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Martedì 21 GIUGNO 2016
Salviamo Chirone dalla medicina amministrata

Non sottovalutiamo la “questione medica”. La posta in gioco è molto alta. Oggi si decide in un senso o nell’altro il futuro della professione. Come salviamo la medicina "centauro" dalle lumache di slow medicine e choosing wisley? Si scriva un documento operativo a conclusione della conferenza di Rimini, si dica chiaramente "no" alla medicina amministrata e si stabilisca un percorso vertenziale

Chissà perché si è deciso che la conferenza di Rimini fosse inconseguente? I medici non sono “idealizzabili” mi ammonisce saggiamente Panti, i medici, dicono in tanti, purtroppo sono medici e poverini non si rendono conto di come il mondo sia difficile. Quindi vanno tutelati. Ogni tanto bisogna loro offrire delle conferenze sulla professione esattamente come ai bambini si raccontano delle storie per farli dormire. Le conferenze sulla professione quindi sarebbero dei potenti riti collettivi per neutralizzare l’ansia di questa tormentata professione. Ansiolitici nulla di più.

Quindi i medici protestano contro il governo perché non vogliono essere amministrati e a loro volta sono amministrati da quelli che li rappresentano e per giunta (questo è l’atroce sospetto) non indifferenti al sex appeal del governo. Da quando i suoi maitre a pensér sono andati in parlamento a votare le politiche contro la sanità pubblica, è indubbio che l’autonomia della federazione risulti agli occhi dell’analista piuttosto ridimensionata.

L’inconseguenza quindi sarebbe un modo per nascondere due cose:
• il collateralismo della rappresentanza con le politiche del governo
• la sua subalternità a un pensiero dell’indecidibilità

Quindi calcolata e tutt’altro che casuale.

Qualche contraddizione di troppo
Quando all’inconseguenza calcolata si aggiungono delle strane contraddizioni I sospetti crescono.

Se stiamo rischiando di aggiogare i medici come i buoi all’aratro ma allora perché mai la Fnomceo:
• ha cooptato nel suo “centro studi e documentazione” slow medicine una “associazione culturale” quindi non una società scientifica che ricava la sua linea di condotta non da una qualche scuola di clinica avanzata ma da “slow food” prima “arci gola” cioè da un movimento nato per “promuovere il diritto al piacere, difendere la centralità del cibo e il suo giusto valore” e che ha sempre visto i medici come dei lavativi da rieducare e mettere in riga?
• A Rimini ha voluto dare ampio spazio a choosing wisely che come è noto scopiazzando gli americani si propone di guidare i medici con i precetti ostativi, una sorta di medicina amministrata mischiata con un po di consenso informato?
• Ha sostenuto e condiviso un convegno a Matera dove ha dichiarato pubblicamente di sottoscrivere le strategie di slow medicine e di choosing wisely?
• l’ordine di Torino insieme a slow medicine ha fatto uno studio per “confessare” il reato di medicina difensiva e impropria quando la Fnomceo insieme a tanti medici su questo giornale, non fa altro che dire che non esiste nessun reato e che i medici sono innocenti?
• Anziché contestare radicalmente il decreto sull’appropriatezza del governo, come sollecitato da numerosi ordini provinciali e da diversi sindacati, ne ha negoziato l’applicazione accettandone la logica e avendo in cambio solo la sospensione non l’abolizione delle sanzioni?

Trovo alquanto singolare che chi si propone come la Fnomceo a Rimini quale garante per accreditare le società scientifiche italiane accrediti al suo interno coloro che riducono la clinica a slogan che emulando le pratiche alimentari ci propongono ridicole contrapposizioni cliniche come slow/fast e altre amenità di questo genere.
Non dalle lumache ma dai centauri nasce la medicina a dirci di una complessità che nondimeno la Fnomceo sembra ignorare.
 
Ho espresso pubblicamente le mie obiezioni sulla teoresi di slow medicine e di choosing wisely ho chiesto loro dei chiarimenti pro subiecta materia ed in cambio ho avuto solo insulti compreso quello vergognoso, imperdonabile indegno e rivoltante di essere al soldo di chissà quale losco interesse. E già questo atteggiamento puzza in modo insopportabile di supponenza e di integralismo ma soprattutto di malafede.
Il problema non sono le lumache ma è il rischio dell’orbo che smarrito e spaesato crede di trovare la strada mettendosi con un altro orbo. Se serve davvero cambiare e non si sa dove sbattere la testa e non si vuole disturbare nessuno, questo sembra dirci Rimini, si può far finta di cambiare.

Tradimento
All’analista è venuto il sospetto che per far finta di cambiare o meglio per cambiare il meno possibile perché cambiare è fatica, gli orbi abbiano deciso la linea e che la linea sia quella di:
• negare la “questione medica” per evitare una conflittualità contro le politiche del governo e quindi l’onere di un progetto di cambiamento
• assecondare la politica del governo amministrando in qualche modo i comportamenti professionali
• limitare ragionevolmente l’autonomia con forme di amministrazione moderate
Se fosse così sarebbe tradimento. Spero che ci si renda conto che non stiamo parlando di bruscolini. Se la linea degli orbi fosse sbagliata come io ritengo, si può essere certi che finiremo nel fosso.

Nel momento in cui si media con la logica della medicina amministrata come ci propone la Fnomceo, slow medicine e choosing wisely si accetta che:
• il medico sia il principale responsabile dei costi dei consumi
• l’autonomia professionale sia un valore negoziabile
• che la clinica sia subordinata all’economia.

Questo è grave. Se penso al definanziamento progressivo (ricordatevi che nel 2019 la spesa sanitaria dovrà ridursi di un punto e mezzo rispetto al pil), mi viene in mente quella terribile malattia dove si comincia ad amputare un dito, poi il piede e via via tutto il resto fino a dove è possibile.

Lineaguidari e controriformatori
Quella di Gimbe per me è stata una operazione spregiudicata ma rivelatrice. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensa il mio amico Alberto Donzelli di “allineare sanità e salute”. A quanto pare dietro a certi “lineaguidari” batte un cuore controriformatore. La medicina amministrata è rispetto alla clinica una controriforma. Gimbe, uno dei massimi teorici della medicina amministrata, ci propone un piano di salvataggio della sanità pubblica che altro non è se non una proposta di universalismo selettivo (meno Lea più mutue) e usa l’epidemiologia per giustificare la medicina amministrata. La novità quindi è l’alleanza dei lineaguidari con le politiche finanziarie del governo. Le evidenze statistiche non sono usate per curare meglio ma per spendere meno. Quindi è una alleanza anti clinica, la stessa sulla base della quale anche se in forme più paludate, si muovono tanto slow medicine che choosing wisely e a quanto pare anche la Fnomceo. Si ha un bel dire della centralità del malato ma davanti all’imperativo categorico del governo di spendere meno non c’è centralità, non c’è relazione, non c’è autonomia che tenga. Less is more (meno vale di più) dice slow medicine e l’orbo gli va dietro.

E’ chiaro che la controparte di questa alleanza è il medico e la sua autonomia quindi la clinica. Tutte le chiacchiere sulla relazione con il malato, sulla scelta in capo al medico, sono solo fumo negli occhi. Quello che conta come dice la Vernero, è ridurre il numero delle risonanze magnetiche perché in Italia rispetto agli altri paesi europei è troppo alto.

Rispetto allo scenario del definanziamento progressivo trovo ridicolo e perfino provocatorio che slow medicine ci venga a dire che “fare di più non significa fare meglio” come se i medici oggi avessero la libertà di fare quello che vogliono. Essa forse non si è accorta che da Monti in poi il problema è diventato esattamente il contrario “fare di meno significa fare peggio”. Ma secondo voi perché mai milioni di italiani vanno nel privato e altri ricorrono all’intra moenia, perché mai l’attesa di vita è calata, quindi è aumentata la mortalità evitabile…perché si fa di più o si fa di meno?

Negli ospedali si contingentano i budget per il consumo di farmaci per cui a metà anno finiscono e i medici loro malgrado si ritrovano a “fare meno di ciò che servirebbe fare”. Persino nelle oncologie, si arriva a bloccare il cambio delle terapie, a impedire l’uso di quelle più appropriate, a precludere quelle innovative e in altre specialità, penso alla reumatologia, si arriva a spacciare la riduzione dei dosaggi per ottimizzazione terapeutica. E voi ci venite a dire che “fare di più non significa fare meglio”? E la Fnomceo vi mette pure nel centro studi? Ma voi che vi riempite la bocca con la relazione, la centralità del malato, la scelta, lo sapete o no che se i medici in ospedale si rifiutano di rispettare i budget rischiano di perdere la responsabilità della loro unità operativa? Ma di quale choice/choosing parlate?

E’ ora di smetterla con le mistificazioni. Non si può tacere sulle inappropriatezze imposte ai medici e dare addosso ai medici e in particolare ai medici di medicina generale perché prescrivono qualche risonanza in più. La Fnomceo non rappresenta lumache ma centauri.

Sit erranti medicina confessio
L’ordine di Torino e slow medicine hanno fatto uno studio sugli esami inutili da cui risulta che il 44% dei “medici italiani riceve richieste dai loro malati e che se i malati insistono il 36% dei medici prescrive loro qualcosa" (QS 27 maggio 2016). Non discuto i dati. Se penso alla trasformazione epocale del paziente/esigente mi sembrano tutt’altro che sorprendenti. Quando anni fa a Washington presentai il mio libro “l’uomo inguaribile” spiegai il significato di “esigente”, gli americani lo tradussero con l’espressione “demanding”, colui che chiede. Discuto invece sull’opportunità politica di fare oggi dopo il decreto sull’appropriatezza una ricerca del genere. Si ripete la storia tragica della medicina difensiva fenomeno dimostrato e quantificato prima da una ricerca dell’ordine di Roma e a seguire da una ricerca su scala nazionale della Fnomceo, sulla base delle quali è partito l’attacco contro l’autonomia dei medici.
Per quello che so (l’ho sentito parlare una sola volta) non credo che il presidente Giustetto sia un irresponsabile al contrario credo che sia una persona per bene e che il suo studio abbia un razionale. Ma l’unico razionale che intravedo e che confermerebbe per altro il ripiegamento strategico della Fnomceo (con la quale suppongo egli abbia dei collegamenti), è quello della medicina amministrata.

Mi chiedo, di questi tempi, ma davvero una persona seria come Giustetto pensa di risolvere la “questione medica” con choosing wisely? Davvero egli crede che per rilanciare la professione sia sufficiente condizionare dei comportamenti con dei precetti ostativi a invarianza di paradigma professionale? Davvero crede che choosing wisely come dice la Vernero sia rivoluzionaria?

Ho l’impressione presidente che vi siano degli equivoci da chiarire e che questa storia degli “esami inutili” debba essere, soprattutto nell’interesse del malato, sgonfiata e ricondotta ai suoi effettivi significati e possibilità. Altrimenti l’ordine di Torino potrebbe legittimare e giustificare, ovviamente in tutta buona fede, proprio come è accaduto con la medicina difensiva, un altro giro di vite a danno della autonomia della sua professione. Quindi presidente prudenza. Considerare la confessione pubblica dei peccati una medicina per la medicina (sit erranti medicina confessio) particolarmente oggi non è privo di rischi. Ma poi cosa si deve confessare? In cosa consiste l’inutilità?

Forse è arrivato il tempo di farla per davvero una riflessione sull’inutilità in medicina ma non nella logica asfittica dei lineaguidari che spolpano i fenomeni dalla complessità sociale ma legandola alla questione della fiducia, al rapporto medico malato, alle difficoltà del setting terapeutico, alla complessità della diagnosi. Non basta dire che un esame è inutile perché risulta negativo. Un esame negativo può essere positivo in un altro senso.
Lei crede presidente che i medici del suo ordine seguendo i precetti ostativi di choosing wisely quindi eliminando gli eventuali esami inutili, miglioreranno i loro rapporti fiduciari con i malati riducendo in questo modo il contenzioso legale?

Personalmente non credo anzi io pavento esattamente il contrario. I medici ma soprattutto i teorici di choosing wilesy per non parlare di slow medicine che parla della relazione come se il 900 non fosse esistito, sono ancora molto lontani da quell’indirizzo che personalmente teorizzo da anni di una clinica relazionale, per cui temo che relazioni sbagliate e gestite male cioè falsamente consensuali possono creare ancor più danni. E il costo di questi danni è di gran lunga più alto di quelli degli esami inutili. Vede presidente io penso terra terra, e ricordandole i rapporti annuali della Corte dei conti sulla “mala gestio” della sanità, che se anche un medico (o il 36% di medici) prescrivesse una risonanza magnetica di troppo pur di governare una complessità diagnostica e relazionale non sia ne un crimine ne la fine del mondo. Intendiamoci non mi prenda per uno sventato, come lei anche io voglio combattere gli esami inutili quando sono inutili, e spero di non doverle dimostrare la mia buona fede. Ma penso anche che ci siano altri sistemi che ci permettono di “sussurrare” al medico dei consigli senza per questo amministralo. Il progetto “Ermete” per esempio del Veneto.

Ma vorrei invitarla a riflettere su un concetto che nessuno di voi per correggere fraintese concezioni di appropriatezza ha mai pensato di proporre che è quello di ridondanza. Che cosa è? E’ quando per proteggere il significato di un discorso si usano delle parole e delle frasi in più. La ridondanza è un concetto di affidabilità, nel senso che ad esempio, in un sistema informatico a volte sono presenti il doppio degli elementi necessari ma proprio per garantire la funzione. In clinica ridondanza significa che spesso il medico per fare una diagnosi procede per tentativi ed errori, è costretto a correggere delle scelte, ad aggiornare le sue analisi difronte a dati inattesi. In clinica un grado relativo di ridondanza prescrittiva aumenta la probabilità di fare una diagnosi verosimile anche in presenza di quadri complessi o poco chiari o poco intelligibili. In questi casi non è mai superfluo e quindi non è mai inappropriato ciò che concorre a fare una diagnosi corretta. E le semplici richieste dei malati non sono “inutili” per definizione. Anche perché non è inusuale che i malati ci indovinino. Il problema che il suo studio solleva non è quello dell’inutilità ma quello del rapporto doxa/episteme, cioè opinione personale/verità razionale ma che i suoi amici di choosing wisely, che pur scimmiottano la relazione, non sanno neanche che cosa sia.

Ma allora perché invece di fare uno studio sull’inutilità non ha pensato di fare uno studio sulla ridondanza e sulla complessità dei rapporti tra doxa e episteme? Quindi sui problemi relazionali del medico?

Lei mi obietterà: ma il mio studio prova in modo evidente che i medici prescrivono cose inutili e questo è immorale e irresponsabile. E io le rispondo è vero, ha ragione, ma è immorale e irresponsabile anche:
• considerare la relazione medico malato e quindi i rapporti tra doxa/episteme con la logica della falsa corrispondenza lineare tra evidenze e realtà
• che il malato sia visto come lo vede lei e slow medicine, cioè come una trivial machine.

I malati non sono trivial machine… è per questo che non lo possono essere neanche i medici. Per cui ritengo presidente che una buona cura che poi, come avrà capito, è quella che a me interessa sopra ogni cosa, debba prevedere un grado ragionevole di ridondanza prescrittiva senza che essa sia scambiata per inappropriatezza e per inutilità. Poi sui medici imbecilli che non mancano mai facciamo un altro discorso e insieme gli facciamo il “mazzo”. Ma tutti gli altri sarebbe sbagliato scambiarli per imbecilli.

A questo punto presidente provi ad accettare in via teorica la mia idea di ridondanza le chiedo: quel 36 % di medici con un grado ragionevole di ridondanza di quanto si potrebbe ridurre? Non possiamo saperlo con esattezza perché il suo studio come dicevo parte da un presupposto banale e semplificato di “inutilità”. Le ripeto non basta che un malato chieda di fare un esame per giudicare questo esame automaticamente inutile.
Ma facciamo finta di ragionare nell’ordine del 10 %. Ebbene presidente lei per un fenomeno che definisce “esami inutili” certamente deprecabile ma anche marginale, se la sentirebbe di rischiare l’autonomia clinica della sua professione? Io se fosse in lei ci penserei su.
Secondo la corte dei Conti la posta non dovrebbe valere la candela perché i problemi veri della sanità sono altri. In nessun caso caro presidente permetterei alle lumache di dire ai centauri cosa devono fare e come devono gestire la relazione con il malato. Meno che mai farei confessioni pubbliche poco ponderate.

Conclusioni
Ho apprezzato molto tanto la risposta che il “vertice della Fnomceo” ha dato ai miei articoli (QS 14 giugno 2016) quanto la presa di posizione da parte degli ordini di Bologna, Milano e Savona (QS 14 giugno 2016) e alcuni inaspettati interventi dalla trincea (Ornella Mancin QS 15 giugno 2016) ma in particolare la risposta di Panti che ringrazio per la sua amicizia e per la disponibilità verso una idea che amo molto. Quella di autore. Meno il silenzio dei più e soprattutto di coloro che a Rimini si sono messi il “pennacchietto” accontentandosi del “pennacchietto” e ancor meno quello dei giovani medici le cui difficoltà pur comprendo.
Vi prego non sottovalutiamo la “questione medica”. La posta in gioco è molto alta. Oggi si decide in un senso o nell’altro il futuro della professione.

Come fare? Si chiede Panti. Partirei da uno slogan “salviamo Chirone” cioè il centauro, e avanzerei una proposta:
• si riconosca l’esistenza della “questione medica”
• si scriva un documento operativo a conclusione della conferenza di Rimini
• si dica chiaramente no alla medicina amministrata e si definiscano le condizioni di fattibilità dell’autore
• si stabilisca a difesa del centauro un percorso vertenziale che lo ridefinisca

“Salviamo Chirone” per difendere con il dovere dei medici di essere medici il diritto dei malati ad essere curati bene.
 
Ivan Cavicchi 

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