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Lunedì 22 FEBBRAIO 2016
Infermieri e maltrattamenti. Alcune riflessioni sul perché possono accedere fatti così gravi



Gentile Direttore,
le scrivo per fare alcune considerazioni sui fatti di maltrattamento, agli anziani ed ai disabili, di questi giorni. Mangiacavalli interviene sui fatti, ma prevalentemente in difesa degli infermieri  vittime  di pestaggi mediatici. Il pestaggio mediatico a mio avviso è un problema che non può essere trattato in seno ad un evento di maltrattamento, necessario scindere i due problemi. In questo momento poteva essere sufficiente informare  il “mondo”, mediante un comunicato stampa,  sull’errore fatto dai giornalisti.
 
I  giornalisti generalizzano nelle loro informazioni rese ai cittadini  confondendoci  a volte con gli oss , altre con le badanti, altre ancora con vallette e/o comparse più o meno accattivanti. Sono però attuali nel loro confondersi perché, “l’ambiente richiede intensamente ciò che gli infermieri promettono di saper offrire” (Lega, 2016); il problema infatti è sul “promettono”, evidentemente ancora non offriamo “beni inconfondibili”,  se continuano a confonderci  e continuiamo a confonderci.
 
Questi giornalisti sono ignoranti è vero, ma tutta colpa loro, volendo cercare responsabilità,  non è; a Scandicci (FI), per esempio, in  un convegno organizzato da una associazione di oss  e da dirigenti infermieristici aziendali  si parlerà  di integrazione fra professioni riferendosi agli infermieri ed agli oss e ritenendoli entrambi professionisti. Il linguaggio rappresenta la realtà e a confondersi in questo caso non sono i giornalisti.
 
Non è un problema da poco,  per una professione intellettuale, non avere una maggiore legittimazione sociale, sostanziale, soprattutto se non si pensa  di esserne  responsabili  e ci si sente   solo vittime. Ci hanno definiti professionisti circa  20 anni fa e da allora non siamo riusciti a costruire proposte, visioni,  e prodotti unici, competitivi e distintivi, non siamo riusciti ad avere spazi connotabili come propri.
 
La legittimazione sociale di cui parla  Mangiacavalli quando fa riferimento all’apprezzamento, come tutori dell’integrità psicofisica,  che i  cittadini hanno nei confronti degli infermieri sembra più una legittimazione romantica,  un sentimentalismo  che una legittimazione sostanziale, non è conosciuto,  infatti, il bisogno dichiarato da parte della cittadinanza di  un  “governo” infermieristico, una strategia di categoria infermieristica nell’ambito, per esempio, delle strutture residenziali sanitarie assistite (“steering vs rowing”, Lega 2016) ed i giornalisti si confondono, Cittadinanzattiva non si attiva e la Senatrice Silvestro pensa ad altro.
 
Il pestaggio mediatico contro gli infermieri non  può essere considerato dunque come  un “cigno nero”, era ed è  prevedibile, non poteva e non sarà una rarità, non può essere  un evento isolato, ma rientra nel campo delle normali aspettative” (Nicholas Taleb, 2015). La stizza di Mangiacavalli, seppur comprensibile, dovrebbe essere rivolta ad altri a lei più  vicini piuttosto che ai soli giornalisti, a quelli che ci vogliono solo specialisti e dunque dei tecnici del mestiere e non anche  dei pensatori  della professione ed a quelli che ogni giorno dirigono gli infermieri con l’intenzione di dirigere subalterni. Gli infermieri per i dirigenti infermieristici sembrano essere solo problemi, risorse che mancano, questioni gestionali.
 
Passando invece ai maltrattamenti  mi soffermerei  su concretezze che passano inosservate sotto l’onda emotiva e dolorosa dei fatti. Nei Centri Aias, a giudicare dalla  Carta dei servizi, gli infermieri non hanno  una legittimazione sostanziale  uno spazio proprio autonomo e neanche autorevolezza alcuna, vengono infatti inseriti in organigramma in fondo alla scala gerarchica, con la dicitura “Infermiere professionale”, sotto la voce “Tecnici ed Operatori della Riabilitazione”, insieme a fisioterapisti, logopedisti, educatori, operatori sociosanitari e ausiliari socio sanitari, intesi come “miscellanea multidisciplinare” e senza alcun ruolo di coordinamento o direttivo, come invece avviene per la categoria medica.
 
Fra i principi ispiratori  dei Centri (Cagliari) si pone l’accento  su “eguaglianza”, “imparzialità”, “umanizzazione” senza indicare chi dovrebbe garantirli con continuità assistenziale;  fra i Servizi  quello  infermieristico non viene citato, se non per le prestazioni. L’assistenza viene genericamente e complessivamente intesa come riabilitativa  e quella continuativa sembra  principalmente  assegnata agli oss. 
 
Questo penso che sia dovuto al fatto, concreto, che quelle persone residenti non siano  considerate nella loro complessità ontologica e con attività di vita riconducibili all’essere persona con malattia. Fra gli indicatori di risultato non ce n’è uno riconducibile alla qualità dell’assistenza infermieristica. Gli ospiti in questi Centri  sembrano prevalentemente  corpi ai  quali garantire riservatezza assoluta e igiene.
 
La riservatezza è un valore  ripetuto moltissime volte  quasi a contraddire quanto il Presidente nazionale AIAS ha detto in occasione dell’incontro annuale. “Siamo passati dalla vergogna con cui i disabili venivano guardati negli anni cinquanta al pieno diritto di cittadinanza  e questo grazie agli sforzi fatti dalle associazioni”. La riservatezza, nella Carta, sembra  più importante di tante attività di vita valutabili da un  infermiere, coordinabili  da un  coordinatore infermiere  e supervisionabili da un  infermiere dirigente, funzioni che non compaiono. La competenza di governo, la presa in carico, è  di tipo amministrativo, lo stile di comando  sembra“violento”, condizioni che hanno determinato  una cultura assistenziale violenta, arida e anaffettiva; spiega il GIP, che la Responsabile amministrativa  “dava disposizioni affinché le quotidiane operazioni di pulizia mattutine venissero effettuate in un unico bagno, nonostante ogni camera della struttura fosse dotata di servizio igienico, costringendo in tal modo i degenti a recarsi nudi in detto locale in totale promiscuità tra uomini e donne”.
 
Questi gesti di “non cura”, sembra, che fossero voluti e attesi e simili gesti ripetuti  non passano inosservati se osservati. Un infermiere, forse con scarsi strumenti culturali, personali e professionali, abbandonato a quella cultura e autorità non può  che riproporre  quella cultura e non può influenzare  diversamente operatori abbrutiti, inariditi, forse poco scolarizzati, forse mai formati e animati da una leadership  a stile violento.
 
Ho fatto  un’altra riflessione: fra le tante istituzioni che  dovrebbero vigilare su queste strutture, non per persone fragili, ma per persone, rese fragili da organizzazioni  e modi di essere inadeguati e incontrollati, l’Ente comunale dovrebbe fare la sua parte. Ho preso atto, per esempio della determinazione numero 112 del Comune di Decimomannu per l’inserimento di una persona disabile presso la casa protetta AIAS  (LR 6/1995). In questa determinazione si parla di questioni finanziarie, di risorse da assegnare con cadenza mensile a seguito di presentazione di fattura  e relativa documentazione. Si dice inoltre che il “provvedimento sarà pubblicato contestualmente sul sito web amministrazione trasparente”(…).
 
Le istituzioni si mostrano  impersonali e antirelazionali,  si preoccupano della risorsa finanziaria, della sua trasparenza e non dei risultati di un servizio erogato con risorse dell’ente comunale o della persona stessa. Il finanziamento dovrebbe essere dato con obbligo di rendicontazione sul servizio fornito; l’infermiera di comunità con strumenti propri del management, come un analisi organizzativa sistemica periodica, potrebbe rilevare prontamente cosa a livello dei meccanismi operativi o dei processi sociali non è adeguato.
 
Il processo amministrativo, che comunque parte da un processo sociale, le tasse pagate dai cittadini di un comune, dovrebbe relazionare  con il processo socio assistenziale, che in una sua fase richiede anche il finanziamento,  a garanzia di qualità di assistenza erogata. Invece, si cercano finanze dai cittadini, e non si “cerca” la tutela garantita. Almeno cosi sembra leggendo l’atto amministrativo. Come può un Sindaco ospitare nella sua comunità una struttura per anziani e disabili, rendere trasparente  il finanziamento e non dimostrare di essersi chiesto se il servizio che finanzia è a garanzia di diritto umano.
 
Mi sono anche poi chiesta come sia possibile che un Presidente di collegio  si affretti a fare dichiarazioni sull’infermiere accusato, che dovrebbero essere emesse da un Consiglio direttivo e con una rigorosa  forma, e non  senta sulla sua pelle nessuna responsabilità su quanto accaduto. In circa 22 anni di presidenza di un Collegio  stupisce il fatto che  non vi sia mai stata   l’intuizione,   la necessità di istituire una commissione del Collegio per la vigilanza, i cui membri, con l’obiettivo di verificare la presenza di infermieri non iscritti al collegio, a tutela del cittadino, potessero effettuare visite di conoscenza nelle diverse strutture assistenziali del loro territorio. In queste visite si possono osservare  gesti di non cura, assenze di  supervisione infermieristica da ricondurre alla competenza pertinente. Il collegio di Firenze questo lo sta già facendo.
 
Dai giornali si apprende che la denuncia di maltrattamento è stata fatta da un’infermiera. Non possiamo che ringraziarla per il gesto coraggioso che ha compiuto; penso infatti che per un’infermiera sola, in mezzo a tanta violenza, culturalmente accettata, istituzionalmente permessa sia stato davvero difficile dirsi “io li denuncio” e farlo.
 
Marcella Gostinelli
Infermiera, Dirigente Sanitario

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