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Venerdì 14 MAGGIO 2010
La musica migliora la memoria dei malati di Alzheimer

Lo sostiene uno studio della Boston University School of Medicine pubblicato su Neuropsychologia.

Se volete far memorizzare ai pazienti con Alzheimer delle informazioni, provate a cantarle. Le memorizzeranno meglio.
Lo dimostrano i ricercatori della Boston University School of Medicine, che hanno sottoposto a pazienti malati di Alzheimer e ad anziani sani una serie di 40 canzoni. Venti venivano fatte ascoltare mentre sullo schermo di un pc ne scorreva il testo, mentre di altre 20 veniva fatto solo leggere il testo. “I pazienti con Alzheimer – ha spiegato Brandon Ally, direttore del Neuropsychology Research del Center for Translational Cognitive Neuroscience dell'Università di Boston - ricordavano meglio i testi delle canzoni quanto potevano ascoltarli anche sotto forma di musica”. E a differenza di quanto ipotizzato dai ricercato, la stessa cosa non accadeva tra gli anziani sani, che non mostravano alcuna differenza significativa tra i due tipi di lettura oppure venivano distratti dalla musica, che peggiorava la memorizzazione dei testi.

Considerato che le 40 canzoni non erano conosciute dai soggetti in esame, i ricercatori hanno dedotto che vi debba essere una fondamentale differenza nei processi di codifica e recupero delle informazioni stimolate attraverso la musica rispetto a quelle espresse semplicemente in parole. La spiegazione, secondo Ally, potrebbe essere nel fatto che “i processi musicali fanno parte di una complessa rete neurologica che, nelle persone con Alzheimer, viene attivata in tutte le aree del cervello allo stesso modo di come accade nelle aree del cervello che tipicamente agiscono sulla memoria". Il ricercatore ipotizza anche che le parole, associate alla musica, abbiamo potuto creare nei pazienti uno stato di eccitamento maggiore, rafforzando l'associazione degli stimoli e permettendo una maggiore memorizzazione e codifica delle informazioni. "Ma in questo caso – ha osservato Ally - sarebbe più difficile spiegare perché tra le persone sane non si attivi lo stesso meccanismo”.

L.C.

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