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Martedì 21 MARZO 2017
Il futuro sarà del medico/macchina?



Gentile Direttore,
lo sviluppo tecnologico marcia ad una velocità incredibile e ci stiamo avvicinando a grandi passi alla possibilità che non solo i lavori manuali, ma anche quelli intellettuali possano essere svolti da robot in grado di sostituire i lavoratori e aumentare la produttività. Le professioni sanitarie non sono esenti da questa eventualità. Il dibattito è in corso da alcuni anni e si è riacceso dopo la pubblicazione nel 2013 da parte di Carl Benedict Frey e Michael Osborne due ricercatori dell’università di Oxoford di uno studio dal titolo “The Future of Employment : How Susceptible are Jobs to computerization?”.
 
In questo studio i due professori stimavano una uscita dal lavoro di circa il 47% dei lavoratori statunitensi nei prossimi vent’anni. Lo studio è stato poi in parte ridimensionato da altri dati, in particolare da un paper pubblicato dall’ OCSE nel maggio 2016 ad opera di tre ricercatori del “Center for European Economic Research” che concludono che i dati sono sovrastimati e che in realtà solo il 9% degli attuali impieghi è potenzialmente destinato a essere svolto in un prossimo futuro da macchine.
 
L’allarme o meglio il problema rimane e il dibattito non può non interessare il mondo della medicina e della sanità e ovviamente i medici, se è vero che il cambiamento tecnologico corre veloce, che i lavori a rischio  sono anche quelli  che richiedono abilità più articolate e che è già in corso una profonda trasformazione della professione medica legata allo sviluppo tecnologico.
 
L’immagine del vecchio medico che gira con la borsetta e visita con il fonendoscopio è destinata a trasformarsi in una immagine romantica, ricordo di un tempo passato. Oggi abbiamo a disposizione macchine in grado di sezionare il corpo umano in immagini sempre più sofisticate (RM, Pet), siamo in grado di studiare in profondità il nostro patrimonio genetico, espiantare e trapiantare organi, operare con robot precisissimi…. Non sembrano esserci limiti alla evoluzione tecnologica. In campo medico le possibilità offerte dalla tecnica sembrano infinite. In un prossimo futuro una “macchina” potrebbe essere in grado di diagnosticare e curare le malattie senza più la presenza del medico.
 
Ma davvero la Tecnologia potrà sostituire il medico nella cura del paziente? La   Medicina può fare a meno dell’apporto personale del medico? Ci si può accontentare di una macchina senza anima?
 
Se ne è parlato in questi giorni a Venezia nell’ambito di un Convegno dal titolo provocatorio “Medicina Meccanica” organizzato dall’Ordine dei Medici di Venezia, tramite la Fondazione Ars Medica e con la collaborazione dell’Università Ca’ Foscari. Ospiti illustri il prof. Ivan Cavicchi (ben noto ai lettori di QS) e il prof. Luigi Vero Tarca ordinario di filosofia teoretica a Ca’ Foscari.
 
La storia umana è costellata di situazione di questo tipo: ogni scoperta scientifica si è portata dietro l’allarme e la paura di rivoluzioni epocali capaci di cambiare o estinguere figure o attività professionali (basti pensare all’invenzione della stampa, alla rivoluzione industriale, alla meccanicizzazione dell’agricoltura… la stessa scoperta dello stetoscopio all’inizio dell’800 ad opera di Renè Laennec non fu immune da queste paure).
 
Il progresso tecnologico, dice Cavicchi non si può fermare perché è un processo irreversibile ma dobbiamo imparare a governarlo per non rischiare di patirne l’ ”effetto rinculo”, cioè la sua azione retroattiva  capace di modificare e non sempre in meglio chi la usa. Il rischio è quindi una   tecnologia che si trasformi da mezzo in fine.
 
“Se il medico fa della tecnica il proprio dio” ha proseguito Bruna Marchetti filosofa della LAI (Libera Associazione di Idee) intervenuta al convegno,” il rischio è davvero un cambiamento non solo di mentalità del medico ma di tutto il suo modo di essere”.  “Ciò che può salvare” secondo la Marchetti “è mantenere uniti tecnica e umanità”.
 
Ma è realmente possibile che il medico possa rischiare di essere sostituito dalla macchina? Non c’è qualcosa di speciale nell’essere medici, nella relazione con il malato, nel rapporto di cura che la macchina non potrà mai sostituire? O questa relazione tutto sommato esiste solo nel nostro “immaginario” dal momento che al nostro “paziente” interessa esclusivamente guarire e se la guarigione può venire garantita da una macchina, del medico tutto sommato si può farne a meno?
 
Cavicchi risponde prendendoci di contropiede e facendoci osservare che la contrapposizione macchina/medico di fatto è stata superata nei fatti, e non da oggi. Il medico puro, “solo medico” non esiste più, oggi esiste il medico ibrido fatto da una mente pensante in modo intellettuale e dalla  tecnologia di cui questa mente pensante si serve. Dice Cavicchi oggi il medico è già un “simbionte” cioè un professionista che vive in simbiosi con la tecnologia.
 
Quale impatto sta avendo sulla professione medica questa simbiosi?
 
La tecnica certamente  è diventata la “tendenza culturale” del momento (viviamo nel “dominio della tecnica” come ci ricorda Emanuele Severino) ma in medicina, dice ancora Cavicchi, grazie alla tecnologia  per la prima volta siamo andati ben oltre  l’amministrazione dell’ordine naturale, cioè di curare ordini naturali malati, ormai inventiamo nuovi ordini naturali.
 
Il riferimento è all’ingegneria genomica, alle biotecnologie, alla protesica, all’uso delle cellule staminali, agli sviluppi incredibili della rianimazione, alla fecondazione assistita ecc. Tutto questo è alla base dei problemi bioetici degli ultimi decenni. Oggi abbiamo i problemi bioetici perché siamo oltre gli ordini naturali e perché come ha scritto il  professor Cavicchi a proposito di testamento biologico, etica e natura si sono separati (QS 14 febbraio 2017)
 
E’ possibile che i medici corrano il rischio di venire schiacciati dalla “Macchina” e trasformati   come ancora Cavicchi ci fa notare, in “trivial machine” macchine semplici, banali, prevedibili che rispondono a input dato con un output certo e riproducibile, in modo da poter essere più facilmente controllabili?
 
Il rischio esiste. Sempre seguendo il ragionamento che  Cavicchi ha fatto al convegno, da una parte c’è il rischio di una medicina amministrata  che per controllare i consumi della sanità punta a controllare i comportamenti e le scelte del medico  sottoponendolo ad un dispotico proceduralismo e quindi riducendolo a un “essere tecnologico” da usare con degli  algoritmi; dall’altra  c’è il rapporto difficile imprevedibile tra tecnologia e tecnica  con l’uso di algoritmi rigidi, standard, spersonalizzati, predefiniti che negano qualsiasi discorso sulla relazione, l’umanizzazione, l’alleanza terapeutica ecc.
 
Per uscire dall’impasse forse è necessario un rovesciamento di prospettiva.  Ribaltare la prospettiva potrebbe voler dire secondo il professor Tarca  ripensare la Medicina come cura della salute e non più come eliminazione della malattia.
 
Se l’eliminazione della malattia  dipende da un farmaco o da un nuova tecnologia, chi la detiene ha  un potere di controllo sugli altri che potrà essere ridimensionato  solo se si cambia il paradigma passando appunto  dalla cura della malattia  alla cura della salute. Questo ci aiuterebbe a sottrarci al dominio della tecnica e al potere che ne può derivare.
 
Dalla discussione di Venezia il messaggio che viene è chiaro: niente paura, la tecnologia non va demonizzata, togliamo la medicina dalla contrapposizione umano/tecnologico, perché anche la tecnologia se usata come si deve ha una sua indubbia umanità.
 
Tuttavia condizione essenziale è la capacità dei medici di ripensarsi per essere in grado di governare il cambiamento. Oggi i medici bravi sono anche quelli che sanno come servirsi delle tecnologie disponibili senza subirne la tirannia.
 
A Venezia la sfida è iniziata.
 
Ornella Mancin
Medico di famiglia, Cavarzere (VE)

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