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Mercoledì 15 GIUGNO 2011
Aids: il vaccino dell’Iss alla prova più difficile

Al via una nuova sperimentazione di Fase 1 della proteina Tat in volontari sani. Lo scopo, questa volta, non è curare l’infezione. Ma prevenirla. 

Rendere l’Aids uguale a tutte le altre malattie infettive prevenibili con un vaccino. Va in questa direzione l’avvio della prima fase del programma di sperimentazione clinica di un nuovo vaccino preventivo basato sulla proteina Tat e la proteina Env.La prima è il frutto della ricerca dell’Istituto superiore di sanità che da tempo si sta confermando una delle più promettenti frontiere terapeutiche contro l’Hiv. La seconda è fornita da Novartis nell’ambito di una collaborazione nel progetto europeo AVIP. Le due proteine sono state già sperimentate singolarmente in studi clinici effettuati nell’uomo ed entrambe si sono dimostrate sicure e ben tollerate. Ora il nuovo trial vuole valutare la sicurezza e l’immunogenicità dell’associazione. Saranno tre i centri clinici italiani di eccellenza coinvolti (la Divisione di Malattie Infettive del Policlinico di Modena; la Divisione di Malattie Infettive dell’Azienda Ospedaliera San Gerardo di Monza; la Dermatologia Infettiva dell’IFO - San Gallicano di Roma) e 50 i soggetti sani a cui sarà inoculato il candidato vaccino. Le proteine Tat e Env verranno somministrate secondo un regime di “prime-boost”, che consiste in 3 inoculi per via intradermica seguiti da 2 ulteriori somministrazioni di “richiamo” per via intramuscolare.
“Il percorso di studi che continuiamo a portare avanti e i successi finora ottenuti con la sperimentazione della proteina Tat ci hanno spinti a esplorare ulteriormente le potenzialità di questa molecola attraverso la messa a punto di un vaccino di seconda generazione”, ha commentato il presidente dell’Iss Enrico Garaci. “Lo faremo attraverso l’associazione a un’altra proteina per potenziarne gli effetti preventivi”. Soddisfazione è stata espressa da Barbara Ensoli, la “mamma” del vaccino Tat: “sono molto felice di iniziare questo nuovo percorso all’interno dei sentieri tracciati finora”, ha affermato. “È una conferma della fecondità degli studi che portiamo avanti da circa venti anni e che continuano ad aprirci orizzonti nuovi. Significa che la Tat, dopo aver mostrato le sue capacità terapeutiche è in grado di declinare altre potenzialità. Sia utilizzata individualmente, come continuiamo a fare nella sperimentazione terapeutica ormai approdata in Sudafrica, sia associata ad altre molecole. Come accade ogni volta che un’intuizione scientifica va nella giusta direzione”, ha concluso.

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