quotidianosanità.it

stampa | chiudi


Lunedì 05 DICEMBRE 2016
Sepsi. Uccide 5,3 mln di persone. In Inghilterra e Germania scatta l’allerta rossa. Mentre in Italia manca un piano nazionale

Al Forum Risk di Firenze della scorsa settimana focus dedicato alla sepsi con la presenza di molti esperti internazionali. “Il problema della sepsi non è solo delle terapie intensive ma di tutti i settori sanitari.  Su tre pazienti ricoverati per sepsi uno muore. Chi esce dall’ospedale ha alte  possibilità  di morire poco dopo o di essere nuovamente ricoverato per infezione entro il primo anno e sviluppare nuovamente una sepsi”.

All’11°Forum del Risk Management di Firenze Ron Daniels, il coordinatore del Sepsis Trust Inglese lancia un grido d’allarme. Il problema della sepsi non è solo delle terapie intensive ma di tutti i settori sanitari.  Su tre pazienti ricoverati per sepsi uno muore. Chi esce dall’ospedale ha alte  possibilità  di morire poco dopo o di essere nuovamente ricoverato per infezione entro il primo anno e sviluppare nuovamente una sepsi. Chi sopravvive  riporta spesso danni permanenti come raccontato dal toccante film “Starfish”,  una produzione inglese distribuita adesso nel Regno Unito in concomitanza di una imponente  campagna nazionale di sensibilizzazione.  Storia eroica  come quelle della nostra Beatrice Vio sopravvissuta ad una sepsi da meningite ed entrata nella storia della scherma italiana para-olimpionica.

“Non possiamo più ignorare il problema”- ha detto Daniels  . “E’ un imperativo etico.  Dobbiamo attivare percorsi coordinati come per il trauma.  La sepsi uccide  5,3 milioni di persone all’anno nel mondo, come il cancro e l’infarto. Ma i servizi sanitari non reagiscono come per altre malattie  in cui il tempo impiegato nei soccorsi fa la differenza fra la vita e la morte. La sepsi uccide bambini, donne in gravidanza, anziani ed adulti. Uccide silenziosa e con frequenza crescente. Le vittime sono sotto gli occhi di tutti, adesso è il momento di agire: impegnandoci possiamo salvare fino a 14.000 in un anno”.
In una sala gremitissima il Dr Daniels racconta la storia di William Mead, un bambino di 1 anno deceduto  nel natale 2015 a causa di un’infezione non trattata tempestivamente e sfociata in sepsi, una risposta incontrollata dell’organismo dovuta ad un’infezione non più contenibile. Il caso ha portato ad una reazione immediata dell’opinione pubblica. Il ministro della sanità  Hunt ha dichiarato durante la relazione sul caso in parlamento che il sistema sanitario inglese non è in grado oggi di identificare e gestire tempestivamente la sepsi. Da qui la scelta di attivare una massiccia campagna di sensibilizzazione anticipata da Daniels al Forum  e che interesserà tutto il Regno Unito a partire dal prossimo 14 dicembre.

“Sappiamo come trattare la sepsi ma non tutti sanno riconoscerne i sintomi” –  afferma Shankar Hari di Londra autore insieme a Mervin Singer di autorevoli e ricerche sulla sepsi.  Troppi arrivano in ospedale quando non è più possibile intervenire. Nel 60% dei casi le persone affette da sepsi non sono riuscite ad avere cure adeguate o perché non erano consapevoli della gravità della loro situazione o perché gli operatori  che hanno contattato non hanno compreso immediatamente il rischio che correvano i pazienti.  Tutti gli operatori sanitari di tutti i settori devono essere preparati a riconoscere una sepsi così come si riconosce e si tratta un infarto. La mancanza di una consapevolezza del problema e di un percorso condiviso fra le discipline sanitarie, ospedale e cure primarie sono criticità  che hanno portato al fallimento delle azioni in Germania come ha mostrato Daniel Schwarzkopf del gruppo del prof Konrad Reinhart leader della Global Sepsis Alliance.

La situazione Italiana non è affatto migliore. La mortalità per sepsi va dal 35% al 60% nei casi di shock settico. Eppure la sepsi ancora non è riconosciuta come un’emergenza.  Sono sepsi i casi letali di meningite in Toscana e Lombardia. Le morti materne di inizio 2015 in Italia sono state causate infezioni non prontamente riconosciute che una volta divenute sepsi  hanno portato via madri e figli all’affetto dei loro cari causando sofferenze e danni incalcolabili per la collettività. Servono delle azioni concrete che diano un sostegno alle azioni che le regioni italiane (Toscana, Lombardia, Emilia Romagna e Friuli) stanno portando avanti in collaborazione con le principali società scientifiche.  

“Non esistono altre strategie che aumentare la sensibilità al problema”  conclude Daniels. “Non sappiamo chi potrebbe sviluppare una sepsi ma sappiamo che se lasciamo un paziente con una sospetta infezione fuori dal un percorso sanitario che rilevi i parametri vitali valutando i possibili rischi e attuando azioni  diagnostiche e terapeutiche di base – come somministrare fluidi e antibiotici –  esponiamo i pazienti  ad un grave rischio che cresce ogni ora dell’8%: questo non è più giustificabile di fronte ai cittadini”.

La sepsi è un problema molto grave,  complicato dalle antibiotico resistenze. Un aspetto importante è la prevenzione delle infezioni correlate all’assistenza sanitaria afferma Benedetta  Allegranzi dell’Organizzazione  Mondiale della Sanità:  “Si stimano 55 milioni di sepsi all’anno e di queste il  30% ha un’eziologia chirurgia”. Allegranzi espone esperienze di successo che dimostrano come sia possibile prevenire fino al 60% le infezioni del sito chirurgico attraverso network di sorveglianza nazionali ed applicando un approccio basato sui fattori umani fondamentali per l’implementazione delle strategie di prevenzione.  Sconfiggere la sepsi è possibile ma servono campagne di sensibilizzazione forti ed azioni di sistema che ricevano  un impulso dai decisori  politici come succede nei servizi sanitari in Inghilterra e negli Stati Uniti. Ormai chiaro che aspettare non farà che aumentare la dimensione del problema.

© RIPRODUZIONE RISERVATA