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Lunedì 19 GIUGNO 2017
Siddhartha Mukherjee e il cancro come storia della medicina, con le parole e il coraggio dei malati

Il medico e saggista di origine indiana deve la sua notorietà presso il grande pubblico al suo talento letterario, che gli è valso il Premio Pulitzer nel 2011 con l’ormai celebre L’imperatore del male, nel quale narra la biografia del cancro, riconoscendolo come un complesso di malattie dotato di una propria soggettività, con una personalità ben delineata ed un profilo storico, un passato, un presente e un futuro

“La vera storia della medicina la fanno i pazienti, con le loro parole e il loro coraggio”. Così Siddhartha Mukherjee, oncologo di origini indiane, attualmente alla Columbia University, ieri a Bologna a conclusione di un incontro nell’ambito della Repubblica delle idee nel corso del quale ha fatto il punto sulla lotta al cancro.
 
Mukherjee deve la sua notorietà presso il grande pubblico al suo talento letterario, che gli è valso il Premio Pulitzer nel 2011 con l’ormai celebre L’imperatore del male, nel quale narra la biografia del cancro, riconoscendolo come un complesso di malattie dotato di una propria soggettività, con una personalità ben delineata ed un profilo storico, un passato, un presente e un futuro. Un modo per puntare con maggiore efficacia sull’obiettivo, una malattia rimasta assente a lungo dalla storia della umanità, “quasi una rimozione e un oblio collettivi”, soppiantata da vaiolo e sifilide, e riemersa ad un certo punto perché imposta dalla forza dei numeri (“Uno su tre dei presenti in questa sala si ammalerà di cancro, è la statistica”).
 
Mukherjee non ha dubbi sul modello attuale di lotta al cancro, che descrive come una sequenza serrata di prevenzione, diagnosi precoce, trattamenti farmacologici mirati per i tumori significativi, concentrati non solo sulle cellule tumorali ma anche sull’ambiente nel quale esse si sviluppano. Sottolinea l’importanza crescente delle conoscenze di genetica prefigurando una stagione, che considera ormai prossima, di sorveglianza genetica permanente, che ci porrà frequentemente di fronte a scelte con implicazioni etiche rilevanti. “L’oncologia vive oggi una stagione molto importante, che potremmo paragonare a quella attraversata dalla medicina negli anni ’50 del secolo scorso. Siamo in una condizione analoga a quella nella quale si trovava l’infettivologia prima della scoperta degli antibiotici”. Una convinzione che deve fare i conti, però, appena un attimo dopo, con la considerazione un po’ amara e realistica dell’affievolirsi delle politiche di sostegno alla lotta al cancro “…proprio ora che stiamo cominciando a capire di che cosa si tratti come non mai”.
 
Convinto che il cancro si collochi al di fuori del vocabolario standard della scienza, Mukherjee ha ricordato che si tratta di una malattia che costringe i malati all’annientamento, e riconduce tutte le energie e l’intera esistenza a sé stessa. Una specie di partita a scacchi, con una sequenza di mosse, di azioni e reazioni, in un gioco che si impossessa della vita dei malati e che richiede loro di tenere costantemente il ritmo, inventando e reinventando strategie, con il desiderio di sopravvivere alla malattia, di vivere più a lungo di essa, sforzandosi di batterla con l’astuzia.
 
Mukherjee considera alcuni aspetti di questa battaglia rappresentativi della forma stessa della medicina, che cambia continuamente i suoi contenuti e gli strumenti, ma non, appunto, la forma: “…l’implacabilità, l’inventiva, la capacità di recupero, il continuo passaggio dalla speranza al disfattismo, il fascino ipnotico delle soluzioni universali, la delusione della sconfitta, l’arroganza e la hubris”. E conclude che, proprio per questo, “La vera storia della medicina la fanno i pazienti, con le loro parole e il loro coraggio”.
 
Stefano A. Inglese

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