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Mercoledì 08 GIUGNO 2016
Censis. 11 milioni di italiani hanno rinunciato alle cure per difficoltà economiche. Aumenta la spesa privata: liste d’attesa troppo lunghe e l’intramoenia è sempre più una scorciatoia

Per il 45,1% degli italiani la qualità del servizio sanitario della propria regione è peggiorata negli ultimi due anni. Il ricorso al privato è dovuto anche al forte aumento dei ticket: 45,4% (cioè 5,6 punti percentuali in più rispetto al 2013) ha pagato tariffe nel privato uguali o di poco superiori al ticket che avrebbe pagato nel pubblico. E sono 7,1 mln coloro che hanno scelto l'intramoenia. Di questi il 66,4% per saltare le liste d'attesa. LA RICERCA

In Italia cresce la spesa sanitaria privata che è arrivata a 34,5 miliardi di euro, con un incremento in termini reali del 3,2% negli ultimi due anni (2013-2015): il doppio dell'aumento della spesa complessiva per i consumi delle famiglie nello stesso periodo, pari a +1,7%. Una dinamica dovuta in parte all’allungamento progressivo delle liste d’attesa, che rappresenta il moltiplicatore della forza d'attrazione della sanità a pagamento. Un altro motivo non meno importante è il forte aumento dei ticket pagati dagli italiani, visto che il 45,4% (cioè 5,6 punti percentuali in più rispetto al 2013) ha pagato tariffe nel privato uguali o di poco superiori al ticket che avrebbe pagato nel pubblico. Sono gli elementi principali che emergono dalla ricerca del Censis-Rbm Assicurazione Salute ‘Dalla fotografia dell'evoluzione della sanità italiana alle soluzioni in campo’.

Sono 7,1 milioni gli italiani che nell'ultimo anno hanno fatto ricorso all'intramoenia (il 66,4% di loro proprio per evitare le lunghe liste d'attesa). Il 30,2% si è rivolto alla sanità a pagamento anche perché i laboratori, gli ambulatori e gli studi medici sono aperti nel pomeriggio, la sera e nei weekend.
 
E  sono diventati 11 milioni nel 2016 (2 milioni in più rispetto al 2012) gli italiani che hanno dovuto rinviare o rinunciare a prestazioni sanitarie nell'ultimo anno a causa di difficoltà economiche, non riuscendo a pagare di tasca propria le prestazioni. Un fenopmeno che riguarda, in particolare, 2,4 milioni di anziani e 2,2 milioni di millennials.
 
Per il 45,1% degli italiani la qualità del servizio sanitario della propria regione è peggiorata negli ultimi due anni (lo pensa il 39,4% dei residenti nel Nord-Ovest, il 35,4% nel Nord-Est, il 49% al Centro, il 52,8% al Sud), per il 41,4% è rimasta inalterata e solo per il 13,5% è migliorata. Il 52% degli italiani considera inadeguato il servizio sanitario della propria regione (la percentuale sale al 68,9% nel Mezzogiorno e al 56,1% al Centro, mentre scende al 41,3% al Nord-Ovest e al 32,8% al Nord-Est).

Il 57,1% degli italiani pensa che chi può permettersi una polizza sanitaria o lavora in un settore in cui è disponibile la sanità integrativa dovrebbe stipularla e aderire. Sono più di 26 milioni gli italiani che si dicono propensi a sottoscrivere una polizza sanitaria o ad aderire a un Fondo sanitario integrativo. Se la sanità integrativa attraesse effettivamente tutte queste persone, considerando una spesa pro-capite pari all'attuale spesa privata media nel complesso, si avrebbero 15 miliardi di euro annui per la salute. Tramite la sanità integrativa, evidenzia la ricerca, si potrebbero acquistare molte più prestazioni per i cittadini di quanto riescano a fare oggi singolarmente sui mercati privati. Tra gli aderenti alla sanità integrativa, il 30,7% ha aderito perché spendeva troppo di tasca propria e ora risparmia, e il 25% perché la copertura è estendibile a tutta la famiglia.

Sono 5,4 milioni gli italiani che nell'ultimo anno hanno ricevuto prescrizioni di farmaci, visite o accertamenti diagnostici che si sono rivelati inutili. Tuttavia, il 51,3% degli italiani si dichiara contrario a sanzionare i medici che fanno prescrizioni inutili. Riguardo alla legge che fissa le condizioni che rendono una prestazione sanitaria necessaria e da pagare solo con il ticket, e non per intero, il 64% degli italiani è contrario. Di questi, il 50,7% perché ritiene che solo il medico può decidere se la prestazione è effettivamente necessaria e il 13,3% perché giudica che le leggi sono motivate solo dalla logica dei tagli.

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