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Mercoledì 22 FEBBRAIO 2017
Epatite C. Ultimatum a salve?

Ma come andrà la trattativa tra Aifa e Gilead? Ci sono davvero i margini per un abbattimento di prezzo così elevato come richiesto dal DG Melazzini? Nutro forti dubbi in proposito anche perché le trattative vanno condotte sempre con ragioni e su aspetti concreti e reali, numeri reciprocamente argomentati, nello spirito di trovare sempre e comunque un accordo a beneficio collettivo. E non so se questo è il caso

“Facite ‘a faccia feroce” ordinavano i generali di Franceschiello alle loro truppe quando rischiavano la malaparata. Somiglia all’atteggiamento molto duro del DG AIFA nell’ultimatum verso la ditta degli anti HCV, visto il crescente malcontento dei pazienti non coperti: ti pago massimo 4000 euro (rispetto ai circa 14mila del prezzo medio pagato fin qui dal Ssn) altrimenti me li faccio fare a basso costo in deroga al brevetto (ne avevo appena scritto, viaggi in India inclusi, qui su QS).
 
D’accordo, i prezzi sono assai elevati (meno che nel resto EU) e insostenibili per trattare tutti. Ma le criticità erano prevedibili dall’inizio:se non inviti alle nozze il 90% dei parenti (di tua moglie), cioè i pazienti esclusi che così guarirebbero, quelli ti accusano di farle coi fichi secchi (anche se spendi un miliardo) e si presentano in massa al ristorante, affamati e pure arrabbiati. Come dargli torto?
 
Specialmente se il tuo SSN, quello che finanzi con le tue tasse da lavoratore dipendente, decide che tu per guarire devi sperare di aggravarti. Così la questione è precipitata, diventando ancora più scabrosa, in un “duello messicano” a tre (triello), alla Leone o alla Tarantino: AIFA, Industria e Pazienti esclusi.
 
L’ultimatumdi Melazzini è comprensibile, vista la situazione. Stride però con i principi stessi della negoziazione, della soluzione condivisa, alla base del nostro sistema e di tutti gli altri Paesi, a garantire l’equo accesso ai pazienti e con prezzi sostenibili per le casse pubbliche. Altrimenti si deciderebbero “ope legis”. Non a caso la Lorenzin ne ha smorzato i toni, di fatto declassandolo a “penultimatum”.
 
E poi, attenzione, il diktat parte con le polveri bagnate: la deroga al brevetto vale solo per ipoveri del globo: noi siamo nell’1% dei più ricchi. Al WTO, insomma, si darebbero di gomito ridacchiando di quel Paese intasato di SUV guidati da signore mesciate in abiti griffati che chiede le stesse facilitazioni di India ed Egitto.
 
Al di là del caso specifico degli anti HCV, emblematico, il punto è quale sia il “giusto” prezzo di rimborso dei farmaci innovativi e come calcolarlo. Il menù della dottrina economica ci offre due pietanze, l’una casareccia, sui costi di “produzione” (metodo industriale) R&D inclusa, l’altra da Nouvelle Cuisine, il valore dell’utilità collettiva (metodo marginalista), adottato ormai da tutti i Paesi, almeno nel principio (ne ho trattato qui su QS e più approfonditamente in un mio recente volume).
 
Un modello però complicato da far funzionare. Dati anche i tanti, anche nel bivacco della stanza dei bottoni, non propriamente adusi alla materia. Così che resta qui da noi, nei fatti, solo sterile teoriad’aula, onanismo dello studioso frustrato.
Così che il “tocco” accademico finisce rimpiazzato dalla matita sull’orecchio delsalumiere: vuoi la mia merce? Questo è il prezzo. Troppo alto? E allora quanto mi dai? Una compravendita tra chi vende, l’Industria, e chi compra, il SSN come rappresentante della collettività (pagante).
 
Esagero? Allora la racconto col manzoniano “latinorum” dell’economista, benché la sostanza non cambi: ci si accorda se e quando s’incrociano le curve dei prezzi richiesti e offerti. Con le rispettive soglie basate sulle reciproche forze e debolezze, su vantaggi e svantaggi (equità d’accesso e della distribuzione delle risorse SSN da un lato, profitto, mkt share, floor price internazionale, competitors dall’altro). Non s’incrociano? Il farmaco va in C.
Come farle incrociare, quelle curve, però a un livello più basso, sostenibile, cioè calmierarne il prezzo? Si può, eccome. Ci torno tra qualche giorno nel dettaglio (tempi del brevetto, centrale unica di acquisto, prezzo EU, approvazioni EMA, ecc.).
 
Insomma, serve una maggiore durezza negoziale (“faccia feroce”) dell’AIFA? Fare leva sul suo potere monopsonistico di acquirente unico? Fissare in basso la disponibilità a spendere (willingness to pay)? Certo sì, ma solo in qualche caso e nel breve termine. E comunque nei confini della conflittualità negoziale e strumentalmente ad essa.
 
Il rischio è di non accordarsi, creando quindi iniquità d’accesso. E che lo compri comunque il SSN (ASL, AO) ma a prezzo libero, cioè paradossalmente pagandolo di più, come accade nelle Cnn e 648. E alla lunga irrigidire ulteriormente le posizioni delle controparti rendendo ancora più difficoltoso trovare soluzioni condivise, anche nei casi in partenza non critici.
 
Meglio allora negoziare, sulla base di un mix tra minore prezzo, limitazione dei volumi rimborsati, con accordi di Managed Entry Agreement, “financial” o “outcome based” (tetti/payback, sconti a soglia, payment by results, cost sharing, risk sharing, ecc.), aumento del budget (il proverbiale “rasoio di Occam”) e remunerazione del valore (value for money) definito con HTA e tecniche farmacoeconomiche. Un delicato ma indispensabile equilibrio da raggiungere.
 
E come se non negoziando, quindi. Non per dolciastre ragioni ecumeniche ma perché ne dipende la piena ed equa disponibilità dei farmaci migliori per la salute collettiva. Per questo la trattativa va condotta sempre con ragioni e su aspetti concreti e reali, numeri reciprocamente argomentati, nello spirito di trovare sempre e comunque un accordo a beneficio collettivo. E senza fare ognuno la faccia più feroce dell’altro o esibendo le mostrine più dorate. Senza fare a gara a chi ce l’ha più duro (l’atteggiamento).
 
Prof. Fabrizio Gianfrate
Economia Sanitaria

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