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Giovedì 22 GIUGNO 2017
Medicina e innovazione tecnologica, alla ricerca di un nuovo equilibrio



Gentile Direttore,
il progresso scientifico e tecnologico ci sta regalando un mondo che si muove rapidamente dove ogni giorno si aprono scenari nuovi, dove nuove applicazioni soppiantano le precedenti o rendono fattibile ciò che solo qualche anno fa ci sembrava impossibile. In campo sanitario le nuove tecnologie abbracciano ormai tutti i campi e offrono possibilità insperate, alterando o addirittura sostituendo sempre più la figura del medico.

Ma come vive il medico questa “rivoluzione tecnologica”? E’ pronto ad affrontarla? Ne conosce i rischi, le possibilità, le implicazioni?
Se ne è parlato a Venezia in un Convegno “Medicina tra Umanesimo e Tecnologia” realizzato dalla Fondazione Ars Medica, Ordine dei Medici e Odontoiatri della provincia di Venezia, Dipartimento di Filosofia di Ca’ Foscari e la LAI (Libera associazione di idee).

Questa originale esperienza di studio e riflessione che mette insieme medici e filosofi è nata da una intuizione del dr. Maurizo Scassola oggi vicepresidente FNOMCEO, che ha capito la necessità di uscire da una prospettiva di pura autoreferenzialità affidandosi ad osservatori esterni ed è potuta proseguire grazie al sostegno del Presidente dell’OMCeO Ve Giovanni Leoni.
Alla filosofia quindi ci siamo nuovamente rivolti per capire quanto l’avvento di una tecnologia sempre più spinta , stia mutando i comportamenti dei medici e quali problemi questo stia creando.

La tecnologia ha ormai invaso il campo medico: non solo per migliorare gli interventi chirurgi (vedi Robot Vinci) o per diagnosi radiologiche sofisticate (esempio RM, PET) ma anche in attività di assistenza.

Sergio Bovenga segretario Fonmceo ci ha parlato del robot Marino che al Sant’Orsola a Bologna insegna ai bambini a riconoscere e accogliere le emozioni negative o del “Chatrobot” che negli ospedali inglesi fa il triage ai Pronto Soccorso; la professoressa Patrizia Marti ci ha parlato del robot Cucciolo di Foca che aiuta i malati di Alzheimer a entrare in relazione con gli altri.

Non sembrano esserci limiti all’evoluzione tecnologica fino a spingersi a pensare che lo stesso medico potrebbe presto essere in parte o del tutto sostituito almeno in alcuni dei suoi compiti.

Già da tempo il computer è comunque divenuto l’alter ego indispensabile nel nostro lavoro di medico.

“Tutta la professione medica è supportata da sistemi gestionali che talvolta il medico è costretto a subire” ha riconosciuto Bovenga.
Ma tutta questa tecnologia che ha invaso il nostro lavoro come ci sta cambiando?

Al prof Umberto Galimberti, insigne filosofo appare evidente che: “La tecnica ci ha esonerato dallo sguardo clinico. Non si guarda più il paziente, si guardano gli esami, siamo lettori dei prodotti di questi apparati tecnici. Abbiamo ridotto il corpo a organismo a contenitore d'organi”.

“Se è vero che la medicina per costitursi come scienza deve svuotare l’individuo e ridurlo a un caso, perché per la razionalità tecnica l’individualità è un disturbo - continua Galimberti - è pur vero che la soggettività esiste ed è necessario recuperarla passando da una medicina 'morbocentrica' a una medicina 'antropocentrica'”.
 
Non a caso come ha detto il prof Tarca “la medicina attuale riguarda sempre più l’eliminazione della malattia e non la cura della salute”.
Ma se è vero che il progresso tecnologico è inarrestabile come fare perché il medico non perda le sue prerogative e non venga facilmente sostituito dalla macchina?

Cavicchi ci parla della necessità di “un pensiero di ricambio” capace di rinnovare la professione medica e di far recuperare l’autonomia intellettuale al medico. I progressi della tecnica hanno dato alla medicina nuove e avveniristiche possibilità di cura , ma senza cambiare “il modello culturale “ della medicina . Siamo di fronte a una “invarianza culturale della medicina”. La medicina è ferma al suo vecchio paradigma per il quale si riduce la complessità del malato alla malattia. La medicina rischia così di essere ridotta solo a una serie di procedure diagnostico terapeutiche che fanno riferimento a dei protocolli standardizzati “Stiamo curando i malati con le procedure ma le procedure spesso toppano” ha detto il prof. Cavicchi.

“Un medico meno è autonomo e più è uguale a una macchina e quando il medico perde la sua autonomia chi ci rimette sono i malati” Un medico che non è autonomo nel giudicare la necessità di un malato rischia di diventare una macchina che dispensa trattamenti, un “trivial machine”, una macchina semplice , banale, prevedibile e facilmente controllabile, ha ribadito il prof. Cavicchi.

Cosa fare allora per evitare il rischio di essere soverchiati dalla tecnologia fino al punto di rischiare di esserne sostituiti?

Sta a noi decidere che medicina vogliamo: una medicina che ripara un corpo o una medicina che si cura della persona in tutta la sua complessità?

Dal Convegno di Venezia arriva un grido di allarme.

Se vogliamo evitare di essere trasformati in “robot” dobbiamo respingere una medicina che ci vuole semplici esecutori di procedure e protocolli. Serve ripensare a un nuovo modello culturale di medicina e di medico che sia all’altezza della complessità del tempo che viviamo e che sappia affrontare la “necessità del malato” grazie sì all’aiuto della macchina ma senza che questa ci schiacci e ci sostituisca.

La macchina deve essere solo uno strumento al nostro servizio per fornire dati da interpretare e integrare con ciò che osserviamo e comprendiamo nella visita. La macchina deve essere d’aiuto nella diagnosi e anche nella terapia, ma chi deve decidere il processo deve continuare ad essere la nostra mente, perché la macchina non è in grado di sostituirci in quelle competenze cognitive e socio emozionali che comprendono il pensiero critico, la capacità di risolvere problemi complessi , la creatività e la capacità di comunicare in maniera empatica.

Il progresso tecnologico è inarrestabile, a noi spetta il compito di governarlo e in questa sfida si gioca la nuova figura di medico, il nuovo modello culturale della medicina.

La domanda giusta da farsi dice il prof Cavicchi è ”Quale medicina, quale medico per una sanità all’altezza delle sfide della nostra epoca?“
Dalla capacità di rispondere a queste domande dipende il futuro del medico.

“Tutte le specie di un ecosistema per sopravvivere si evolvono e mutano” ci ha ricordato Sergio Bovenga, auspicando “ una co-evoluzione tra una tecnologia orami inarrestabile e un pensiero umano capace di evolvere di pari passo, recuperando le radici umanistiche e le conoscenze logiche che sostengono lo sviluppo tecnologico”.

La nostra sopravvivenza come medici dipenderà dalla nostra capacità di evolverci e di stare al passo con i tempi.
 
Ornella Mancin
Medico di famiglia
Presidente Fondazione Ars Medica (Venezia) 

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