quotidianosanità.it

stampa | chiudi


Sabato 08 APRILE 2017
Il punto sulla normativa e le misure contro la violenza ai danni degli operatori sanitari

Sono passati 10 anni dalla pubblicazione della Raccomandazione n. 8 del Ministero della Salute su un tema quanto mai attuale alla luce della  mozione licenziata dal Consiglio Nazionale Fnomceo lo scorso 7 aprile dove viene chiesto “al Governo e alle Regioni un intervento per potenziare il monitoraggio di questi episodi". A tutto ciò occorre aggiungere l’obbligo, ai sensi del D.Lgs.81/2008, da parte dei datori di lavoro di prevedere l'analisi del rischio violenze.

A distanza di 10 anni dalla sua pubblicazione, il contenuto della Raccomandazione n. 8 del Ministero della Salute per prevenire atti di violenza ai danni degli operatori sanitari è quantomai attuale alla luce della mozione licenziata dal Consiglio Nazionale Fnomceo il 7 aprile scorso dove viene chiesto “al Governo e alle Regioni, secondo le rispettive competenze, un intervento per potenziare il monitoraggio degli episodi di violenza nei confronti degli operatori sanitari rendendolo più efficiente ed efficace al fine di intraprendere azioni che impediscano il ripetersi di tali episodi, nonché disposizioni per la verifica delle condizioni di idoneità organizzativa e strutturale dei servizi in cui i medici sono maggiormente esposti ad atti di aggressione”.
 
A tutto ciò occorre aggiungere l’obbligo, ai sensi del D.Lgs.81/2008, da parte dei datori di lavoro di prevedere nel Documento della Valutazione del Rischio (DVR) anche l’analisi e la stima del rischio violenze e aggressioni nel comparto sanitario.

“La violenza sul lavoro può essere fisica, psicologica e sessuale - ha detto l’avv. Maria Giovannone, responsabile ufficio salute e sicurezza ANMIL Onlus -. A livello nazionale non esiste al momento una specifica disciplina normativa in ambito prevenzionistico, anche se il fenomeno è costantemente mappato dalle statistiche ed è dunque possibile conoscerne bene le dimensioni, anche se in contesti definitori non sempre univoci, considerato che per le più frequenti forme di violenza sul lavoro si utilizzano diverse locuzioni: straining, bossing, bullying, mobbing, sono le definizioni più frequentemente adottate.
Da questo complesso di fenomeni, anch’essi molto frequenti in ambito sanitario, vanno però tenuti distinti quelli legati alla violenza e alle aggressioni, perpetrati in danno degli operatori sanitari da parte di terzi, quali pazienti ed utenti del servizio e delle prestazioni sanitarie. Tali comportamenti costituiscono rischi esogeni rispetto all’attività produttiva, ma vanno gestiti e valutati nei contesti lavorativi in cui siano frequenti e prevedibili. Di conseguenza - continua l’avv. Giovannone - il settore sanitario non pare sfuggire all’obbligo di valutazione del rischio riconducibile all’aggressione di un terzo ed ai correlati doveri di informazione e formazione (azioni queste anche previste sempre nel TU sulla sicurezza e salute sul lavoro) dei lavoratori esposti, ferma restando la necessità di verificare caso per caso le circostanze fattuali in cui la violenza si verifica”.

Con la raccomandazione n. 8 del 2007 il Ministero della Salute si rivolge a tutte le strutture sanitarie ospedaliere e territoriali, con priorità per le attività considerate a più alto rischio (aree di emergenza, servizi psichiatrici, Ser.T, continuità assistenziale, servizi di geriatria), nonché quelle individuate nel contesto di una specifica organizzazione sanitaria a seguito dell’analisi dei rischi effettuata.

Ne sono interessati tutti gli operatori (medici, infermieri, psicologi, operatori socio-sanitari, assistenti sociali, personale del servizio 118, servizi di vigilanza) e tutte le attività svolte durante l’erogazione di prestazioni ed interventi socio-sanitari; esse sono volte a prevenire i seguenti tipi di eventi: uso di espressioni verbali aggressive; impiego di gesti violenti; minaccia; spinta; uso di arma; contatto fisico; lesione e/o morte.
 
La prevenzione degli atti di violenza contro gli operatori sanitari richiede che l’organizzazione sanitaria identifichi i fattori di rischio per la sicurezza del personale e ponga in essere le strategie ritenute più opportune. A tal fine, le strutture sanitarie devono mettere in atto un programma di prevenzione della violenza che dovrebbe comprendere almeno le azioni di seguito riportate.

Secondo la Raccomandazione “Ciascuna struttura sanitaria dovrebbe elaborare ed implementare un programma di prevenzione della violenza, le cui finalità sono:
• diffondere una politica di tolleranza zero verso atti di violenza, fisica o verbale, nei servizi sanitari e assicurarsi che operatori, pazienti, visitatori siano a conoscenza di tale politica;

• incoraggiare il personale a segnalare prontamente gli episodi subiti e a suggerire le misure per ridurre o eliminare i rischi;

• facilitare il coordinamento con le Forze di Polizia o altri soggetti che possano fornire un valido supporto per identificare le strategie atte ad eliminare o attenuare la violenza nei servizi sanitari;

• assegnare la responsabilità della conduzione del programma a soggetti o gruppi di lavoro addestrati e qualificati e con disponibilità di risorse idonee in relazione ai rischi presenti;

• affermare l’impegno della Direzione per la sicurezza nelle proprie strutture.

Può essere utile la costituzione di un gruppo di lavoro per favorire il coinvolgimento del management aziendale e del personale maggiormente a rischio, quale quello frontline, al fine di consentire l’individuazione e l’implementazione delle azioni e delle misure necessarie a garantire l’efficacia al programma.
 
Il gruppo di lavoro deve prevedere la presenza almeno dei seguenti componenti:
• un referente della Direzione Sanitaria;
• un referente dell’Area Affari Legali e/o Gestione Risorse Umane;
• il responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione;
• un rappresentante della professione infermieristica, individuato tra gli operatori dei settori a più alto rischio;
• un rappresentante della professione medica individuato tra gli operatori dei settori a alto rischio;
• un addetto alla sicurezza dei luoghi di lavoro;
• un rappresentante del Servizio di vigilanza.
Compiti del gruppo di lavoro sono:
• l’analisi delle situazioni operative, al fine della identificazione di quelle a maggiore vulnerabilità;
• l’esame dei dati relativi agli episodi di violenza verificatisi nella struttura;
• la definizione delle misure di prevenzione e protezione da adottare;
• l’implementazione delle misure individuate nel programma di prevenzione della violenza.

“Tale impostazione trova riscontro in una consolidata giurisprudenza, continua l’avv. Giovannone, che, nell’applicare l’art. 2087 c.c., ha da tempo affermato “che il datore di lavoro è obbligato a tenere conto di tutti i rischi, non solo di quelli connessi alla prestazione lavorativa in senso stretto (c.d. rischi safety), ma anche di quelli derivanti da cause esogene (c.d. rischi security), almeno in tutti i casi in cui questi siano prevedibili”.

Domenico Della Porta
Referente nazionale Medicina e Sicurezza del Lavoro - Federsanità ANCI
Presidente Osservatorio Malattie Occupazionali ed Ambientali

© RIPRODUZIONE RISERVATA