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Venerdì 19 FEBBRAIO 2016
Responsabilità professionale. L’obiettivo è ridurre il contenzioso e per farlo serve recuperare il rapporto con il paziente
Se riusciremo ad avere semplicemente un altro genere di relazione con i malati, cosa che il risk management non è in alcun modo in grado di assicurare, la legge avrà vinto la sua battaglia contro il contenzioso legale
Il disegno di legge sulla responsabilità professionale dalla Camera è passato al Senato. Probabilmente non ci saranno modifiche rilevanti ma limature e perfezionamenti. La presidente De Biasi, ha proposto una rapida istruttoria legislativa mediante un ciclo di audizioni informali. Male certamente non fa.
Ma prima di approfittare dell’occasione delle audizioni informali per avanzare, da imbucato, qualche proposta vorrei togliermi un piccola soddisfazione.
Ricorderete che all’inizio, la presentazione del testo di legge da parte dell’onorevole Gelli (a cui va insieme alla commissione Alpa il mio plauso per essere riuscito a portare avanti una impresa non certo facile), fu accompagnata da un coro di commenti encomiastici.
Il primo a rompere gli incantesimi fui proprio io (Qs 23 novembre 2015) richiamando l’attenzione su alcune aporie del testo. Qualcuno mi accusò di fare chiacchiere da camino, (Qs 24 novembre 2015), sta di fatto che dopo quell’articolo e quello del giorno dopo di Maddalena Giungato (QS 25 novembre 2015) prese forma una discussione che alla fine ha migliorato e non di poco il testo della legge. E di questo tanto io che l’avvocato Giungato siamo molto contenti.
Ma nonostante i miglioramenti vi sono ancora importanti commentatori che ritengono che vi siano importanti aspetti problematici da risolvere e alcuni di loro, soprattutto giuristi, sono addirittura convinti che la legge nel tempo potrebbe addirittura dare luogo ad un aumento del contenzioso legale. Ma non voglio discutere di questo.
Personalmente mi ritengo soddisfatto di aver sollevato in particolare il problema delle linee guida e di aver ottenuto una modifica tutt’altro che irrilevante. Nell’art. 6 è scritto che per non essere accusati di colpa grave bisogna seguire le linee guida “salve le rilevanti specificità del caso concreto”. Sulle linee guida è quindi passato un principio anti-dogmatico che salvaguarda tanto la complessità del malato quanto l’autonomia di giudizio del medico. Di questi tempi non è poco.
Ora desidero richiamare l’attenzione del relatore, il mio amico Amedeo Bianco, solo due aspetti.
Il primo è di prevedere a un anno o due dall’applicazione della legge una verifica, quindi una relazione sullo stato della sua applicazione, perché se è vero, come dicono molti che essa non sarà ad esito scontato, ritengo saggio ragionare come se la legge fosse perfezionabile.Se non tutto si può prevedere ex ante molto si può correggere ex post.
Il secondo riguarda una questione che avevo già sollevato (QS 27 novembre 2015) e che torno a dire essere decisiva nell’assicurare alla legge il successo che merita chiarendo una cosa che i medici tendono a trascurare: la legge avrà successo se riuscirà a ridurre il contenzioso legale non ad accrescere il grado di impunibilità del medico o a tutelarlo dagli oneri risarcitori perché il problema della delegittimazione sociale della professione resta tutto. Le mutande di bandone per quanto importanti non risolvono la “questione medica”.
Quindi per me la domanda delle domande resta: come prevenire il contenzioso legale. La legge ha scelto la strada del risk management, ma è mia profonda convinzione che per questa strada non riusciremo in alcun modo a prevenire il fenomeno del contenzioso legale, ma non solo perché come hanno detto in tanti non vi sono soldi per organizzare dei servizi dedicati ma soprattutto perché la teoria del risk management nei confronti del contenzioso legale è fallace e inappropriata.
Si tratta di una teoria come ho cercato di dimostrare in un mio saggio di qualche tempo fa (Medicina e Sanità snodi cruciali: l’errore di svalutare l’errore. Critica alle teorie antifallibiliste del risk management e della patient safety, Dedalo 2010) appiattita su delle idee di gestione e di errore piene di contraddizioni epistemologiche. Non ultima quella di credere di tutelare il medico dagli errori con la “gestione” del medico e quindi della sua autonomia.
Essa tradisce tutta l’ideologia gestionale delle assicurazioni che l’hanno inventata. Cosa diversa è la patient safety dove il soggetto che garantisce la sicurezza è il medico che previene l’errore ma sempre in ambito clinico .Il mio favore lo ribadisco va alla scuola clinica italiana oggi molto sottovalutata ispirata alla pedagogia dell’errore (Murri, Austoni, Federspil, ecc.) scuola che, come saprete certamente, non punta a gestire il medico che sbaglia ma ad educarlo a non sbagliare aiutandolo ad imparare dall’errore.
A questo punto voglio fare una affermazione perentoria sfidando chiunque a confutarmela: la gente non denuncia i medici perché sbagliano (la fallibilità fa parte dell’ordine normale delle cose), ma perché i medici non sono capaci di avere relazioni con i loro malati e i loro famigliari.
Per far crollare il fenomeno del contenzioso legale bisogna insegnare ai medici ad avere delle relazioni, a usare le relazioni per apprendere dal malato, per condividere con lui giudizi e scelte, per corresponsabilizzarlo insieme suoi famigliari nelle decisioni. Ma soprattutto bisogna insegnare ai medici che la relazione non è il buffetto o il sorriso come hanno sostenuto eminenti oncologi, ma è un altro modo di concepire la clinica, quindi di conoscere e di fare. Quindi non è una roba semplice.
Proprio perché sono convinto di ciò, ho trovata francamente ridicola l’operazione di advertising della legge Gelli fatta dal “Centro gestione rischio clinico della Toscana” che ha chiesto a degli “esperti internazionali” dei commenti. I commenti pubblicati su questo giornale (QS 1 febbraio 2016) sono a dir poco favorevoli ma essi non riguardano la legge ma il fatto che essa assicura un ampio spazio al risk management. Essa per me, non se ne abbia a male il mio stimatissimo amico Riccardo Tartaglia, è una banale operazione corporativa anche se alcuni dei commentatori (C.Vincent e N.Dhingra, ecc.) sono d’accordo con me nel ritenere che la questione della relazione tra medici e malati resta centrale cioè è la vera questione.
Concludendo. Come secondo punto propongo di inserire nel testo della legge un articolo sul consenso informato, cioè sulla necessità di sostenere i medici ad avere relazioni non opportunistiche con i malati, sulla necessità di formare i medici ad un altro genere di consenso informato, in sostanza sulla corresponsabilizzazione dei malati nella conoscenza dei rischi che corrono.
Se riusciremo ad avere semplicemente un altro genere di relazione con i malati, cosa che il risk management non è in alcun modo in grado di assicurare, la legge avrà vinto la sua battaglia contro il contenzioso legale.
Ivan Cavicchi
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