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Venerdì 17 FEBBRAIO 2017
Il politically correct delle Medicine non convenzionali e quegli errori da evitare



Gentile Direttore,
ho letto lo scambio di opinioni tra il prof. Ricciardi, presidente dell’ISS e il sen. Romani relativo alla rimborsabilità di trattamenti di alcune medicine complementari. Esso dibatte un  argomento che investe il tema dell’uso oculato delle risorse pubbliche e le relative regole da applicare. In regime di scarsità occorre infatti  identificare le priorità sulla base dell’unico criterio accettabile dalla medicina moderna: la prova scientifica.
 
Molti anni fa visitando per lavoro molti paesi europei, in particolare  l’Austria, la Germania  e la Svizzera, alcuni colleghi mi raccontarono della rimborsabilitá in quei Paesi di alcune prestazioni di natura non convenzionale. In pratica  pare che a quei tempi rimborsassero con larghezza  la medicina antroposofica e l’omeopatia. Si sa, sono teorie mediche nate in quei paesi ed è naturale vi  siano  diffuse.
 
Da allora le cosiddette CAM si sono diffuse in tutta Europa allargando il novero dei trattamenti in esse compresi. E’ un fenomeno da osservare e da comprendere, poiché nulla accade per caso ed ogni cosa ha una spiegazione. Questo fenomeno non va quindi demonizzato o liquidato con sufficienza.
 
Esse sono  considerate pratiche complementari (da associare alla medicina convenzionale senza sostituirla) o alternative (sostitutive della medicina classica).
Negli anni me ne sono occupato anche per l’Ordine dei Medici di Firenze.
 
E’ opinione comune  che siano  pratiche molto popolari e con crescente gradimento da parte di medici e pazienti. Tutto ciò associato ad alcune  attuali tendenze le rende anche “politicamente corrette”, capaci cioè di suscitare consenso politico.
 
Anche l’Italia riconosce di fatto alcune pratiche mediche solo come complementari  come il resto d’Europa in quanto ne affida l’esercizio solo ai medici. Questo può generare il convincimento che in quanto praticate da medici esse acquisiscano di fatto una patente di scientificità. L’intento regolatorio è invece ben diverso: l’autorità medica ha inteso sottomettere queste pratiche alle regole dell’etica e della deontologia medica che impediscono al medico di provocare un maleficio al paziente omettendo trattamenti efficaci a favore di trattamenti non efficaci.
 
Di questo  Ricciardi e Romani discutono. Il vero problema sollevato da Walter Ricciardi
non è quello se la pratica delle CAM  sia o meno da consentire, cosa ormai pacificamente assodata, ma se esse debbano essere a carico dello Stato e del Ssn anche in una sola Regione.
 
Tra poco auspicabilmente avremo la nuova legge Gelli che imporrà regole nuove sulle buone pratiche cliniche, identificate attraverso le linee guida depositate immagino presso l’Iss.
 
Le Società scientifiche saranno chiamate ad uno sforzo straordinario e monumentale  per individuare con ragionevole, clinica e giuridica certezza i contenuti e le pratiche mediche considerate il golden standard a tutela e salvaguardia del cittadino.
 
I Lea dovranno ovviamente adeguarsi a tale livello di evidenze. E’  infatti impensabile che rientrino nei Lea pratiche non totalmente dotate di evidenze cliniche (e giuridiche) più che incontrovertibili. Allora sì che si porranno situazioni amare per questo dibattito. Quali Società scientifiche screditeremo per le pratiche complementari? E per quelle alternative? E per quelle semisconosciute o inventate di sana pianta? Con quali evidenze e quali studi clinici?
 
Complementare o no, ciascun medico dovrà sempre rispondere di fronte al cittadino - alle leggi dello stato e a se stesso - a una sola domanda: sto  suggerendo e praticando un trattamento clinico che ha  evidenze talmente solide  da salvaguardare il cittadino dal danno  e me stesso dalla colpa professionale?
 
Beninteso il cittadino stesso può scegliere di fare quel che gli aggrada. Dobbiamo tuttavia evitare di scambiare ciò che è gradito al cittadino da  ciò che è ad oggi provato col metodo scientifico nostro unico obbligato riferimento come medici.
 
E’ lo stato (che ormai sta restringendo sempre più la discrezionalita di scelta del medico imponendo su terapie, accertamenti diagnostici, ricoveri e comportamenti clinici, limiti economici rigorosi e stringenti che comprendono sanzioni economiche nei confronti dei medici con richieste di rimborso e procedimenti davanti alla Corte dei conti) con che faccia potrebbe rimborsare pratiche ancora totalmente prive di evidenze, malgrado i progressi della scienza ed il trascorrere degli anni?
 
Chi glielo racconta al Mef e  a quei medici che devono giustificare il perché di prescrizioni ritenute troppo costose o inappropriate salvo poi dimostrare il contrario? Ed i tagli alla spesa farmaceutica e alla diagnostica improntati alla appropriatezza?
 
Magari rimborsando trattamenti  la cui appropriatezza, pur praticati da medici, sarebbe assai ardua da dimostrare e che sarebbero probabilmente non  sostenibili eticamente, moralmente ed in un contenzioso davanti ad una corte di giustizia?
 
Non è forse meglio attestarsi su un sano principio che riconoscendo la libertà di giudizio del cittadino, dica che il Ssn garantisce solo le buone pratiche cliniche dotate di evidenze registrate presso gli organi dello Stato, le eroga attraverso i Ssr, garantendo inoltre attraverso  i suoi professionisti la corretta informazione?
 
La pratica delle medicine  complementari  resti (soprattutto economicamente)  una vicenda privata affidata alla sensibilità e cultura del medico e del cittadino che ne  risponderanno se del caso privatamente per colpa od omissione ma al di fuori del Ssn.
 
Altrimenti con questi chiari di luna aggiungeremmo al danno anche la beffa.
 
Claudio Cricelli
Presidente Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie

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