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Lunedì 21 MARZO 2016
Liste d’attesa e intramoenia. Ma di cosa stiamo parlando?

La libera professione dei medici rappresenta meno dell’8% dell’attività ambulatoriale del Ssn e non supera lo 0,4% dell’attività di ricovero. Francamente, anche in termini di logica matematica,  non si capisce come la sua abrogazione possa determinare l’azzeramento delle attese dei pazienti

Il tema delle liste d’attesa periodicamente riemerge, come un fiume carsico, alla superficie del dibattito politico in sanità. Questa volta è stato il Presidente della Giunta della Regione Toscana Enrico Rossi ad aprire le schermaglie,  stigmatizzando il rapporto  secondo lui perverso che esisterebbe tra liste d’attesa e libera professione intramoenia.
 
Le liste d'attesa sono una caratteristica strutturale di tutti i sistemi sanitari pubblici ove i pazienti non sono chiamati a pagare la prestazione di tasca propria (out of pocket) ed il tempo di accesso ai servizi, e non la disponibilità a pagare, ha il ruolo di trovare un equilibrio tra domanda ed offerta. I tempi d'attesa  rappresentano il risultato di fenomeni complessi quali la disponibilità  di tecnologie diagnostiche  e di terapie sempre più sofisticate, il cambiamento demografico ed epidemiologico in atto con l'aumento di malattie ad andamento cronico che richiedono frequenti controlli clinici, la crescente domanda di salute legata alla maggiore informazione e consapevolezza dei cittadini, ma anche l'influenza che su di essi esercita lo sviluppo di un (super) mercato della salute, esterno al SSN, che marcia indisturbato a grandi passi verso il trionfo inflazionistico della medicina e della medicalizzazione pervasiva della società. 
 
Le leggi vigenti garantiscono il diritto dei medici a esercitare una professione liberale e il diritto del cittadino di scegliersi un medico di propria fiducia in un periodo critico della sua vita.  Il  SSN offre i servizi, la singola prestazione chirurgica o diagnostica, ma non può sempre garantire quale medico la eseguirà, per ovvi motivi organizzativi, resi ancora più critici dal sistematico de-finanziamento del SSN che ha caratterizzato questi anni di crisi economica. La libera professione intramoenia (LPI) permette questa scelta. 
 
La LPI rappresenta, a ben guardare, un valore aggiunto per le Aziende e la possibilità per gli utenti di acquisire prestazioni diagnostiche e terapeutiche sicure e di qualità, in quanto garantite dal SSN. I dati relativi alla LP in regime ambulatoriale indicano come essa rappresenti meno dell'8% dell'attività svolta in regime istituzionale mentre quella in regime di ricovero non supera lo 0,4% (esattamente 31.900 dimessi in libera professione contro 8.900.000 in regime ordinario). L’attività istituzionale è quindi ampiamente prevalente su quella libero-professionale con rapporti molto lontani dai limiti massimi (LPI =100% dei volumi prestazionali istituzionali) indicati dalle leggi e dai contratti. E francamente, anche in termini di logica matematica,  non si capisce come l’abrogazione della LPI possa determinare l’azzeramento delle attese dei pazienti.
 
La LPI, piuttosto, contribuisce a contenere il fenomeno delle liste d'attesa permettendo l'accesso ad un canale sostenuto dal lavoro aggiuntivo dei professionisti, spesso a costi calmierati e ad imposizione fiscale certa. Inoltre, essa rappresenta per le Aziende sanitarie una delle possibilità per acquisire con proprio personale prestazioni aggiuntive a quelle istituzionali, anche in regime di ricovero, intercettando ed introitando denaro che altrimenti andrebbe ad alimentare il settore privato. In base ai dati pubblicati e riferiti al 2013, l'introito annuale globale è di circa 1,15 miliardi di €, di cui circa 400 milioni € sono  incamerati dallo Stato come tasse,  mentre la quota  a favore delle aziende sanitarie  è stata di circa 220 milioni di € (fonte: Osservatorio nazionale per l'attività libero professionale del Ministero della Salute).
 
Pertanto, in questo strano Paese dove l'evasione fiscale, la corruzione e gli sprechi  hanno raggiunto livelli economici stratosferici e tali che il loro parziale recupero potrebbe permettere il finanziamento di un secondo SSN,  abbattendo tutte le attese,  i Medici ospedalieri con il loro guadagno medio lordo annuale di circa 80.000 € sono classificati tra le categorie più agiate economicamente.  Conseguentemente a essi si applicano per i guadagni aggiuntivi, come quelli derivanti dalla LPI, le aliquote marginali IRPEF più elevate (41 e 43%), che producono per lo Stato un gettito fiscale superiore ai 400 milioni di € per anno. Meglio farne a meno?
Pensare che quello della libera professione sia il meccanismo principale che impedisce agli ammalati  l'accesso equo ai servizi è certamente fuorviante. Dove lo mettiamo il rilevante taglio delle risorse destinate al finanziamento del SSN dal 2011 al 2015?  I 54 miliardi di tagli calcolati da Cittadinanzattiva non incidono sui diritti dei cittadini? I pensionamenti e le gravidanze del personale senza sostituzione non degradano l'organizzazione dei servizi e non prolungano le liste d'attesa?
 
La non corrispondenza tra bisogni dei cittadini e flussi  finanziari centrali si traduce nelle singole aziende sanitarie in fatti molto concreti: oltre al blocco del turn over, abbiamo le limitazioni degli acquisti di beni e servizi (farmaci, protesi, device, kit diagnostici, kit chirurgici....), il mancato rinnovo delle tecnologie mediche, i ridotti investimenti in formazione del personale. Nessuno ha mai sentito parlare di taglio delle sedute operatorie per mancanza di risorse? Quanto pesa tutto ciò sui tempi d'attesa? Meno del diritto a effettuare la libera professione? E perché mai nessun Catone ne parla? 
 
Eppure il D.Lgs 120/2007 promosso dal Ministro Livia Turco chiaramente stabiliva il progressivo allineamento dei tempi di erogazione delle prestazioni nell'ambito dell'attività istituzionale ai tempi medi di quelle rese in regime di LPI, al fine di assicurare che il ricorso a quest'ultima fosse conseguenza di libera scelta del cittadino e non di carenza nell'organizzazione dei servizi resi nell'ambito dell'attività istituzionale. Nell’ultimo decennio, le Regioni quali  iniziative hanno concretamente messo in campo per raggiungere questo obiettivo? E la scelta di riversare nel 2015 sulla sanità gran parte dei risparmi chiesti dal Governo alle Regioni non ha inciso sulla erogazione dei servizi e quindi sulle attese?
 
In merito poi all'abbattimento delle liste d'attesa, l'Anaao Assomed ha già presentato le sue proposteche richiedono comunque un'assunzione di responsabilità politica sia da parte del Governo sia delle Regioni. Le riportiamo sinteticamente:
1 - incentivare il ricorso all'istituto della produttività aggiuntiva nell'ambito di accordi contrattuali aziendali che coinvolgano tutto il personale;
2 - estendere ai programmi di abbattimento delle liste d'attesa i benefici fiscali e contributivi previsti per l'incremento della produttività nel privato;
3 - trasformare i ticket pagati dai cittadini in una risorsa aggiuntiva da utilizzare per l'abbattimento delle liste d'attesa, non sottraendola al finanziamento ordinario destinato alle Regioni;
4 - prevedere specifiche incentivazioni per l'erogazione dei servizi in orari serali e prefestivi.
 
Ovviamente, si dovrebbe intervenire anche sul versante della domanda migliorandone l’appropriatezza e il governo su classi di priorità, valorizzando  e diffondendo altresì  iniziative come quella promossa da Slow medicine e denominata Choosing Wisely .
 
La realtà, caro Presidente Rossi, è che tutti i Dirigenti medici e sanitari del SSN sono stanchi di questo andazzo. Sono stanchi di essere considerati delle trivial machine utili solo alla produzione indistinta di prestazioni sanitarie, sono stanchi di far fronte con una flessibilizzazione estrema delle loro condizioni di lavoro al calo drastico delle risorse. Altro che visione etica della sanità come da Lei prospettata. Qui avanza una sorta di "neo taylorismo" nell'organizzazione dei servizi sanitari, dove il tempo di relazione, l'ascolto del paziente e dei suoi bisogni è  considerato un tempo morto. Insomma, dall’“operaio bue” teorizzato dall'ingegner Frederick Winslow Taylor stiamo lentamente ma inesorabilmente passando al “medico bue” o, se si preferiscono le teorizzazioni di McKinlay e Arches, a una condizione di “proletarizzazione” del lavoro medico, intesa come perdita di controllo del professionista sulle proprie condizioni di lavoro. I medici ospedalieri trovano nell’attività libero professionale quell’autonomia e quella gratificazione professionale che oggi le aziende sanitarie mettono in discussione.
 
E’ evidente, in definitiva, il rischio di regalare al privato che si sta attrezzando con prestazioni low cost quote economiche importanti contribuendo al de-finanziamento della sanità pubblica e di impedire a medici dotati di elevate conoscenze  professionali e sofisticate  capacità tecniche di stare sul mercato.
 
Una politica “tafazziana” in cui a vincere sarà solo chi sta fuori dal sistema. In fondo al tunnel c’è solo il buio di un SSN  povero per i poveri.
 
Carlo Palermo
Vice Segretario Nazionale Vicario Anaao Assomed
 
 

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