui ci si sta muovendo è del 2010) e il tavolo per la certificazione dei dati delle scorse RSU si è arenato per timore da parte sindacale che gli stessi dati siano usati per definire la rappresentatività anche sui nuovi comparti.
 
Questo per alcune confederazioni e sindacati autonomi può significare la perdita della rappresentatività mentre per i sindacati confederali potrebbe comportare la riduzione dei distacchi e dei permessi. C’è poi la questione Presidenza del consiglio dei ministri che non è chiaro se sarà comparto a sé che entrerà nel computo del calcolo della rappresentatività.
 
La scarsità di risorse economiche messe sul tavolo dal governo dopo 6 anni di blocco fanno capire che al governo non interessa finanziare i rinnovi contrattuali del pubblico impiego. Lo stesso Presidente dell’Aran e più recentemente il Presidente del comitato di settore hanno più volte affermato che servirebbero almeno 2-3 miliardi di euro per un rinnovo “decente” mentre lo stanziamento nella legge di stabilità ammonta a 219 milioni di euro pari a 3,5 euro netti al mese. Di fatto un contratto solo normativo che bypassa la sentenza della Corte Costituzionale di illegittimità del blocco ma non dà risorse per rivalutare gli stipendi e premiere l’azione riformatrice.
 
Per i sindacati che rappresentano i lavoratori, sedersi al tavolo a discutere il contratto su questi presupposti significherebbe svendere i lavoratori tanto più che si andrebbe a firmare un contratto nel 2016 con uno stanziamento di 3,5 euro al mese fino al 31 dicembre 2018! Per avere maggiori disponibilità economiche occorre attendere la legge di stabilità 2017, quindi il prossimo anno. Inoltre, è palese da parte del governo la volontà di colpire il pubblico impiego e continuare in una pianificata decapitalizzazione e privatizzazione. Su questo aspetto ho una visione diversa da Cavicchi quando chiede ai sindacati di proporre contratto in cambio della riduzione delle diseconomie.
 
Certamente le diseconomie, come più volte anche da Nursind sostenuto, ci sono e vanno combattute e su questo avevamo fatto approvare un ordine del giorno parlamentare che impegnava il Governo a riaprire la contrattazione di secondo livello per rendere lì partecipi i lavoratori dei risparmi alla lotta alle diseconomie ma, a livello nazionale, non si può non tenere conto che Renzi ha preferito stanziare di più per il bonus di 500 euro per chi compie 18 anni nel 2016 con una manovra chiaramente a valenza elettorale (diseconomia pubblica vs economia pro domo sua) alla faccia dei lavoratori pubblici. Cavicchi ci dice che i sindacati devono andare da Renzi con proposte di risparmio che consentano al governo di tagliare le tasse ma Sergio Rizzo nel Corriere del 20 dicembre 2015 ben ci racconta dove vanno a finire alcuni “rivoli” dal valore di centinaia di milioni di euro della legge di stabilità.
 
Di fronte a questo modus operandi (risparmi a fronte di mance elettorali) come si può chiedere ancora sacrifici ai salariati?Come possono i sindacati avvallare questa politica di negazione della dignità del lavoro? Forse che ai lavoratori si deve chiedere a gratis (!) di rimediare alla incompetenza della classe dirigente e della politica che nomina tutto e tutti (dai parlamentari ai dirigenti ai capo ufficio) in base alle appartenenze e alle correnti? Prima di chiedere sacrifici ai lavoratori rivendico il diritto di avere il buon esempio di economia da chi ci governa. Se poi mi si dice che l’alternativa è rimanere con i soli 3,5 euro io rispondo che mi impegnerò ad organizzare il dissenso verso queste politiche perché il pragmatismo è nella natura di chi contratta ma la dignità non è negoziabile.
 
C’è poi da sciogliere il nodo delle relazioni sindacali. Proia, nel suo articolo parla di concertazione sindacale, dell’opportunità di riattivare modalità partecipative di relazioni con le rappresentanze dei lavoratori. Io sono d’accordo ma perché ciò accada si deve modificare il Dlgs 165/2001 che con le variazioni dal governo Monti in poi ha relegato le determinazioni sull’organizzazione degli uffici a mera informativa sindacale. Quindi prima dei contratti occorre attendere che il governo attui la delega della riforma Madia sulla pubblica amministrazione e vedere il testo di revisione del Dlgs 165/2001. Inoltre, anche in questo caso, il governo deve invertire la rotta: con le mance (80 euro a tutti i lavoratori sotto un determinato reddito, alle forze dell’ordine) e i bonus (500 euro per la formazione agli insegnanti) il governo sta scavalcando unilateralmente la contrattazione e dà la chiara impressione che la stessa non sia necessaria – e quindi nemmeno i sindacati – per aumentare i redditi o definire alcuni istituti finora contenuti nei contratti di lavoro.
 
 
Lo scoglio dell’applicazione della riforma Brunetta. Il contratto che si andrà firmare sarà il primo contratto dopo il Dlgs 150/2009 che prevede l’applicazione del nuovo sistema premiante che sappiamo essere penalizzante nell’attribuzione a priori della percentuale di meritevoli e di “nullafacenti”. In una situazione di sostanziale mancato finanziamento dei premi significa ridiscutere il trattamento economico già in essere anche per l’impossibilità stabilita dal comma 236 della legge di stabilità 2016 di incrementare i fondi per il salario accessorio (comma che determina un risparmio per la sola amministrazione statale di 70 milioni di euro, ancora derivanti dal mancato incremento del salario). Come possiamo dunque contrattare al ribasso e avere anche preclusa la possibilità di incremento della produttività se ci impegniamo a combattere le diseconomie?  Come possiamo applicare le fasce di merito quando il primo a negarle nei fatti è il governo stesso con politiche redistributive a pioggia? È questa la capacità riformatrice di cui si vanta questo governo?
 
Nursind dal 2013 è diventato rappresentativo ma, causa il blocco contrattuale, non ha ancora potuto esprimere ai tavoli la propria posizione. Lo farà quando sarà chiamato sia per discutere i punti che il dott. Proia ha elencato come possibili contenuti di un atto di indirizzo sia che ci sia la disponibilità del governo, rimuovendo i limiti economici di legge e ridando valore alle relazioni sindacali, a intraprendere un percorso riformatore che consideri il dipendente pubblico, come direbbe Cavicchi, un shareholder.
 
Per questi motivi sono portato a ritenere che il 2016 non sarà l’anno del rinnovo dei contratti. Pronto a essere smentito.
 
Andrea Bottega
Segretario nazionale Nursind

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