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Venerdì 01 APRILE 2016
Alzheimer. Rigidità delle arterie fattore di rischio

Secondo un’analisi di imaging cerebrale su partecipanti di terza generazione al Framingham Heart Study (G3), un aumento della rigidità aortica nei giovani adulti sani di mezza età può essere associato ai fattori di rischio per un precoce deterioramento cognitivo e di seguito alla malattia di Alzheimer.

(Reuters Health) - In particolare,“una maggiore rigidità aortica è stata associata alle misure della riduzione della sostanza bianca e dell’integrità della sostanza grigia, in aree implicate nel declino cognitivo”, hanno scritto i ricercatori sulla rivista Stroke. Bisogna ricordare che precedentemente il Framingham Heart Study aveva suggerito che una maggiore rigidità aortica può provocare un danno vascolare cerebrale subclinico a partire dalla giovane età adulta comportando dei deficit cognitivi.
 
Lo studio
“Questo studio ha dimostrato, per la prima volta, che l’aumento della rigidità arteriosa è dannoso per il cervello e che sia l’aumento della rigidità sia le lesioni cerebrali iniziano nei primi mesi della mezza età, prima di quanto comunemente si pensa per le malattie prevalenti come l’aterosclerosi, la malattia coronarica o l’ictus,“ ha detto Pauline Maillard, autore dello studio, del Center for Neuroscience presso l’Università di Davis in California. “Vi è ora una sostanziale evidenza che elevati della rigidità arteriosa costituiscono l’evidenza primitiva dell’ipertensione sistolica. La rigidità arteriosa, che è facilmente misurabile, può quindi servire a identificare gli individui esposti a maggior rischio di una progressione dell’ipertensione”, ha detto Maillard. “Inoltre, i nostri dati suggeriscono che le misure della rigidità arteriosa potrebbe effettivamente costituire una migliore misura della salute vascolare e dovrebbero essere rilevate, trattate e monitorate per tutta la durata della vita”. “I nostri risultati sottolineano la necessità della prevenzione primaria e secondaria della rigidità e del rimodellamento vascolare – già a partire dal quinto decennio di vita, per proteggere la salute del cervello – e possono indicare una nuova strada di trattamento per sostenere la salute cerebrale”.

I dati salienti
Maillard e colleghi hanno esaminato le scansioni della risonanza magnetica (MRI) di 1.903 partecipanti al Framingham Heart Study G3, con un’età compresa tra i 24 e i 76 (età media 46 anni). Si è così dimostrato che la velocità superiore di propagazione dell’onda carotideo-femorale era associata a una inferiore anisotropia frazionaria regionale, anche a livello del corpo calloso e della corona radiata (8.7 e 8.6 cc, rispettivamente, p <0,001), e con un’inferiore densità della materia grigia nella regione del talamo (0,9 cc, p <0.001).

Limiti e commenti
Gli autori hanno riconosciuto diversi limiti dello studio, incluso il design trasversale e la popolazione omogenea. Inoltre, non hanno incluso la pressione arteriosa sistolica nelle loro analisi di regressione e non hanno considerato gli effetti della dieta e dell’esercizio fisico. Thomas J. Wang, della Vanderbilt University di Nashville ha così commentato: “La cosa che colpisce di più in questo studio è l’età relativamente giovane dei partecipanti. – l’età media era di 40 anni – Questo sottolinea come gli eventi che portano al futuro declino cognitivo possano iniziare precocemente”. “La rigidità arteriosa è comunemente associata all’ipertensione, ma i soggetti giovani potrebbero avere un’elevata rigidità ancor prima che insorga un’ipertensione arteriosa. La rigidità arteriosa, anche in assenza d’ipertensione, può avere effetti negativi”, ha aggiunto Wang. “Questi dati ci spingono a domandarci quali interventi si possano fare nella prevenzione primaria del danno vascolare. – ha detto Giovanni Schifitto, dell’Università Rochester di New York – Lo studio mette in evidenza che i cambiamenti nella struttura del cervello si verificano precocemente, dunque il monitoraggio aggressivo e il trattamento dei fattori di rischio cardiovascolare, come l’ipertensione, sono importanti per prevenire o rallentare gli effetti negativi sulla struttura e le funzioni cerebrali”.
 
Fonte: Stroke 2016

Lorraine L. Janeczko

(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science) 

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