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Giovedì 19 MAGGIO 2016
Scoperta una mutazione genetica che abbatte il rischio di infarto del 34%. Si apre la strada a una possibile nuova generazione di farmaci

A individuare la mutazione a livello del gene ASGR1, che riduce i livelli di colesterolo non-HDL,  sono stati i ricercatori islandesi della deCODE Genetics. Questa mutazione sembra inoltre proteggere dall’infiammazione a livello delle placche aterosclerotiche. E’ una scoperta, che potrebbe dare il via ad una nuova era di terapie per la prevenzione dell’infarto. La ricerca è pubblicata oggi sul New England Journal of Medicine

Il colesterolo LDL è da tempo noto come il colesterolo ‘cattivo’, nemico delle arterie e fattore di rischio principe per l’aterosclerosi. In realtà, da qualche tempo l’attenzione dei ricercatori si è allargata a tutto il repertorio del cosiddetto colesterolo non-HDL, comprendente, oltre alle LDL, anche le altre lipoproteine contenenti colesterolo e in grado quindi di causare aterosclerosi: VLDL, lipoproteine a densità intermedia (IDL), lipoproteina (a), chilomicromi e loro remnants.
 
Studi epidemiologici e genetici hanno da tempo evidenziato l’esistenza di un link di causalità tra i livelli di colesterolo non-HDL e il rischio di coronaropatia e infarto. Il valore del colesterolo non-HDL è facilmente calcolabile: per ottenerlo basta sottrarre il valore delle HDL da quello del colesterolo totale.
 
La scoperta di polimorfismi genici in grado di influenzare sia i livelli di colesterolo che il rischio di coronaropatia ha già consentito di individuare dei target terapeutici inediti e di mettere a punto nuovi farmaci anti-colesterolo. Ma la ricerca naturalmente va avanti e un gruppo di ricercatori della deCODE Genetics-Amgen di Reykjavik è andato ad ‘interrogare’ il genoma di un vastissimo numero di islandesi, alla ricerca di particolari sequenze geniche in grado di influenzare i livelli di colesterolo non-HDL e dunque il rischio di coronaropatie.
 
Nella prima fase dello studio il sequenziamento dei genomi di 2.636 islandesi ha consentito di individuare delle varianti che sono state quindi imputate nei genomi di circa 398 mila islandesi. È stata quindi ricercata la presenza di un’associazione tra queste varianti imputate e i livelli di colesterolo non-HDL in circa 120 mila campioni, quindi è stato ripetuto il test in due popolazioni di discendenza europea.
 
Da ultimo sono stati valutati gli effetti di una variante ‘perdita-di-funzione’ sul rischio di coronaropatia in una metanalisi condotta su 42.524 pazienti e circa 250 mila controlli di cinque popolazioni di discendenza europea.
 
Tutto questo lavoro ha portato a scoprire una rara delezione di 12 paia di basi (del12) non codificanti a livello dell’introne 4 del gene ASGR1, che codifica una subunità del recettore dell’asialoglicoproteina (ASGPR), una lectina  implicata nell’omeostasi delle glicoproteine circolanti.
Questa delezione determina a sua volta una mutazione ‘frameshift’ (per spostamento della fase di lettura) che ‘tronca’ la proteina e la rende prona alla degradazione.
 
I portatori eterozigoti di questa mutazione (1 persona su 120 di quelle partecipanti allo studio) presentavano livelli di colesterolo non-HDL inferiori a quelli della popolazione generale (-15,3 mg/dl) e un rischio  di coronaropatia nettamente inferiore (-34%), come emerge dalla metanalisi.
 
Allargando la ricerca ad un numero maggiore di islandesi i ricercatori di Reykjavik hanno individuato anche un’altra variante ‘loss-of-function’ dell’ASGR1 (p.W158X), presente in una persona su 1850, anch’essa associata a valori più bassi di colesterolo non-HDL .
 
E’ noto da tempo che l’ASGPR (di cui l’ASGR1 rappresenta la subunità maggiore) media l’endocitosi e la degradazione delle glicoproteine desialilate; tuttavia non si conoscono i ligandi endogeni, né la funzione fisiologica di questo recettore. Attraverso l’analisi di queste varianti ‘loss-of-function’ dell’ASGR1, gli autori dello studio hanno stabilito che nell’uomo ASGR1 influenza i livelli di colesterolo non-HDL. In particolare le due mutazioni individuate riducono i livelli di colesterolo non-HDL e aumentano i livelli i fosfatasi alcalina e di vitamina B12.
Sia la fosfatasi alcalina, che l’aptocorrina, un trasportatore della vitamina B12, sono glicoproteine asialilate che devono legarsi al recettore di ASGP per poter essere rimosse dal circolo; la presenza di questa mutazione compromette dunque la loro clearance dalla circolazione.  
 
Meno chiaro è come questa mutazione possa portare ad una riduzione dei valori di colesterolo non-HDL. Sia l’ASGPR che il recettore per le LDL si trovano nelle ‘fossette’ rivestite di clatrina, presenti sulla superficie degli epatociti, quelle che ‘ripiegandosi’ verso l’interno della cellula danno luogo ai fenomeni di endocitosi. Gli autori ipotizzano che l’ASGPR interagisca con la forma asialilata del recettore delle LDL, facilitando così il ‘riciclaggio’ del recettore da parte degli epatociti per endocitosi e influenzando in questo modo i livelli di LDL circolanti.
 
E c’è un altro punto da chiarire; la riduzione dei livelli di colesterolo non-HDL rilevata nei portatori delle mutazioni di ASGR1 non è commisurabile al grado di riduzione del rischio di coronaropatia. In altre parole, la riduzione del rischio di infarto osservata nei portatori di queste mutazioni è decisamente superiore a quella associata ad altre varianti genetiche (quali le mutazioni di PCSK9), sebbene il loro effetto sulla riduzione del colesterolo non-HDL sia minore.
 
Gli autori sospettano quindi che la protezione contro l’infarto conferita da queste mutazioni non sia imputabile solo alla riduzione delle concentrazioni di colesterolo non-HDL, né è ipotizzabile che possa dipendere dagli aumentati livelli di fosfatasi alcalina e vitamina B12.
 
Un’intrigante ipotesi fatta dai ricercatori islandesi è che la mutazione del12 protegga dall’aterosclerosi attraverso meccanismi indipendenti da quelli che governano il colesterolo non-HDL. E uno di questi potrebbe essere una riduzione dell’infiammazione; la sialilazione delle chemochine o dei loro recettori potrebbe infatti proteggere dal reclutamento di cellule infiammatorie all’interno delle placche aterosclerotiche.
 
Gli autori concludono dunque che le rare mutazioni ‘loss-of-function’  del12 e p.W158X del gene ASGR1, si associano ad una riduzione dei livelli di colesterolo non-HDL e del rischio di coronaropatie. Queste varianti di fatto rendono non funzionante una copia del gene ASGR1 e svelano l’esistenza di una relazione tra il pathway della sialilazione e le patologie aterosclerotiche.
 
Maria Rita Montebelli

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