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Mercoledì 16 MARZO 2016
L’infermiere e il rifiuto dell’ordine di servizio. Aspetti patologici dell’organizzazione del lavoro

Oggi all’autonomia deve seguire ed essere tutelato un quadro peculiare di responsabilità. La pratica, probabilmente, evidenzierà quanto sia difficile vincere antiche abitudini, superare retaggi culturali, resistere alle innovazioni normative quando si impartiscono ordini impropri all’infermiere. Qui dipenderà dall’infermiere medesimo, dal suo livello di dignità, qui dipenderà anche dall’istituzione Ipasvi e dal sindacato se impegnato e serio

Le attuali sentenze dei Tribunali di Roma n. 8132/2015 e di Frosinone n. 49/2016, recentemente sottoposte a vaglio ipercritico da parte di alcuni commentatori, sono ispirate alla consolidata giurisprudenza di legittimità che non offre alcuna tutela al lavoratore quando l’assegnazione di compiti inferiori alla qualifica di appartenenza sia meramente occasionale.  Chi individua l’art. 49 del Codice deontologico quale fonte normativa legittimante il demansionamento e addirittura orientativo per il pronunciamento dei giudici, non coglie quindi nel segno.

Chi scrive ritiene, invece, che l'impropriamente avversato art. 49 cit. sia di notevole e positivo impatto sull’autonomia professionale e intellettuale dell’infermiere oltre che per il governo dell’organizzazione del lavoro (leggasi Avv. Doglio su QS 17 Febbraio 2016).
 
Alla domanda se un professionista sanitario infermiere possa essere limitato nello svolgimento delle sue funzioni dalla carenza di personale di supporto che l’organizzazione del lavoro non riesce a tamponare e risolvere, si può rispondere in un solo modo ma analizzando adeguatamente il contesto. Se il demansionamento e/o la dequalificazione sono “istituzionalizzati”, il che si verifica quando le aziende sanitarie decidono di rimediare alla carenza di personale addetto a compiti esecutivi ricorrendo all'infermiere, adibendolo forzatamente ad incombenze esecutive e ancillari estranee a quell'autonomia funzionale che dovrebbe, invece, caratterizzare il ruolo infermieristico, non v’è alcun dubbio che tale stato di costrizione e, contestualmente, lo svuotamento delle competenze che qualificano la professione infermieristica, sono da considerarsi, (e le considero da tempi non sospetti), atti lesivi del diritto fondamentale del lavoratore alla libera esplicazione della propria personalità nel luogo di lavoro.

Un'organizzazione del lavoro rispettosa delle autonome funzioni di tutte le figure professionali sanitarie dovrebbe, infatti, imporre di escludere gli infermieri dall’esecuzione di competenze previste per altri operatori limitandone fortemente, se non escluderne, lo svolgimento.
Ma al di fuori del contesto (ossia quando il personale di supporto è presente) e fuori dai casi dell’eccezionalità esiste certamente la possibilità di ricorrere all’autotutela di fronte a ordini di servizio demansionanti.

La norma di protezione è quella dell’art. 11 Obblighi del Dipendente ex art. 28 lettera h) Comparto Sanità. Per comodità espositiva, pare opportuno suddividere tale articolo in periodi per comprenderne meglio la portata.
a) “…Eseguire le disposizioni inerenti all’espletamento delle proprie funzioni o mansioni che gli siano impartiti dai superiori…”
b) “…Se ritiene che la disposizione sia palesemente illegittima, il dipendente è tenuto a farne immediata e motivata contestazione a chi l’ha impartita, dichiarandone le ragioni…”
c) “…Se la disposizione è rinnovata per iscritto ha il dovere di darvi esecuzione, salvo che la disposizione stessa sia vietata dalla legge penale o costituisca illecito amministrativo…”

 
Andiamo per ordine:
 
a) “…Eseguire le disposizioni inerenti all’espletamento delle proprie funzioni o mansioni che gli siano impartiti dai superiori…”
Innanzitutto, non v’è alcun dubbio che si tratti di una norma applicabile anche ai Collaboratori Professionali Sanitari Infermieri nell’espletamento delle loro funzioni. E a tal proposito è possibile dire che la storia della professione infermieristica è stata/è caratterizzata da un graduale passaggio dalla mansione alla funzione, in virtù di conquiste legislative sempre più marcate, fino all’approdo della legge 42/99 e ai successivi interventi legislativi (non ultimo, il discusso “comma 566” della Legge di stabilità 2015 che può essere considerato, in tal senso, un nuovo passo in avanti verso l’evoluzione della professione).
I cd. superiori gerarchici sono il coordinatore infermieristico, il medico responsabile della complessiva UO in un turno di lavoro, il direttore della struttura o del dipartimento, il direttore sanitario, il dirigente infermieristico: costoro possono impartire una disposizione inerente all’espletamento delle connesse funzioni.
 
b) “…Se ritiene che la disposizione sia palesemente illegittima, il dipendente è tenuto a farne immediata e motivata contestazione a chi l’ha impartita, dichiarandone le ragioni…” (allegato 4)

Quando è da considerarsi illegittima una disposizione? L’ordine di servizio è una disposizione impartita da un superiore gerarchico sul quale ricade la responsabilità dei fatti ad essa conseguenti.  E’ da considerarsi illegittimo ogni atto o comportamento che viola una norma giuridica. Il professionista infermiere è chiamato a un elevato livello di responsabilità dovendo, ogni volta, aver riguardo al fatto che il comportamento che consegue dalla sua funzione, è suscettibile di generare ordini di conseguenze civili, penali, disciplinari (verso l’azienda, verso il proprio collegio professionale nei casi in cui si sia violato quel codice interno deontologico e comportamentale volto al corretto svolgimento della professione nell’interesse generale).

Gli infermieri devono conoscere gli aspetti giuridici del loro esercizio professionale e deontologico, la normativa sanitaria, gli elementi di diritto penale e civile e le fattispecie criminose prossime alla loro professione intellettuale. Avendo ben presente “i confini”, eviteranno di tenere comportamenti non conformi alle norme e di incorrere in responsabilità e potranno rifiutarsi di ottemperare ad eventuali richieste-ordini di servizio dal superiore gerarchico, se ritenuti illegittimi.

È necessario, quindi, iniziare a valutare i propri atti, comprenderne le conseguenze, agire nell’osservanza della legge, in autonomia, con libertà e con sempre maggiore impegno e consapevolezza, in quanto requisiti fondamentali per raggiungere una maggiore considerazione del proprio ruolo sociale e professionale, delle proprie competenze e abilità, e della capacità di assumersi la responsabilità di opporre un rifiuto motivato ogni qualvolta lo si ritenga necessario.

Individuato il profilo ritenuto illegittimo, quale che esso sia, il dipendente è tenuto a contestarne la sussistenza. È da notare l’avverbio utilizzato, "immediata": non lascia spazio ad equivoci. Il superiore gerarchico dispone? La disposizione può-deve essere contestata nella subitaneità.
La contestazione è anch’essa un procedimento complesso e articolato dove ad ogni singolo passaggio deve corrisponderne un successivo che sia coerente, nella forma e nella sostanza, con il precedente ed il successivo.
 
c) “…Se la disposizione è rinnovata per iscritto ha il dovere di darvi esecuzione, salvo che la disposizione stessa sia vietata dalla legge penale o costituisca illecito amministrativo…”
Motivato verbalmente o per iscritto il diniego ad una disposizione impartita per le vie brevi e verbale, l’ordine di servizio può essere reiterato in forma scritta per richiesta di chi dovrebbe eseguirla o per autonoma e responsabile volontà di chi dovrebbe emanarla. A quel punto la sequenza di possibilità si riduce ad eseguire la disposizione senza se e senza ma. A condizione che l’ordine non contenga aperta violazione della legge compiendo un reato penale o preveda un illecito amministrativo e quindi la probabilità di ricevere una sanzione amministrativa.

La previsione di rifiutarsi di eseguire un ordine di servizio in quanto illegittimo o vietato dalla legge penale è tuttavia inapplicabile alla fattispecie del demansionamento: non è infatti un reato penale quanto un illecito civile ed in linea di principio il demansionato non commette alcun illecito amministrativo.
 
Conclusioni
In materia di demansionamento e dequalificazione:
a) l’art. 11 Obblighi del Dipendente Contratto Collettivo Comparto Sanità 2004 ex art. 28 Contratto Collettivo Comparto Sanità 1995 lettera h) non consente alcun pratico rifiuto: le disposizioni di servizio impartite, pur irrituali, non possono essere disattese e devono essere eseguite;
b) l’art. 49 del Codice Deontologico 2009 consente il governo del contenzioso: si colmano in via eccezionale carenze e disservizi e si coinvolge la rappresentanza professionale, che orienta e tutela il comportamento degli iscritti anche a tutela dei cittadini;
c) ipotizzando l’inesistenza dell’art. 49, persisterebbero in tutta la loro interezza in quanto non disapplicato l’ex art. 28.

Oggi, evidentemente, all’autonomia deve seguire ed essere tutelato un quadro peculiare di responsabilità. La pratica, probabilmente, evidenzierà quanto sia difficile vincere antiche abitudini, superare retaggi culturali, resistere alle innovazioni normative quando si impartiscono ordini impropri all’infermiere. Qui dipenderà dall’infermiere medesimo, dal suo livello di dignità, qui dipenderà anche – perché no? – dall’istituzione Ipasvi e dal sindacato se impegnato e serio.

Nei procedimenti che inevitabilmente andranno ad innescarsi, gli infermieri si dimostreranno sufficientemente pronti a sostenere quella che da una previsione è diventata una evidenza ed un passaggio epocale in tema di autodeterminazione e autotutela come quella di sottoscrivere atti inequivocabili che certifichino quando e come e verso chi si abbia agito per non ottemperare a ricevute disposizioni di servizio ritenute lesive della propria professionalità? (allegato 1, allegato 2)

Ancora, e concludo, rivestono importanza capitale gli adempimenti di cui agli artt. 49 e 51 del Codice di Deontologia Infermieristica, comunicando anche al Collegio Ipasvi di riferimento situazioni che limitano la qualità delle cure e dell’assistenza e il decoro dell’esercizio professionale. (allegato 3)

Graziano Lebiu, infermiere forense
Presidente Collegio IPASVI Carbonia Iglesias

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