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Giovedì 12 MAGGIO 2011
Giornata malato oncologico. De Lorenzo (Favo): “La nostra battaglia per la vita dopo il cancro"

Oggi si celebra la VI Giornata nazionale del malato oncologico e oggi arriva il "Terzo Rapporto sulla condizione assistenziale" di chi ha avuto un tumore curato dall’Osservatorio costituito dalle associazioni di pazienti, dalle società scientifiche e dalle istituzioni competenti. L'idea della giornata e del rapporto si deve a Francesco De Lorenzo, presidente della Favo (Federazione delle associazioni di volontariato in oncologia), che ci dice: "Per chi ha il cancro l'esigenza non è più solo guarire, ma ricominciare a vivere”.

Francesco De Lorenzo, presidente della Federazione delle associazioni di volontariato in oncologia (Favo), illustra in questa intervista i principali risultati raggiunti nell’ambito dell’assistenza ai malati di cancro e le sfide ancora da vincere.

Presidente De Lorenzo, il Rapporto analizza la condizione dei pazienti oncologici a 360°. L’elemento che lega ogni capitolo mi sembra sia l’esigenza di riconoscere che il tumore si sta trasformando in una patologia cronica.
È così. Infatti sono oltre 2,2 milioni gli italiani che convivono oggi con un’esperienza di tumore. Più di 1,3 milioni hanno superato il cancro da oltre 5 anni. L’obiettivo del Rapporto è evidenziare i nuovi bisogni del paziente rispetto alla crescente tendenza di cronicizzazione della malattia.
Abbiamo compiuto un difficile e approfondito lavoro per documentare quali sono i problemi che affliggono un paziente dopo la guarigione. Il superamento della malattia, infatti, non si traduce in un ritorno immediato alla vita pre-cancro. Persistono problematiche legate alla salute, ad esempio il bisogno di una riabilitazione nutrizionale, ma emergono anche difficoltà psicologiche e di reinserimento nell’attività lavorativa e nella vita sociale. Aspetti che oggi vengono trascurati dal sistema assistenziale ma a cui occorre dare risposte, perché chi sta accanto ai malati oncologici sa quanto ce ne sia bisogno.
Quello che abbiamo fatto con il Rapporto è stato evidenziare che ci sono tantissimi dati che devono essere conosciuti, valutati e considerati dalle istituzioni. Anche allo scopo di far fronte all’esplosione di costi, pubblici e privati, derivanti da un’inefficace risposta assistenziale.

A quanto ammontano questi costi?
Il cancro ha un impatto sul Pil dello 0,5%. Ogni malato di cancro costa circa 25-30 mila euro all’anno. Peraltro con una forte disomogeneità sul territorio nazionale, assolutamente da superare. Ci sono disparità di accesso ai trattamenti farmacologici, ai trattamenti radioterapici, alle terapie del dolore, agli hospice… Queste carenze non comportano solo problemi nel corso del trattamento terapeutico, ma anche una serie di costi privati legati alla mobilità sanitaria interregionale e che moltiplicano le disparità anche sul piano sociale. Secondo le nostre rilevazioni, ad esempio, il costo annuale che pesa direttamente sulle tasche delle donne con nuovi casi di tumore alla mammella è di circa 142 milioni l’anno. È facile capire l’impatto di questa cifra sulle condizioni economiche del paziente.
A proposito di disparità, dobbiamo evidenziare inoltre quelle legate alle possibilità di lavoro. I malati di cancro vogliono continuare a lavorare. Ma oggi, spesso, non gli viene permesso.

La Favo e l’Aimac hanno firmato un accordo con il ministero del Lavoro su questo tema.
Sì, perché le leggi ci sono ma non vengono applicate. La collaborazione con il ministero, così come con i sindacati, nasce proprio per sollecitare l’inserimento nei contratti di lavoro di quanto prevede la legge, come il passaggio reversibile dal tempo di lavoro pieno al tempo parziale e altri aspetti che riguardano il riconoscimento della disabilità.
Insieme all’Inps, poi, abbiamo cercato di superare le difficoltà per il riconoscimento della disabilità. Da una parte è una questione di tempi, perché la maggior parte delle Asl non è in grado di inviare i fascicoli all’Inps attraverso il sistema elettronico e questo comporta dei ritardi nelle procedure di riconoscimento della disabilità. Problema in parte già risolti attraverso una circolare dell’Inps e che non rappresenteranno ostacoli per il futuro Ma c’è anche una criticità relativa ai criteri riguardanti le tabelle con cui vengono riconosciute le condizioni di disabilità, che penalizzano il malato di cancro. La Commissione ministeriale per la revisione delle tabelle indicative delle percentuali dell’invalidità civile, istituita con decreto del ministero della Salute di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, dovrebbe comunque concludere entro il 23 maggio la nuova formulazione del titolo dedicato alle neoplasie, superando la genericità che ha sancito l’inefficacia della precedente elaborazione tabellare, per fornire alle Commissioni valutatrici uno strumento che consenta per ciascun paziente neoplastico una valutazione di invalidità corretta ed uniforme su tutto il territorio nazionale.

Il ruolo del volontariato si sta rivelando fondamentale anche a livello, diciamo, politico.
Noi riteniamo di essere il “sindacato” dei malati di cancro. Siamo la spia che interviene per denunciare le criticità, ma non sotto forma di protesta rabbiosa. Lo facciamo con la logica del rigore scientifico, della documentazione e della razionalizzazione del servizio, consapevoli della necessità dello Stato di garantire la sostenibilità economica.
Il grande passo avanti che il volontariato ha fatto in questi anni è stato proprio quello di sapere progettare e stabilire alleanze, portando il contributo dell’esperienza dei malati e valorizzandolo. Un lavoro che è stato accolto dalle istituzioni e che ha portato a importanti traguardi, come gli accordi raggiunti con il ministero del Lavoro. Chi si sarebbe mai battuto per il diritto al lavoro, se non l’avessimo fatto noi nella consapevolezza che per l’80% dei malati di cancro continuare a lavorare è fondamentale?
Un altro importante traguardo è stato l’accordo approvato lo scorso anno dalla Conferenza Stato-Regioni per far sì che i farmaci innovativi autorizzati dall’Aifa siano immediatamente disponibili per i cittadini indipendentemente dal loro inserimento nei prontuari regionali. IMa non è basta. Il nostro obiettivo è far sì che i farmaci destinati al trattamento di patologie gravi quali quelle oncologiche, a prescindere dal concetto di innovatività, siano tutti somministrabili ai pazienti, a partire dalla data della loro approvazione da parte dell’Aifa. I malati di cancro rivendicano con forza, ovunque sia la loro residenza, l’irrinunciabile diritto di accesso a tutti i nuovi trattamenti farmacologici.
La questione, però, non è più solo guarire, ma è assicurare ai pazienti una buona qualità di vita a vari livelli: sanitari, psicologici e sociali. Ma per vincere queste sfide è stato necessario raggiungere un’unità per cui oggi i malati parlano una sola voce e rappresentano degli interlocutori ascoltati dal Parlamento e dal Governo.

Le maggiori difficoltà si confermano legate al mancato riconoscimento della cronicizzazione, giusto?
Il momento di difficile, per un malato oncologico, è quello della dimissione. Una volta uscito dall’ospedale, il cittadino vive infatti difficoltà legate alla mancanza di interazione tra ospedale e territorio. Ed è lì che l’associazionismo cerca di intervenire per supplire alle carenze di un sistema che dovrebbe garantire la continuità assistenziale e il sostegno sul territorio. L’auspicio è che l’applicazione del nuovo Piano oncologico recentemente approvato dalla Stato-Regioni permetta di compiere importanti passi avanti in questo ambito.

Da alcuni dati pubblicati sul rapporto emerge che il tumore resta una delle paure più grandi per i cittadini. I modi di morire sono tanti, è quindi sbagliato interpretare questo dato con la paura di affrontare un’esperienza molto lunga e molto dolorosa in assenza di un’adeguata assistenza?
Non è affatto sbagliato. Ad influenzare quella risposta credo sia anche il persistere del binomio cancro-morte e lo stigma nei confronti del malato di cancro. Chi affronta il cancro, ancora oggi, lo fa in uno stato di grande isolamento, da parte del sistema assistenziale ma a volte anche da parte degli amici.
Il cancro fa molta paura. È per questo che insistiamo sulla necessità di fare un salto culturale. Dobbiamo diffondere tra la popolazione l’informazione che dal cancro si può guarire e con il cancro si può convivere.

Lucia Conti
 

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