quotidianosanità.it

stampa | chiudi


Lunedì 14 MARZO 2016
Infermieri. Il dissenso di quei “quattro gatti”



Gentile Direttore,
giorni indietro ho letto la lettera del presidente del Collegio di Carbonia Graziano Lebiu “Il buon gusto di Cavicchi”.  Una lettera dal tono risoluto, da dominatore, ma con dei contenuti poco o nulla domandati e che dimostrano pertanto la mancanza di coraggio, nel voler conoscere chi non si conosce. Lebiu è un infermiere, Presidente del Collegio infermieri di Carbonia e consulente per i gruppi nazionali Ipasvi; esercita, pertanto, un governo sugli infermieri, suoi iscritti, e in una certa misura anche sugli infermieri nazionali che subiscono i prodotti dei suoi lavori di gruppo. Subiscono perché niente si sa di cosa in quei gruppi si discuta e di quali siano i criteri che portano gli infermieri comuni, generalisti, sconosciuti, a non avere il privilegio di parteciparvi. Ho fatto, quindi, alcune riflessioni .

Governando “qui e là”, sovrano, in maniera regale e consapevole, Lebiu, riflette, introietta, trasmette, garantisce quei sentimenti e atteggiamenti, dai quali dipende culturalmente ed eticamente, che sembrano volti più alla cura dell’attuale potere assoluto piuttosto che alla cura della sofferenza umana. Quello che, sobriamente, gli critico però è che sapendo di poter dominare egli coglie l’occasione per farlo dimostrando di non aver bisogno di saper “reggere"; Heiddegger dice che “al governo di chi 'regge' in maniera autentica appartiene la nobiltà dell’essere che tace, che sdegna ogni chiasso e non cade mai vittima di ciò che è ordinario”.

Lebiu nelle sue lettere cade sempre vittima di ciò che è ordinario perché non avendo bisogno di saper “reggere” dà più peso al fatto di essere criticato che agli argomenti cui riferirsi per rispondere alla critica in maniera pertinente. Dico questo perché a chi critica in maniera meno reale, meno pronta di Cavicchi, Lebiu non risponde; la critica non aspra sembra essere per lui ininfluente; è interessato invece ai modi della critica reale perché scuote le coscienze e teme cosi che il potere suo e di chi lo sostiene possa vacillare. E’ ordinario intimare la censura per rispetto di chi , come dice, è stato eletto democraticamente riferendosi a chi non è stato eletto, ma nominato(Silvestro). Il rispetto è per ciò che è , altrimenti non è rispetto è altra cosa. E’ ordinario parlare di democrazia se la si intendende come il rapporto fra il suddito ed il sovrano, tra il politicamente superiore e “l’inferiore” e percependo la comunità che si rappresenta come un aggregato professionale, semplice moltitudine.
 
Dico questo perché non credo che i suoi circa 800 iscritti, o quanti sono realmente, siano stati tutti contenti che il loro presidente abbia preso la decisione di inviare alla segreteria del Sindacato Nursind una lettera in carta intestata che mostra senza “velo” il dito medio alzato come risposta a chi propone uno stile di pensiero altro da quello dominante. Difficile credere che quella decisione sia stata deliberata in un consiglio e che dunque tutti i consiglieri ne siano stati consapevoli. Non è una risposta deontologica e rispettosa. E’ ordinario ed espressione di debolezza, manifestare “esplosioni di giubilo” per comunicare il proprio consenso a chi ci garantisce, senza spiegare il perché del proprio consenso. E’ordinario lasciar credere di essere continuamente in buona fede solo facendo appello ad un rispetto che si chiede per chi è gerarchicamente superiore e punendo o minacciando di farlo,chi, secondo quella morale, non li rispetta. Non manifestare un pensiero autocritico e o critico è già di per se una condizione di non buona fede. Manifestare invece, maldestramente, di non essere in buona fede è sottovalutare la propria comunità rappresentata.
 
Dico maldestramente perché dimostra di non sapere che l’essere in buona fede è la condizione di colui che agisce in maniera incondizionata e non una mancanza che si può decidere di avere o non avere; chi agisce in maniera incondizionata risponde alla critica con una replica intelligente, capace di smontare i pensieri critici e non ha bisogno di rendere la buona fede padroneggiabile e formata, replicando con argomentazioni che rispondono alle esigenze del solo “dominatore” e non alla critica fatta e quindi non alla comunità: rispettare il pensiero unico. Cosi si utilizza una morale ingannevole.
 
La buona fede diventa strumento di successo solo se i soggetti della comunità professionale sono consapevoli che facendo quello che chi li rappresenta vuole, fanno quello che loro vogliono e solo quello. La buon fede di chi rappresenta democraticamente una comunità, in questo caso, non è quella di “camuffare” due livelli di volontà utilizzando un punto di vista qualsiasi, cosi detto morale e che corrisponde a quello di chi ti rappresenta senza che il rappresentato lo sappia. Semmai è rendere consapevole la propria comunità, discutendo con essa e rispondendo per essa. E quando mai gli infermieri discutono insieme a chi li rappresenta ai diversi livelli? Il congresso è sempre stato un convegno con tutto già predefinito e senza scambio con. Quali sono i luoghi leciti del pensare insieme? E se non ci sono perché accanirsi con stili di pensiero differenti?
 
Gentile Presidente Lebiu, non sembra vero che sia infastidito dal modo di comunicare di Ivan Cavicchi e non credo alla sua buona fede cosi ben padroneggiata con la formula del portar rispetto, sa perché? Perché sembra che non abbia mai letto un suo libro; se lo avesse letto e se fosse vero quello che lamenta, amerebbe quel modo di comunicare, cosi leale e lucido e per questo anche generoso. Le analisi serie e spietate infastidiscono lei ed i suoi superiori perché sono tremendamente vere e scomode; è'0capisco anche che sia in difficoltà a dover replicare alle sue analisi perché evidentemente le letture che lei invece fa non sono comparabili, non reggono la forza di un pensiero forte e per questo riformatore. E se lei non ha letto nulla di Cavicchi a me dispiace molto, a me ed agli altri 4 gatti, soliti noti, come lei definisce me ed i miei colleghi che osano invece leggere quello che chi li critica duramente scrive. Sa perché? Perché a causa di queste mancate letture e altre comparabili, la professione che esercitiamo non cresce. Allora Noi, 4 gatti , studiamo i saggi di Cavicchi e di altri diversi ed uguali e sentendo “parecchio male” leggendoli, impariamo e diventiamo consapevoli.
 
Ieri eravamo 4, oggi 8, domani 12 e cosi via
. Chissà che cosi andando non debba ricorrere anche lei a letture che oggi percepisce come avverse. Se dovesse iniziare a leggere un libro di Cavicchi, le consiglierei di leggere e studiare per primo “La clinica e la relazione”, Bollati Boringhieri, dove già parlava della necessità in medicina di passare da una clinica osservazionale ad una clinica relazionale considerando nella medicina anche gli infermieri che con una clinica relazionale avrebbero avuto un suo perché senza dover passare dal comma 566 e da una guerra con i medici sconsiderata. E poi tante altre cose che non sto a dirle per non toglierle la curiosità di leggerlo. Le dico solo che in quel libro e in tanti altri che ho letto e studiato di Cavicchi ho capito che cosa possa essere per un infermiere la democrazia creativa e che, volendo il viaggio è per lui la destinazione, se solo lo facessero viaggiare.

Per quanto riguarda invece la favola di Siringhino non deve cercare di capirla, nelle favole conta il primo impatto, il meravigliarsi, la paura della strega cattiva, il fascino della magia, non c’è da capire nelle favole, sarebbe come cercare di capire l’arte o la vita stessa. La favola di Siringhino ha tutto il suo potere se è libera da riflessione, quella favola conta sulla intuizione, sul sentire più che sul capire. La profondità di quella favola sta nel suo primo livello, cercare di trovarvi un simbolismo porta alla mediocrità ed alla sovversione del senso. Le favole Presidente sono vere, per questo Cavicchi l’ha usata, la prego non banalizzi una profondità. Non c’è niente da capire solo da sentire.

Neanche io sono sempre d’accordo con Cavicchi e l’ho pure scritto su questo stesso giornale e non è stata l’unica volta e non sarà l’ultima, ma non mi sono mai sentita offesa dal suo pensiero, perché io sono libera di apprendere. Per “conseguirci” abbiamo bisogno di una intellighenzia che non teme il confronto, lo scontro, l’altro e che pertanto governa nell’interesse della comunità cui si riferisce .

A Barbato invece suggerisco di leggere “Medicina e sanità: snodi cruciali”, sempre di Cavicchi, dove potrà trovare un suggerimento utile, scritto in modo garbato, per un progetto dirigenziale caratterizzato da un vero pensiero riformatore che aiuti gli infermieri generalisti ed anche i loro coordinatori, che voi dirigenti sembra abbiate lasciato in mezzo al guado.
 
Marcella Gostinelli
Infermiera, Dirigente sanitario 

© RIPRODUZIONE RISERVATA