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Mercoledì 08 MARZO 2017
L’8 marzo visto dalle infermiere. Il collegio Ipasvi di Firenze intervista Mangiacavalli, Felici e D’Addio

In occasione della festa della donna gli infermieri fiorentini hanno raccolto la voce di tre donne infermiere: quella della presidente nazionale Ipasvi, quella dell’infermiere promotrice del flashmob contro la violenza di genere e quella di un’infermiera esperta di etica. Ecco cosa dicono.

Qual è il ruolo delle donne in una professione ad alta presenza femminile come quella infermieristica? Per la Festa della Donna, il collegio Ipasvi di Firenze ha voluto cogliere l’occasione per tracciare il quadro delle donne nella professione infermieristica, tra sviluppo professionale, percorsi di carriera, valore sociale e opportunità.
 
E ha scelto di farlo attraverso la voce di tre donne: Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione Nazionale dei Collegi Ipasvi, una categoria di professionisti formata per l'80% da donne; Sara Felici, infermiera e organizzatrice negli ultimi tre anni del flashmob per la giornata internazionale contro le violenze di genere; Laura D'Addio, infermiera ed esperta di etica.
 
“Le infermiere – spiega Barbara Mangiacavalli – sono professioniste che hanno affrontato un lungo e severo percorso di studi universitari, completato da stage e perfezionamenti. Ma sono anche donne che spesso devono affrontare, oltre al normale peso dell’attività lavorativa, la responsabilità di una famiglia con tutte le sue esigenze. L’8 marzo è dunque una giornata in cui alla festa può unirsi una pacata riflessione sulla professione al femminile. Oggi abbiamo 322.751 colleghe e 100.372 colleghi. Il dato di questi ultimi è in crescita; ciò non toglie però che la nostra professione sia nata al femminile”.
 
“La propensione all’assistenza, al prendersi cura, a dedicarsi h24 a chi soffre, è stata una caratteristica che inizialmente ha guidato la caratterizzazione più che altro femminile della nostra categoria. In generale, tra gli iscritti all’Albo, il 76,98% di infermieri è donna, mentre guardando ai dipendenti del Ssn, la percentuale sale al 77,43%. Il valore aggiunto e quello sociale per la nostra professione – sottolinea Mangiacavalli - sono quindi evidenti. E vorrei credere e sperare che non debbano esserci più, come in passato, differenze per i percorsi di carriera. Uso il condizionale però perché in questo, in generale, i dati ancora non aiutano. Un’indagine di AlmaLaurea di due anni fa su quasi 210mila laureate lo dimostra: precarietà e disoccupazione colpiscono più le donne degli uomini, anche quando sono iperqualificate. Fare figli danneggia professionalmente molto più le donne, e in un universo declinato al maschile le madri continuano a fare meno carriera delle donne senza figli.
 
“Un segnale di forte arretramento culturale e civile del Paese rispetto all’obiettivo di realizzare una partecipazione paritaria delle donne al mercato del lavoro. Per una condizione di pari opportunità – spiega la presidente Ipasvi - ancora siamo in cammino. Un segnale forte arriva dalle Regioni più virtuose ma l’Italia è lunga e se a un estremo la donna ha le stesse possibilità dell’uomo per la carriera, all’altro, magari, ancora si fanno scelte selettive in base al sesso. Tutto ciò va superato, assolutamente e con buon senso, ma anche con la massima rapidità e determinazione e che ciò avvenga è anche un nostro obiettivo. Vale un principio: gli infermieri, uomini o donne che siano, sono infermieri. E come tali nessuno e per nessuna ragione è più o meno capace o disposto degli altri a non prendersi cura dei propri pazienti”.
 
“Festeggiare la Giornata Internazionale per i diritti delle Donne senza riflettere sulle violenze di genere è secondo me insignificante – afferma Sara Felici - poiché è ancora tempo di agire in modo concreto, lavorare quotidianamente per sensibilizzare all’importanza di un cambiamento culturale attraverso l’educazione delle nuove generazioni alla “non violenza”, sul piano relazionale, sociale e di genere. Gli infermieri garanti dell’assistenza si trovano in una posizione unica, avendo la possibilità di prendere in carico i complessi bisogni assistenziali delle donne vittime di maltrattamenti che accedono ai servizi sanitari, dando loro ascolto e, attraverso gli specifici percorsi, aiuto e supporto, creando così i presupposti per una presa di coscienza da parte della donna, prerogativa alla denuncia per quanto subito. Un infermiere di comunità più prossimo alla famiglia potrebbe rappresentare un valore aggiunto nel riconoscimento e nella prevenzione di situazioni critiche, grazie alla sensibilità e alle competenze relazionali insite nella professione infermieristica”.
 
Sul valore etico dell’essere donna nel contesto delle organizzazioni sanitarie, Laura D’Addio spiega: “come hanno evidenziato varie ricerche, anche nelle professioni di cura le donne sono spesso indietro, rispetto agli uomini, sia nella carriera che nei ruoli di rappresentanza, legati all’organizzazione e socializzazione del lavoro. Ma va detto che si stanno registrando cambiamenti importanti e le donne non sono affatto indietro nella gestione: quando sono al comando mostrano stili molto positivi e costruttivi, diversi da quelli maschili. Più che alla competizione sono orientate a un approccio inclusivo, un po’ come si fa nella conduzione di una famiglia o nel tenere assieme un gruppo di amici. Passando dal livello nazionale alla Toscana, le carriere infermieristiche hanno avuto qui primati importanti. La direzione infermieristica e le linee di gestione interne sono state organizzate per anni in modo che gli infermieri rispondessero agli infermieri e non a medici. Adesso stiamo purtroppo assistendo a dei passi indietro, ma gli infermieri sono pronti a impegnarsi per esserci”.
 
A cura del Collegio Ipasvi di Firenze
 

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