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Lunedì 29 FEBBRAIO 2016
Medici famiglia. Consiglio di Stato: “La libertà di scelta del paziente vale per tutto il territorio di competenza della Asl” 

Così i Giudici di Palazzo Spada hanno accolto il ricorso di un medico riformulando la decisione di primo grado del Tar Calabria. Nel caso in cui la Asl sia pluricomunale, non appare ammissibile un potere di scelta ristretto ad una parte soltanto del territorio su cui insiste l’Azienda sanitaria. Ciò infatti comporterebbe, una limitazione del potere di scelta e una disparità di trattamento nei confronti dei cittadini e sanitari di grossi centri. LA SENTENZA

"Esigenze interne, pur legittime, di natura organizzativa, non possono riconnettersi alla residenza anagrafica dei medici di base e condurre alla creazione di 'Distretti infracircoscrizionali' di pochi o piccolissimi Comuni(in questo senso, cioè del rispetto dei principi dettati dalla legge istitutiva del Ssn, devono essere interpretate le disposizioni del sù citato accordo collettivo), tali da pregiudicare il principio del diritto di scelta più ampia possibile da parte dell’assistito". È quanto stabilito dal Consiglio di Stato nella sentenza 565/2016 con la quale è stato accolto il ricorso di un medico e riformulata la decisione di primo grado del Tar Calabria. 
 
La vicenda in esame prende le mosse dall’iniziativa di un medico che aveva proposto ricorso, presso il Tar Calabria, contro un provvedimento con cui si limitava la facoltà di scelta degli assistiti in favore dei medici di medicina generale ai più ristretti elenchi dei Distretti in cui era suddivisa la Asp di Reggio Calabria, cioè in sostanza ad un ambito territoriale molto più circoscritto, rispetto a quello su cui insiste l’Azienda Sanitaria. Il ricorrente lamentava come il provvedimento impugnato consentiva ai medici di esercitare la professione solo nell’ambito del Comune di residenza e che tale restrizione, in una realtà sostanzialmente metropolitana come nel caso di specie, penalizzava gravemente sia i medici che gli assisiti. A tal proposito, il ricorrente considerava come la scelta dell’Amministrazione risultava assolutamente inidonea a garantire la propria affermazione professionale e non teneva conto della sussistenza di rapporti di fiducia tra medici e assistiti che prescindono dal dato territoriale. Veniva, altresì, contestato dal sanitario che la determinazione assunta non era stata preceduta da alcun atto ufficiale di contrattazione collettiva.
 
Il Tar Calabria aveva ritenuto infondato il ricorso del sanitario, affermando che il provvedimento impugnato costituiva applicazione di quanto previsto nell’Accordo Collettivo approvato con Dpr n. 270/2000. 
 
Il Consiglio di Stato, invece, nel riformare la decisione di primo grado, ha chiaramente affermato che, se è vero che l’accordo collettivo subordina l’interesse del singolo medico ad esigenze di razionalizzazione organizzativa, è altrettanto vero che il principio della libera scelta del medico da parte dell’assistito, è principio prevalente rispetto ad una clausola dell’accordo che ne impedisca la concreta applicazione, senza che alla base vi siano gravi e reali esigenze di natura organizzativa. 
 
I Giudici di Palazzo Spada, hanno preliminarmente posto in evidenza come la scelta del medico di base, da parte dell’assistito, è regolata dal principio della fiducia personale. Secondo l’organo giudicante, tale libertà di scelta non è illimitata, ma deve collegarsi con l’ambito territoriale di riferimento che ordinariamente coincide con quello della Asl di appartenenza. Nei grandi Comuni dove operano più Asl, così come chiarito in sentenza, è evidente che l’ambito territoriale coincide con una frazione del Comune stesso, mentre nel caso in cui la Asl sia pluricomunale, non appare ammissibile un potere di scelta infracircoscrizionale, cioè ristretto ad una parte soltanto del territorio su cui insiste l’Azienda Sanitaria. Ciò infatti comporterebbe, a parte una limitazione del potere di scelta non consentita dall’art. 25 L. n. 833/1978, anche un’evidente disparità di trattamento tra cittadini e sanitari di grossi centri e quelli residenti in piccoli comuni ai quali ultimi verrebbe, di conseguenza, attribuito un bacino di utenza più limitato con evidenti conseguenze sul libero esplicarsi dell’attività professionale e sui profili della capacità e dell’esperienza.

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