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Giovedì 26 MAGGIO 2011
Più di 2 anni di ritardo nella diagnosi della fibrillazione atriale

I pazienti ne sanno poco, i medici temono gli effetti avversi degli anticoagulanti e così quasi la metà dei malati non riceve la terapia ottimale. Eppure per diagnosticare questa aritmia, causa del 15-20% di tutti gli ictus tromboembolici, basta sentire il polso del paziente.

Sono 6 milioni le persone affette da fibrillazione atriale in Europa. Un esercito che si arricchisce di 2 milioni di malati l’anno e il cui numero è destinato a crescere a causa dell’invecchiamento della popolazione. Inoltre, la malattia costa quasi 40 miliardi di euro l’anno.Nonostante ciò, l’aritmia più diffusa e responsabile del 15-20 per cento di tutti gli ictus tromboembolici, viene ancora presa sotto gamba ed è sottodiagnosticata e sottotrattata. Secondo recenti studi internazionali il ritardo diagnostico medio è di circa 2,6 anni, mentre soltanto il 54-61% dei pazienti a rischio assume una terapia anticoagulante adeguata.
Sono questi i dati allarmanti lanciati Forum del Mediterraneo in Sanità chiusosi oggi a Palermo. L’incontro è stato l’occasione per lanciare un nuovo documento realizzato con il contributo non condizionato di Bayer da un Gruppo di Lavoro internazionale costituito da medici specialisti, membri di società scientifiche e rappresentanti di associazioni pazienti. Il documento, presentato recentemente al Parlamento Europeo per sensibilizzare la classe politica nei confronti della prevenzione dell’ictus attraverso la gestione delle più severe cause di rischio come la fibrillazione atriale, è al suo debutto in Italia.Paradossalmente la diagnosi di fibrillazione non è difficile da diagnosticare: “il gesto più semplice che un medico dovrebbe fare, ma che raramente viene effettuato, è la rilevazione del polso del paziente, per verificare la presenza di alterazioni del ritmo cardiaco”, ha spiegato Maddalena Lettino, del Dipartimento di Cardiologia del Policlinico San Matteo di Pavia, componente del Gruppo di Lavoro Internazionale autore del documento. Quanto alla gestione della patologia, da un lato mira a controllare il ritmo e la frequenza, con farmaci specifici, dall’altro tende a prevenire la formazione di coaguli attraverso una terapia antitrombotica (antagonisti della vitamina K o acido acetilsalicilico) che, se avviata per tempo e monitorata correttamente, ha un’efficacia elevata, con una riduzione del rischio di ictus di circa i due terzi. Tuttavia, la difficoltà di gestione degli antagonisti della vitamina K, connesse alle le molteplici interazioni con alimenti o con altri farmaci e all’alta variabilità di risposta inter-individuale che richiedono frequenti controlli ematologici per un eventuale aggiustamento del dosaggio, fanno sì che questi farmaci non vengano usati con regolarità o vengano troppo spesso abbandonati dai pazienti. Non solo: “malgrado l’esistenza di Linee Guida internazionali e nazionali per la prevenzione dell’ictus in presenza di fibrillazione atriale, la loro applicazione varia in modo sensibile nella pratica clinica”, ha precisato la cardiologa. “Secondo recenti indagini svolte in diversi Paesi europei la percentuale dei pazienti a rischio di ictus a cui viene prescritta una terapia anticoagulante adeguata è di circa il 54-61%. Questa scarsa applicazione delle Linee Guida da parte dei medici è, in molti casi, determinata dai timori suscitati dal rischio emorragico, in particolare negli anziani, più esposti a cadute accidentali e al sanguinamento intracranico”.
Per questo, uno dei punti fondamentali individuati dal gruppo di lavoro è la necessità di incrementare la ricerca sulle cause, la prevenzione e la gestione della malattia. Su quest’ultimo aspetto di primaria importanza di potranno rilevare nuove terapie efficaci con un buon profilo di sicurezza, che non richiedano il monitoraggio di routine. Una direzione verso cui la ricerca farmacologica si sta muovendo a passo spedito tanto che entro il prossimo anno sono attesi nuovi rimedi terapeutici più maneggevoli e sicuri in grado di venire incontro alle esigenze di medici e pazienti.

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