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Martedì 08 MARZO 2016
Responsabilità professionale. Ecco i tre punti ‘deboli’ del ddl Gelli. Ma la soluzione c’è

Per arrivare ad una legge che rappresenti una vera svolta nel panorama tormentato della sanità italiana restano aperte tre questioni. In particolare: il meccanismo della rivalsa con l'esercizio dell'azione presso il giudice ordinario; le disposizioni che aumentano la chiamata in causa del medico, con il rischio di un incremento delle spese assicurative; il ruolo delle linee guida. Le nostre proposte

L’approvazione del disegno di legge sulla responsabilità professionale dei Medici e degli esercenti la professione sanitaria presentato alla Camera dei Deputati dall’On. Federico Gelli è sicuramente un dato positivo, da molti anni auspicato dalle Organizzazioni sindacali. Innanzitutto, perché introduce una normativa di riferimento in un settore in cui il vuoto legislativo ha lasciato libero campo alle teorie giurisprudenziali, invero spesso fantasiose, fino ad arrivare alla individuazione di una responsabilità in ambito civilistico da “contatto sociale”.
 
Poi, perché finalmente viene previsto un profilo specifico del reato colposo in ambito sanitario, riconoscendone la peculiarità legata alle finalità sociali dell’esercizio professionale. Infine, per aver disposto in legislazione che la sicurezza delle cure sia parte costitutiva del diritto alla salute ed aver previsto gli indirizzi organizzativi generali per il risk management e la corretta gestione degli audit.
 
Rimangono aperte alcune questioni che auspichiamo possano essere affrontate e meglio definite nel passaggio al Senato del ddl n. 2224, per arrivare ad una legge che rappresenti una vera svolta nel panorama tormentato della sanità italiana. In particolare: 1) il meccanismo della rivalsa; 2) le disposizioni che aumentano la chiamata in causa del medico, con il rischio di un incremento delle spese assicurative; 3) il ruolo delle linee guida.
 
L’articolo 9 del ddl prevede che l’azione di rivalsa sia esercitata presso il giudice ordinario e non presso la Corte dei conti. Siamo sicuri che rappresenti la scelta migliore? La giurisdizione della Corte dei conti offre particolari garanzie in tema di responsabilità amministrativa, come la natura personale e parziaria della obbligazione risarcitoria (vedi anche le riflessioni dell’Associazione Magistrati della Corte dei conti in merito).
 
In pratica, la Corte dei conti accerta la quota del danno complessivo subito dall’Amministrazione concretamente riconducibile alla condotta del convenuto. In una epoca di politiche sanitarie miranti a ridurre il personale e a de-strutturare i servizi per motivi economici, un aspetto molto importante deriva dalla possibilità che la Corte dei conti valuti anche i profili organizzativi della struttura ed i carichi di lavoro dei sanitari, per accertare in concreto la colpa grave, nonché il concorso dell’Amministrazione pubblica nella produzione del danno stesso (ex art. 1227 codice civile).
 
Tutto ciò comporta, nel caso venga ritenuta sussistente la responsabilità di scelte organizzative della struttura ovvero di condotte di altri sanitari, l’esercizio del cosiddetto “potere riduttivo” della somma in questione. Tali principi giuridici non sarebbero applicabili da parte del giudice ordinario nel giudizio di rivalsa incardinato in ambito civilistico, per cui l’eventuale condanna dei professionisti in favore della struttura sanitaria sarebbe in solido e per l’intera somma oggetto della condanna a carico della struttura, nonché trasmissibile agli eredi, al contrario del regime previsto per la responsabilità amministrativa ex articolo 1, legge n. 20/1993.
 
Né sono da sottovalutare, in particolare per gli influssi negativi sul clima interno, le procedure che le strutture sanitarie sarebbero costrette a mettere in campo, a partire da una specifica attività istruttoria mirante ad identificare nelle condotte del sanitario dipendente coinvolto nell’evento la sussistenza o meno dell’elemento della colpa grave. Con l’obbligo di esercitare l’azione di rivalsa presso il giudice ordinario per dimostrarlo in giudizio, e la necessità di sostenere spese legali e per il supporto di consulenti tecnici di parte. Anche per evitare la possibilità di intervento della Corte dei conti nei confronti degli amministratori che non abbiano avviato la procedura di rivalsa nei confronti dell’esercente la professione sanitaria.
 
Tali procedure saranno implementate soprattutto in presenza di autoassicurazione o, meglio, ritenzione del rischio, pur considerando che tale sistema, diffuso in molte Regioni, non appare sostenibile nel tempo senza una adeguata e specifica riserva finanziaria a livello aziendale o regionale, con ogni probabilità elusa in tempi di de-finanziamento del SSN. Per l’insieme di questi motivi, è necessario che il legislatore si interroghi sulle conseguenze derivanti dal trasferimento nella giurisdizione civilistica di una ulteriore quota di controversie, considerato il lavoro attualmente oberante sugli uffici dei giudici ordinari, nonché sulla perdita delle sopracitate garanzie per gli esercenti la professione sanitaria, in un panorama di persistente fruizione da parte degli altri dipendenti pubblici.
 
Eccessive sembrano le modalità plurime attraverso le quali i Medici e gli altri professionisti possono essere chiamati in giudizio: responsabilità penale (art. 6); responsabilità extracontrattuale (art. 7) ai sensi dell’art. 2043 del codice civile; rivalsa ex art. 9 per la graduazione della colpa anche in caso di transazione extragiudiziale; tentativo obbligatorio di conciliazione (art. 8) ai sensi dell’art. 696-bis del codice di procedura civile; azione diretta del danneggiato nei confronti dell’assicurazione e successiva rivalsa verso l’esercente la professione sanitaria da parte dell’assicurazione (articolo 12, comma 1 e 3). Obbligandoli a dotarsi di coperture assicurative piuttosto solide per le azioni di rivalsa e per le spese legali e peritali.
 
Va, pertanto, diradato ogni dubbio sulla possibilità che gli esercenti la professione sanitaria, dipendenti di una struttura pubblica o privata, siano costretti a contrarre anche una assicurazione “primo rischio”, che comporterebbe il trasferimento annuale di almeno 500 milioni di euro dalle loro tasche a quelle delle assicurazioni. E’ evidente che a quel punto la legge verrebbe rigettata da tutto il mondo sanitario, sia per il vero e proprio florilegio di possibili chiamate in causa, sia per l’inaccettabile incremento dei costi assicurativi.
 
Per evitare questa eventualità occorre affermare in modo inequivocabile, come già previsto nell’articolo 28 del DPR 761/1979 e nei CCNL 1998/2001 e 2002/2005 della dirigenza medica, veterinaria e sanitaria, che le strutture sanitarie pubbliche e private devono garantire il personale dipendente, mediante adeguata polizza di assicurazione per la responsabilità civile, dalle eventuali conseguenze derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi, anche per responsabilità extracontrattuale, ivi comprese le spese di giudizio e peritali, relativamente alla loro attività, senza diritto di rivalsa, salvo i casi di colpa grave o di dolo. Insomma, per tutelarlo dall’azione diretta del danneggiato o dei suoi familiari, meglio precisare che l'azione di risarcimento deve essere esercitataesclusivamentenei confrontidellastruttura sanitaria.
 
La cui copertura assicurativa per responsabilità civile verso terzi (RCT) e per responsabilità civile verso prestatori d'opera (RCO) sono condizioni per l'autorizzazione, l'accreditamentoo la convenzione. La garanzia RCO vale per i soggetti che,a qualunque titolo, svolgano attività lavorativa presso le aziende, enti e strutture, in cui vanno espressamente ricompresi i lavoratori precari che, senza corrispettivo, frequentino, anche occasionalmente, gli ambiti suddetti a meri fini di apprendimento e formazione.
 
Per quanto attiene l’autonomia e la responsabilità del medico nelle scelte professionali relative ad un particolare caso clinico, ribadita in sentenze della Corte Costituzionale e della Cassazione, l’articolo 5 del ddl 2224 ha raggiunto un suo equilibrio interno con il riferimento alle specificità del caso concreto, alle buone pratiche clinico assistenziali e alle raccomandazioni delle linee guida (LG), la cui qualità non è garantita dall’autorevolezza di chi le produce, né dalla loro legittimazione normativa.
 
Essa piuttosto è strettamente legata al rigore metodologico nel processo di elaborazione, alla massima accuratezza nella ricerca, nella valutazione e nella selezione delle evidenze scientifiche nonché ad una adeguata governance di eventuali conflitti di interesse nella loro formulazione. Per questo è da prendere in considerazione la proposta avanzata da alcuni esperti (Alberto Donzelli ed altri) di inserire nel testo il riferimento a LG progressivamente accreditate all’interno di un Sistema Nazionale Linee Guida, coordinato da una pubblica istituzione. Nel frattempo si continuerebbe ad applicare quanto previsto dalla legge Balduzzi.
 
In ultimo, sarebbe opportuno garantire ai pazienti un tempo certo, e breve, per l’acquisizione della documentazione clinica, almeno fino a quando il fascicolo elettronico non diventerà strumento ordinario in tutte le Regioni.
Superando le ultime curve, avremo una legge che, riconoscendo che lasicurezza delle cure è parte costitutiva deldirittoallatuteladellasalute,edè perseguita nell'interessedell'individuo e della collettività, attribuisce la responsabilità di eventi avversi agli stessi che sono chiamati a garantire i LEA alleviando la pena, ma non la responsabilità, degli operatori sanitari. Un buon viatico per i processi di innovazione del SSN che appaiono sempre più necessari.
 
Carlo Palermo
Vice Segretario Nazionale Vicario Anaao Assomed

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