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Mercoledì 06 LUGLIO 2016
Sanità integrativa. I tabù da sfatare



Gentile Direttore,
il tema del restyling della Sanità integrativa continua a essere al centro del dibattito, soprattutto quando si parla di come recuperare ulteriori risorse per la sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale. Spesso, però, purtroppo, la Sanità Integrativa è oggetto di un’analisi fuorviante che tende a confondere la mission delle Forme Sanitarie Integrative con le fonti di finanziamento del sistema sanitario. Sono convinto che tutti vogliamo perseguire lo stesso obiettivo: mantenere sostenibile il Sistema Sanitario Nazionale e garantire la qualità delle cure per tutti i cittadini, come ha recentemente dichiarato anche Nino Cartabellotta, presidente del Gimbe.
 
Anche sulla base di quanto da lui dichiarato, mi piacerebbe poter dare un ulteriore spunto al dibattito. Il settore assicurativo sta da tempo cercando di dare una risposta responsabile insieme alle Parti Sociali attraverso lo sviluppo di Secondo Pilastro Sanitario tuttavia ancora largamente imperfetto per via della scarsa manutenzione del legislatore e del Governo che ormai perdura da quasi 10 anni. É fondamentale sottolineare che il Secondo Pilastro Sanitario non è un benefit per pochi o uno strumento attraverso il quale il quale promuovere il ricorso alle cure private ma un sistema di finanziamento aggiuntivo con il quale “intermediare” la spesa sanitaria (ticket del Servizio Sanitario Nazionale, inclusi) rimasta a carico dei cittadini.

Bisogna iniziare dallo sfatare alcuni tabù che impediscono di trovare risposte efficaci ai bisogni di tutela degli italiani. Intendo dire in particolare che non esiste una competizione tra Fondi Sanitari “no profit” e Compagnie Assicurative “for profit” perché: 1) Le stesse Compagnie Assicurative gestiscono la propria clientela collegata a gruppi omogenei di assicurati (le cosiddette “collettive” ad adesione obbligatoria o individuale) attraverso Fondi Sanitari che esse stesse hanno direttamente costituito in applicazione dei requisiti previsti dalla legge applicando in particolare il divieto di selezione del rischio 2) I Fondi Sanitari istituiti dagli attori collettivi (in primis le Parti Sociali) utilizzano, nella maggioranza dei casi, comunque polizze assicurative per garantire ai propri assistiti il pagamento delle prestazioni oggetto dei propri Piani Sanitari perché in questo settore è fondamentale, prima di tutto, garantire la solvibilità del soggetto che garantisce ai cittadini il risarcimento delle spese sanitarie 3) Tutti i Fondi, a prescindere da chi li abbia istituiti, sono comunque enti no profit e non possono risolvere unilateralmente in nessun caso il rapporto di adesione nei confronti dei propri aderenti 4) I Fondi Sanitari non operano selezione del rischio non perché siano soggetti no profit ma perché da un punto di vista tecnico-assicurativo non ne hanno comunque necessità visto che si rivolgono a gruppi omogenei di assistiti/assicurati.

In quest’ottica bisognerebbe quindi andare oltre queste schermaglie ideologiche e riorientare la Sanità Integrativa a partire dai bisogni effettivi dei cittadini, collegando il campo di azione delle Forme Sanitarie Integrative all’intero perimetro della spesa sanitaria privata out of pocket. Un approccio di questo tipo, infatti, nascendo direttamente dalla richiesta assistenziale, riuscirebbe a delimitare in modo più efficace la reale necessità di “integrazione sanitaria” in capo alle famiglie, senza richiedere alcuna rivalutazione dei L.E.A. garantiti dal S.S.N.

Affinché il sistema rimanga sostenibile e la qualità delle cure garantite non si riduca pur a fronte dell’aumento dei costi della sanità riteniamo fondamentale valutare quindi una diversificazione delle fonti di finanziamento attraverso l’intermediazione della spesa sanitaria già oggi pagata di “tasca propria” dai cittadini da parte di un Secondo Pilastro Sanitario (Polizze Salute Individuali e Fondi Sanitari) diffuso. Costruendo, infatti, un sistema di Sanità Integrativa aperto a tutti i cittadini – oggi la sanità integrativa nei fatti, anche per motivi fiscali, è riservata solamente ai lavoratori dipendenti – si stima possibile garantire un risparmio a ciascun cittadino di almeno il 30% dei costi che già sostiene di tasca propria per curarsi privatamente garantendo al contempo al sistema sanitario 15 miliardi di risorse aggiuntive, ovvero quasi il 50% dell’attuale spesa sanitaria privata (pari a 34,5 miliardi di euro nel 2015). Proprio queste risorse potrebbero essere investite anzitutto nel garantire maggiore accessibilità alle cure tagliando le liste di attesa, nel promuovere programmi di prevenzione diffusa per la popolazione, nel sostenere i costi crescenti dei nuovi farmaci innovativi e, in generale, nel ridurre il costo delle cure private (569 Euro a testa nel 2015, con un incremento di oltre 80 Euro nell’ultimo biennio).

Del resto un’evoluzione multipillar del sistema sanitario è già realtà in molti Paesi Europei (si pensi alla Gran Bretagna, alla Francia e all’Olanda) ed a coivolto, in ambito OCSE, anche Paesi con sistemi di Welfare di tipo Beverige (come il nostro) ovvero tradizionalmente incentrati sul principio fondante dell’universalismo (quali la Gran Bretagna, il Canada e l’Australia).

Non si tratta pertanto di scardinare il nostro Servizio Sanitario Nazionale ma, al contrario, di assicurarne la sopravvivenza nel futuro attraverso una riorganizzazione che consenta di ri-articolarne le fonti di finanziamento utilizzando le risorse messe a disposizione dalle Parti Sociali e dal mercato assicurativo per fare fronte con successo alle sfide evolutive in campo scientifico, sanitario e demografico che ci attendono.
 
Marco Vecchietti
Amministratore delegato di RBM Assicurazione Salute

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