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Giovedì 28 APRILE 2016
Cancro del colon-retto. Dal 1975 ad oggi negli Usa crollo di incidenza e mortalità di oltre il 40%. E non è solo ‘effetto screening’

Un editoriale del New England Journal of Medicine riflette sugli ingredienti di questo successo. L’introduzione dello screening ha dato un gran contributo alla causa, ma sarebbe sbagliato attribuirgli tutti i ‘meriti’. Che vanno condivisi con i progressi nel campo delle terapie e della diagnostica; ma anche con una migliorata qualità della dieta e con l’impiego di farmaci, primi tra tutti aspirina e statine, che riducono il rischio di questo tumore

E’ uno dei big killer tra i tumori, eppure le ultime statistiche rivelano che il cancro del colon sta mostrando da qualche tempo una ‘flessione’ da un punto di vista epidemiologico. E il merito, secondo un editoriale pubblicato sul New England Journal of Medicine di questa settimana, potrebbe non essere tutto dello screening.
 
Lo screening per il cancro del colon – sottolineano gli autori – è di certo più efficace e prezioso di quelli del cancro della mammella e della prostata, poiché non si limita a svelare la presenza di un tumore in fase iniziale, ma può addirittura prevenirne la comparsa. Negli anni ’60 Gilbersten affermava che la polipectomia era in grado di trasformare il cancro del retto in una malattia prevenibile. Un’intuizione confermata a distanza di vent’anni da Vogelstein, che ha dettagliato passo per passo le alterazioni genetiche alla base della progressione da polipo a cancro.
 
Quindi, lo screening per il cancro del colon-retto è di certo una pratica da incoraggiare e da perseguire. Ma questo drastico calo di incidenza e di mortalità non può di certo essere attribuito tutto allo screening.
 
Una revisione della Cochrane ha esaminato nove studi randomizzati che forniscono prove empiriche dell’effetto screening sia sull’incidenza del cancro del colon-retto, che della mortalità ad esso correlata. Quattro di questi studi hanno evidenziato una riduzione del 14% nella mortalità da cancro del colon-retto e una riduzione del 5% nell’incidenza di questo tumore, grazie alla ricerca del sangue occulto nelle feci. Questo suggerirebbe che la diagnosi precoce è la principale responsabile di questa riduzione di mortalità.
Gli altri 5 studi hanno invece dimostrato un abbattimento del 28% della mortalità per cancro del colon-retto e una riduzione del 18% dell’incidenza di questo tumore grazie alla sigmoidoscopia; e questo suggerisce che è la prevenzione del tumore il meccanismo principale alla base di questi ottimi risultati.
Fin qui le premesse teoriche. Che si sono tradotte in realtà, almeno per quanto riguarda itrend di incidenza e mortalità nel cancro del colon-retto tra gli americani over-50. Dal 1975 la riduzione di incidenza registrata sfiora il 40% e la mortalità si è più che dimezzata.
 
“Questi risultati – affermano gli autori dell’editoriale del New England, H. Gilbert Welch (VA Outcomes Group, Department of Veterans Affairs Medical Center, USA) e Douglas J. Robertson (Dartmouth Institute for Health Policy and Clinical Practice, Geisel School of Medicine, USA) – vengono spesso attribuiti allo screening, ma l’entità di questi cambiamenti suggerisce che potrebbero essere coinvolti altri fattori. Nessun trial sullo screening di qualunque tipo di tumore ha infatti mai prodotto un abbattimento della mortalità del 50%”.
 
Senza contare il fatto che la pratica dello screening sta prendendo piede poco a poco; nel 2005 negli USA ad esempio interessava ancora solo il 50% della popolazione.
 
Ma allora a cosa è attribuibile il merito della riduzione di mortalità per questo tumore?
 
Gli editorialisti del New England forniscono tre possibili spiegazioni: il progresso dei trattamenti, i progressi della diagnostica, che consentono un’individuazione precoce della malattia sintomatica e infine una reale riduzione dell’incidenza di questo tumore.
 
Di certo i trattamenti disponibili oggi per il trattamento di questo tumore sono superiori a quelli di 30 anni fa. Dal miglioramento delle tecniche chirurgiche, alla standardizzazione dei trattamenti pre e post-operatori, all’aggiunta della chemioterapia adiuvante nei soggetti con linfonodi positivi. Ma ormai è prassi comune anche l’asportazione di metastasi a distanza e un quarto dei soggetti con malattia in fase avanzata supera i 5 anni di sopravvivenza.
 
Sul fronte della diagnosi, una gran parte del merito va alla diffusione degli esami endoscopici, che consentendo di fare diagnosi precoce hanno di certo molto contribuito all’abbattimento di incidenza della malattia metastatica.
 
Infine l’incidenza del tumore, ridottasi del 45% dal 1975. In questo caso i ‘meriti’ vanno alle modifiche che si sono prodotte in questi anni nella dieta, in particolare al ridotto consumo di carni affumicate e di salumi che ha comportato una minor esposizione alle nitrosamine. Un’altra possibile spiegazione sono le alterazioni del microbioma intestinale; il diffuso uso di antibiotici potrebbe aver portato ad alterazioni della flora batterica. E per finire anche l’impiego di aspirina e FANS, la terapia ormonale sostitutiva e le statine potrebbero aver contribuito a questa riduzione di incidenza del tumore del colon-retto.
                                                              
Lo screening dal canto suo – riflettono gli autori - ha di certo dato un importante contributo alla riduzione della malattia locale e regionale osservata negli ultimi anni, grazie al maggior ricorso alla polipectomia; il tasso di colonscopie tra gli over-50 negli USA è passato dal 20 al 39%, dal 2000 al 2005.
 
“Tuttavia – affermano gli autori dell’editoriale - è bene che i medici non iper-enfatizzino i benefici dello screening, a scapito magari di altre attività, quali il consigliare una dieta salutare e l’attività fisica.
Non bisogna infatti dimenticare – concludono gli autori – che incidenza e mortalità del cancro dello stomaco, senza l’intervento di alcuno screening, sono crollate del 90% dal 1930 ad oggi”.
 
Maria Rita Montebelli

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