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Mercoledì 15 FEBBRAIO 2017
Come governare l’innovazione farmaceutica? La sfida è globale

Serve una forte assunzione di responsabilità da parte di tutti gli attori del sistema, comprese le aziende farmaceutiche, chiamate a fare i conti non solo con i bilanci e con i loro azionisti ma anche con la responsabilità sociale del loro impegno, connaturata al valore “etico” del bene farmaco

Governare al meglio l’innovazione farmaceutica e tradurla in valore aggiunto in termini di salute è la condizione fondamentale per garantire ai cittadini anche in futuro un accesso equo e sostenibile alle nuove terapie. Le agende politiche già da qualche tempo hanno dovuto fare i conti con la rivoluzione copernicana che sta interessando il mondo del farmaco e delle tecnologie sanitarie, sconvolgendo l’intera architettura dei sistemi assistenziali. In molti casi si tratta di innovazioni terapeutiche in grado di intercettare bisogni di salute non soddisfatti, vincere la malattia, cronicizzare patologie gravi o prevenirle grazie a nuovi vaccini. Conquiste straordinarie che devono essere realmente disponibili per i pazienti.
 
Tuttavia la sostenibilità di queste terapie è strettamente correlata al loro costo. Negli Stati Uniti, in questi anni, sono diversi i casi che hanno scandalizzato l’opinione pubblica, dal prezzo quadruplicato dell’autoiniettore di epinefrina, ai 1000 dollari a compressa per i trattamenti anti-epatite C, dai prezzi a sei cifre delle terapie oncologiche, al caso del farmaco per la toxoplasmosi, sintetizzato per la prima volta oltre sessant’anni fa, che nel 2015 vide impennare da un giorno all’altro il suo prezzo di oltre il cinquemila per cento. La preoccupazione per la tenuta dei sistemi sanitari è grande anche in Europa, dove grazie al coinvolgimento dei governi nelle negoziazioni dei prezzi molti medicinali arrivano a costare meno della metà rispetto agli Stati Uniti.
 
Gli antivirali ad azione diretta per l’epatite C, le immunoterapie per il cancro, alcune nuove terapie avanzate hanno già messo a dura prova i pagatori, le agenzie regolatorie, gli istituti di Health Technology Assessment, richiedendo in alcuni casi budget dedicati per far fronte all’impatto economico dell’innovazione. È quanto ha fatto il Governo italiano con il fondo speciale per i farmaci innovativi e quello destinato ai nuovi oncologici, che stanno consentendo e consentiranno a migliaia di pazienti di accedere gratuitamente a trattamenti molto più efficaci rispetto al passato e, nel caso dell’epatite C, persino di programmare l’eradicazione totale del virus nel nostro Paese nell’arco di pochi anni.
 
Tuttavia la questione del prezzo è “solo” la punta dell’iceberg di un fenomeno con molteplici sfaccettature. Tra queste i costi e i rischi economici connessi alle attività di ricerca e sviluppo, il diritto alla tutela della proprietà intellettuale, il valore terapeutico aggiunto che la nuova molecola è in grado di offrire, la natura e la prevalenza della patologia, gli effetti diretti e indiretti sui costi complessivi dell’assistenza. Non secondari sono gli aspetti che riguardano l’assetto dei sistemi sanitari (prevalentemente pubblici, misti, prevalentemente privati) e le competenze in tema di negoziazione del prezzo e di decisione sulla rimborsabilità.
 
L’Italia, ad esempio, rappresenta un caso del tutto peculiare: il sistema si regge sul pilastro pubblico, il Servizio Sanitario Nazionale, e la negoziazione con le aziende è svolta da un attore unico, l’AIFA, cui sono demandate sia le competenze autorizzative sia quelle negoziali.
 
Tuttavia la questione dell’interrelazione tra innovazione, accesso alle cure e sostenibilità, ha una portata globale e non può essere affrontata esclusivamente all’interno dei confini nazionali. Occorre una condivisione ampia di politiche, strategie e leggi in grado di far fronte a una realtà che è profondamente mutata negli ultimi anni e che promette di non arrestare il suo processo di metamorfosi. Le leve su cui agire sono molteplici.
 
Ad esempio una maggiore trasparenza sulle dinamiche di formazione dei prezzi e una puntuale verifica del ritorno degli investimenti pubblici in ricerca e sviluppo in termini di saluteprodotta potrebbero consentire una migliore valorizzazione dell’innovazione e una più tempestiva disponibilità di terapie dall’impatto significativo sulla vita dei pazienti e sulla tenuta dei sistemi sanitari.
 
È quanto suggerisce Suerie Moon [1] in una perspective dal titolo “Powerful Ideas for Global Access to Medicines” pubblicata sul New England Journal of Medicine (NEJM) [2]. L’Autrice condivide le raccomandazioni del Comitato di esperti sull’Accesso ai Farmaci istituito nel 2015 dall’ex Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon.
 
“Terapie non sostenibili e innovazione non adeguata – scrive S. Moon – sono diventate questioni globali. Così come i cambiamenti climatici, hanno bisogno di nuove politiche pubbliche e di cooperazione internazionale”. Un primo passo è la trasparenza: considerate le profonde implicazioni per l’interesse pubblico, il sistema di sviluppo dei farmaci è ancora avvolto da un grado eccessivo di segretezza. Su questo tema, il Comitato ha raccomandato ai governi di rendere obbligatoria la divulgazione delle informazioni sui vari aspetti dello sviluppo di un medicinale, inclusi i costi.
 
“A seconda della fonte e dei metodi utilizzati, le stime del costo di sviluppo di un nuovo farmaco possono oscillare dai 92 milioni ai 4,2 miliardi di dollari. Una maggiore trasparenza – scrive S. Moon – potrebbe introdurre nel surriscaldato dibattito sui prezzi alcune misure di ragionevolezza e di evidenza”. Consentirebbe inoltre di “far luce sull’efficienza dei processi coinvolti, stimolare il dibattito su quale sia l’adeguata remunerazione dell’investimento, dei risultati e del rischio e adeguare le ricompense finanziarie al grado di avanzamento terapeutico offerto”.
Il secondo aspetto, legato anch’esso alla trasparenza, consiste nel fare in modo che gli investimenti pubblici abbiano un ritorno per la collettività. Lo sviluppo dei farmaci è un'impresa pubblico-privato – ricorda S. Moon – Il pubblico investe in ricerca di base e nei primi stadi della scoperta attraverso il finanziamento dei laboratori accademici e statali; poi acquista i farmaci prodotti dalle aziende private attraverso contratti di assicurazione o spese out-of-pocket.
 
Nelle aree in cui il mercato non riesce a offrire incentivi adeguati per l’innovazione – le malattie neglette, le malattie infettive emergenti, o la resistenza agli antimicrobici – il finanziamento pubblico e la definizione delle priorità giocano un ruolo anche maggiore, sovvenzionando tutte le fasi dello sviluppo del farmaco. La trasparenza sui contributi pubblici alla ricerca potrebbe fornire una base per contenere i prezzi sia ex ante, attraverso condizioni imposte sul finanziamento pubblico, sia dopo lo sviluppo, attraverso la regolamentazione del governo.
 
Un altro suggerimento del Comitato è stato quello di testare e implementare nuovi modelli di businessche potrebbero rendere conveniente il processo di sviluppo svincolando il finanziamento della ricerca dal prezzo finale del prodotto.
 
Alcuni modelli di questo tipo hanno già dato prova di efficacia nell’ambito del no-profit: con 290 milioni di dollari di fondi pubblici e contributi volontari la Drugs for Neglected Diseases Initiative (DNDi) ha inserito 26 candidati nella pipeline di sviluppo e ne ha portato sul mercato 6 in dieci anni. Poiché i costi di ricerca sono già stati coperti, i prodotti DND possono essere venduti approssimativamente al costo di produzione. Un esempio virtuoso di una modalità di gestione degli investimenti pubblici e privati in grado di indirizzare la ricerca e lo sviluppo verso l’interesse pubblico.
 
Sul tema dei brevetti, infine, Il Comitato ha invitato governi e aziende ad aderire agli accordi stipulati per proteggere l’accesso ai farmaci secondo le regole del commercio internazionale. Ad esempio – hanno ricordato i componenti del panel – i governi hanno l’autorità per decidere quando un diritto di brevetto privato possa essere messo da parte, nell'interesse della salute pubblica: un diritto che è stato ribadito in ogni dichiarazione politica delle Nazioni Unite a riguardo dal 2001.
 
Il report – ricorda in conclusione l’Autrice – ha subito critiche sia dall’industria, che l’ha considerato un attacco sui brevetti, sia da alcuni membri e organizzazioni della società civile che hanno espresso disappunto per il mancato richiamo a una più radicale revisione dei trattati sulla proprietà intellettuale.
 
Di certo, una riflessione su questi temi non può che arricchire e stimolare il dibattito su come riformare il sistema della ricerca per servire meglio l’interesse pubblico a livello globale. È evidente che ciò implica una forte assunzione di responsabilità da parte di tutti gli attori del sistema, comprese le aziende farmaceutiche, chiamate a fare i conti non solo con i bilanci e con i loro azionisti ma anche con la responsabilità sociale del loro impegno, connaturata al valore “etico” del bene farmaco.
 
Mario Melazzini
AIFA Editorial
 
[1] Global Health Centre, Graduate Institute of International and Development Studies, Geneva; Department of Global Health and Population, Harvard T.H. Chan School of Public Health, Boston.
[2] Suerie Moon, Powerful Ideas for Global Access to Medicines, 9 febbraio 2017, in http://www.nejm.org/doi/pdf/10.1056/NEJMp1613861

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